alt Brani:
1-Gaza; 2-Souds that Can’t be Made; 3-Pour my Love; 4-Power; 5-Montreal; 6-Invisible Ink; 7-Lucky Man; 8-The Sky Above the Rain.
Formazione:

Steve Hogarth: vocals, backing vocals, keyboards; Mark Kelly: keyboards; Pete Trewavas: bass guitar; Steve Rothery: guitar; Ian Mosley: drums.

2012, Intact - durata totale: 64:00

Volenti o nolenti, il nome Marillion non lascia mai indifferenti. A questo nome è legata una delle pagine più belle del rock progressive: la rinascita del genere negli anni 80, grazie a quattro capolavori, da Script for a jester’s tear a Clutching at straws, poi il cambio di line-up derivato dall’abbandono del front man e leader della band FIsh, l’ingresso nel gruppo di Steve Hogarth e, a un passato glorioso, si accostano nuove e bellissime pagine, su tutte Brave e Afraid of sunlight, ma purtroppo anche album quantomeno discutibili.
L’ultima fatica in studio, il diciassettesimo album di una carriera ormai ultratrentennale, inevitabilmente si porta dietro quest’eredità tutt’altro che leggera e purtroppo ne paga, seppur in misura ridotta dazio.
Sounds that can’t be made parte alla grande con quello che per il progster è uno dei simboli per eccellenza del prog stesso: la suite. Gaza ci porta in quella striscia di terra da troppo tempo teatro di conflitti tra arabi e israeliani e ci mostra tutta l’angoscia di un popolo privato del diritto all’esistenza che cerca con ogni mezzo giusto o sbagliato di sopravvivere. Steve Rothery sembra finalmente tornare in grande spolvero con la sua chitarra ora aggressiva ora struggente.
A un ottimo inizio viene però proposto un seguito a tratti zoppicante, Sounds that can’t be made o Power sono due brani usciti dall’incertezza che aveva caratterizzato il precedente Happiness is the road, due tracce piacevoli e poco più; meglio allora l’intimista Pour my love, dettata dagli effetti della chitarra di Rothery in questo album sicuramente più presente, sempre accompagnato dalle ottime orchestrazioni di Mark Kelly.
Sono nuovamente le tracce più lunghe ad aumentare le quotazioni del disco; Montreal è una vera e propria autobiografia di una vita spesa in giro per il mondo tra concerti, lontano da casa con la tecnologia come unico mezzo di contatto con gli affetti, affascinati da nuove realtà ma anche spaesati. Un bel brano che lascia addosso uno strano senso di malinconia. The Sky Above the Rain è un'altra buona composizione che chiude degnamente l’album con momenti veramente intensi, per quanto dei tre pezzi da novanta che caratterizzano l’album sia quello più debole.
In definitiva potremmo dire che questo è un album a due velocità, dove la band è sicuramente più a suo agio e mostra la sua classe nei brani a lungo minutaggio, mentre alcune delle altre tracce (Power o Lucky man su tutte) potevano, forse, non essere incluse, visto gli oltre settanta minuti del disco.
Questa dei Marillion è una buona prova, di sicuro quella più convincente dai tempi di Marbles,  ma che ancora mostra qualche lacuna; non certo un brutto album, anzi, ma purtroppo paga il confronto con le precedenti produzione dell’era Hogarth e se poi andiamo ancora a ritroso nel tempo, il divario non può che aumentare ulteriormente.

Roberto Cembali
agosto 2014

Ultimo aggiornamento (Giovedì 16 Ottobre 2014 13:01)