alt Brani:

1-Rejected Wasteland / Pictures in a Dream; 2-Let U.S pray; 3-You are blind; 4-Felix; 5-Hard to Find; 6-Difference in Time; 7-Lifeguard@Sharkbay; 8-Ta et Steg til Siden; 9-Vi møtes sikkert igjen; 10-Prevail to Fail; 11-Pictures in a Dream (bonus track).

Formazione:
Jostein Smeby: guitars, vocals; Stig A. Jørgensen: Hammond, piano, synth, vocals; Erik Paulsen: bass, fretless bass, vocals; Eskil Nyhus: drums, percussion; Rune Sundby (Ruphus): guest vocals.
2013, Black Widow Records

Il 2013 vede l’uscita dell’ultima fatica dei norvegesi Arabs in Apsic, edito dalla nostrana Black Widow. Dieci brani più una bonus track, per un tuffo negli anni 70. Dai Pink Floyd ai Black Sabbath passando anche per Genesis e Yes, in una rilettura, che non può che non fare piacere ai nostalgici di quello che è considerato a torto o a ragione il periodo aureo del progressive, il tutto riletto con personalità, senza scadere in sterili riproposizioni.
Rispetto al precedente Strange Frame of Mind il sound pur mantenendo la sua carica perde in corposità, le soluzioni proposte sono meno cupe, ma  preservano comunque la stessa impostazione fatta dal costante dialogo tra chitarra e tastiere.  
Tra i pezzi forti del disco spiccano il brano di apertura Rejected Wasteland/Pictures in a Dream, suddivisa in due parti (come indicato nel titolo).  Se nella prima è la chitarra a dominare la scena, nella seconda sono le tastiere (rigorosamente vintage) a farle da padrone. Let U.S. Pray, traccia dal forte sapore sabbathiano nel suo incedere marziale, presenta al suo interno una bella digressione tra la chitarra di Jostein Smeby e le tastiere di Stig Jorgensen. La successiva You Are Blind, sembrerebbe uscita da un album del Led Zeppelin, con tanto di urlo orgiastico à la Robert Plant, mentre Felix, piccolo quadretto da due minuti, potremmo annoverarlo tra i punti più alti del disco, dettato da un assolo gilmouriano, sullo sfondo di un mellotron malinconico.
Purtroppo non è tutto oro quello che luccica, alcuni pezzi come Lifeguard@SharkBay, Ta et Steg til Siden o come la conclusiva Prevail to Fail, le cui soluzioni possono ricordare Tales from Topographic Ocean degli Yes, risultano come riempitivi privi di una propria anima, qualcosa che si potrebbe definire “suoniamo e vediamo cosa viene fuori”, senza però ottenere risultati veramente apprezzabili lasciando invece un senso d’incompletezza.
 In definitiva se paragonato al precedente album, questo Picture in a Dream, a detta di chi scrive è un lavoro, seppur di poco, inferiore. Non è certo un passo indietro colossale, l’album rimane pur sempre una buona prova, ma nel complesso meno coeso.

Roberto Cembali
giugno 2013

Ultimo aggiornamento (Domenica 07 Luglio 2013 16:21)