Le origini dei White Willow possono essere fatte risalire all'inizio degli anni '90, con l'attività del gruppo The Orchid Garden, che suonava una sorta di folk psichedelico. Nel 1993 i musicisti coinvolti in questo progetto e che rispondono ai nomi di Jacob Holm Lupo (chitarra e voce) Jan Tariq Rahman (tastiere), Audun Kjus (flauto), Sara Trondal (voce), Peter Albers (basso) e Henning Eidem (batteria) modificano la sigla in White Willow e cambiano anche direzione musicale, spostandosi su un progressive venato di folk nordico. La line-up, tuttavia, non è per nulla stabile, anche se un po' tutti partecipano alle registrazioni del primo album, in cui si segnala anche la presenza di Eldrid Johansen alla voce, Alexander Engebresten e Eivind Opsvik al basso, Carl Michael Eide e Steinar Haugerud alla batteria, Tov Ramstad al violoncello, Susanna Calvert e Erlend M. Saeverud alla chitarra acustica, Tirill Mohn al violino ed alcuni cantanti al coro. Il primo parto dei White Willow esce nel 1995 per la label americana Laser's Edge (che curerà anche le successive produzioni), ha il titolo di Ignis Fatus e contiene brani registrati in vari periodi tra il 1992 ed il 1994. E' un lavoro di una bellezza struggente; la vena malinconica, il folk e le atmosfere nordiche si uniscono ad un prog dinamico ed elegante e la band è apprezzata e promossa da critica e pubblico. Il gruppo ha anche la possibilità di esibirsi al Progfest di Los Angeles, dove riceve ulteriori elogi. Tuttavia, una formazione già di per sé instabile finisce col disgregarsi quasi del tutto nel momento in cui si deve decidere come continuare l'avventura musicale. I White Willow diventano così, a tutti gli effetti, un progetto di Jacob Holm Lupo, che per il secondo album si affida alla collaborazione di Jan Tariq, Sylvia Erichsen alla voce, Frode Lia al basso e Mattias Olsson (svedese, ex Anglagard) alla batteria. Con questo quintetto, al quale si affiancano occasionalmente Teresa K. Aslanian (voce recitata), Asa Eklund (voce) e Audun Kjus (flauto), viene realizzato Ex tenebris nel 1998, che accentua ulteriormente la vena oscura e malinconica, mantenendo comunque uno stile progressivo in cui si avvertono sempre tracce di folk nordico. Quando è il momento di registrare il terzo album, Jacob conferma la sola Sylvia e recluta Ketil Vestrum Einarsen al flauto, Brynjar Dambo alle tastiere, Johannes Sæbøe al basso e Aage Molte Schou alla batteria. Questo sestetto è comunque coadiuvato da un paio di ospiti: Simen E. Haugberg all'oboe e Øysten Vesaas alle ambient vocals. Nel 2001 vede così la luce Sacrament, un disco che non fa che confermare le ottime impressioni suscitate dai precedenti lavori, risultando estremamente raffinato anche in qualche momento più accessibile rispetto al passato. Un'altra tappa importante si registra nello stesso anno con la partecipazione al Nearfest tenutosi in Pennsylvania. La performance del gruppo viene registrata e sarà pubblicata su cd con il titolo di Live at Nearfest.

Discografia

Ignis fatus (1995)
Un disco di una bellezza sensazionale! L'esordio dei White Willow va annoverato tra i più bei dischi progressive degli anni '90, grazie alla sua vena delicatissima e poetica. Ogni qual volta capita di reinserire questo cd nel lettore si possono riassaporare emozioni particolarmente intense. Tutto merito di una musica malinconica, espressiva e particolarmente toccante. Il progressive offerto dai White Willow è ricchissimo di umori folk ed è circondato da un forte alone di tristezza, come dimostra l'opener Snowfall, elegiaca composizione in cui l'inizio bucolico con le chitarre acustiche si evolve in stupendi momenti in cui le tastiere conferiscono un senso di drammaticità, il cantato a due voci dona ulteriore delicatezza e la ripresa di suoni acustici di chitarre e flauto sembrano condurci direttamente nelle magiche lande nordiche. In effetti, sono le splendide dinamiche di cui i White Willow sono capaci a colpire maggiormente, grazie ad un ampio parco strumenti che favorisce infinite sfumature e molteplici timbriche con un susseguirsi di situazioni acustiche ed elettriche. Alcuni brevi brani hanno una struttura semplice e sono pregni di caratteristiche spiccatamente folk (Song, Lines on an autumnal evening, con ottimi inserti di violoncello, Piletreet), altri presentano soluzioni più tipicamente progressive con tanto di cambi di tempo e lunghe parti strumentali (The withering of the boughs, Cryptomenisis, John Dee's lament), ma il più delle volte bisogna elogiare la straordinaria combinazione di stili di cui il gruppo è capace. Le parti vocali non vanno mai sopra le righe e rafforzano ulteriormente gli aspetti romantici della band. L'album riesce a "catturare" e "trasportare", grazie alle sue finezze e alle sue soavi atmosfere e, nonostante la durata abbastanza lunga (oltre 66 minuti), non stanca neanche per un attimo.

Ex tenebris (1998)
Con Ex tenebris i White Willow incantano ancora con le loro melodie malinconiche, accentuando lievemente le caratteristiche rock del precedente lavoro. La strumentazione si riduce e sono soprattutto le tastiere a creare scenari di grande bellezza (con tanto di mellotron), ben rifiniti dalle chitarre, sia elettriche che acustiche. Confermata l'alternanza del cantato maschile e femminile per le parti vocali, mentre il flauto è presente solo in un paio di brani. Nelle sette tracce presenti, tutte costruite con eleganza e fantasia, attraverso una serie di temi di straordinaria efficacia, sono così nuovamente riscontrabili quelle sensazioni di tristezza tipicamente nordiche, sia nelle composizioni più articolate (Leaving the house of Thanatos, Helen & Simon Magus, … a dance of shadows), sia in quelle più semplici, vicine alla ballad e alla forma canzone (The book of love, la breve e acustica Thirteen days). A tratti, le atmosfere si fanno più arcane ed intangibili (Soteriology e la profonda e quasi lugubre strumentale A strange procession…), delineando caratteristiche quasi gotiche che non fanno altro che aumentare il pathos. Il secondo album, perciò, pur non raggiungendo le elevatissime vette del precedente, mantiene standard qualitativi assolutamente invidiabili e conferma i White Willow come una delle più intriganti novità del panorama progressivo dei nineties.

Sacrament (2000)
Dopo due album a dir poco eccellenti i White Willow non perdono la loro ispirazione, confermando il progressive venato di folk e le atmosfere cupe. Il nuovo lavoro si mantiene sugli eccelsi livelli dei precedenti, confermando che siamo al cospetto di un gruppo di qualità nettamente superiore alla media. La loro miscela di progressive e folk si avverte soprattutto in canzoni come Anamnesis e The reach, dove momenti soft si alternano ad altri che presentano ritmiche più serrate e fantasiose. E se spesso sono chitarra e tastiere a dettare le danze, ampio spazio è affidato anche a strumenti quali flauto ed oboe. In particolare, si segnalano quelle situazioni suadenti e tristi in cui la chitarra acustica ed il flauto sono in primo piano attraverso passaggi di rara bellezza e delicatezza. Non mancano brani in cui è la melodia orecchiabile a farla da padrona (Paper moon, dal refrain accattivante, ma mai banale, e i tre minuti di The last rose of summer), così come non mancano sprazzi medievaleggianti (la strumentale The crucible). Ancora molto apprezzabile il cantato di Sylvia Erichsen e del leader Jacob Holm-Lupo, i quali, pur non tecnicissimi, regalano emozioni e sensibilità per l'intera durata del cd. Conferma a pieni voti, quindi, per la band norvegese e nuovo, raffinatissimo esempio di come la musica possa trasmettere tenerezza, feeling e malinconia.

Peppe
Luglio 2003

Ultimo aggiornamento (Martedì 27 Ottobre 2009 00:48)