La Buona Novella - 1970 - Fabrizio De Andrè

Ho rimandato per molto tempo la stesura di questo scritto. Questo disco è legato a tanti ricordi e per questo ho sempre evitato di mettere nero su bianco una “descrizione” dei fatti narrati in quest’album e ringrazio la PFM per avermi dato la spinta giusta a decidermi. Premetto che quanto riportato non vuole urtare la sensibilità di nessun credente e spera di non essere blasfemo, visto che si tratta di argomento religioso. Sono pronto a modificare quanto scritto qualora, involontariamente, offendessi il sentire di qualsiasi persona che si ritiene “Cristiana”.

Se poi, alla fine della lettura, non avrete indovinato il mio “pensiero” riguardo la materia in oggetto allora mi riterrò più che soddisfatto: voglio parlare di Gesù Cristo con estrema libertà di “movimento” al fine di descrivere la grandezza di un album e del sentire dell’artista che lo ha realizzato.

L’album all’epoca della sua uscita fu, neanche ascoltato probabilmente, censurato dalla Rai. Solo più tardi la Chiesa lo sdoganò.

In tutte le dieci canzoni dell’album della durata complessiva di circa 34 minuti si parla dell’aspetto strettamente umano delle vicende di Maria (traendo ispirazione dalla lettura dei vangeli apocrifi) e in generale di quanto accadde intorno a Gesù, e quindi un “vangelo” quasi complementare a quelli ufficialmente accettati dalla Chiesa. E’ un “completamento” umano della vicenda più che qualcosa di blasfemo, e fortunatamente quest’aspetto fu poi sottolineato dalla Chiesa.

Le motivazioni per cui De Andrè scelse di scrivere di tali argomenti proprio nel 1970 lo spiega lui stesso in diverse interviste. In particolare lui ritrovava una certa attinenza tra la vita di Maria e di Gesù con quanto avveniva in quel periodo nel mondo giovanile.

Lo scrivere, nel far proprio persino la “storia delle storie”, era testimonianza di quella ribellione, di quell’appoggio ai diritti delle donne (si parla soprattutto di Maria, ricordiamocene), degli svantaggiati (vedi il testamento di Tito), di condanna dell’ipocrisia, del sostegno alla pace che è insito nella storia di Gesù Cristo.

Arrangiato da Gian Piero Reverberi che con le Orme (e non solo) avrà molto a che fare con il progressive, il disco si pone in maniera distaccata rispetto a quanto viene narrato. Mi spiego. Lo stesso De Andrè pare non voler intervenire eccessivamente in quanto scritto, l’uso del coro, delle atmosfere usate ricorda certe opere teatrali dell’ellenismo classico: si narra dell’ineluttabile e come tale ci si pone in serafica posizione.

Atteggiamento molto rischioso ma dal risultato eccezionale.

Il concept è diviso in due parti (le due facciate del disco) una in cui si narra strettamente di Maria, l’altra di tutto il resto intorno alla morte di Gesù.

Nel seguito riporto alcuni miei commenti, canzone per canzone.

Non pubblico l’intero testo, perché può essere trovato altrove, ma sottolineo solo gli aspetti volutamente divergenti da quanto conosciamo dai vangeli allo scopo di evidenziare, si spera, l’intento dell’artista. O almeno provo a sottolineare le cose che mi hanno più colpito, come già detto, ci sarebbe da scrivere pagine e pagine.

Buona lettura.

 

Laudate Dominum

L’infanzia di Maria

L’amarezza di un’infanzia perduta e negata è scandita dal coro che sottolinea il passar del tempo, mentre Maria resta china a pregare nel tempio.

E’ sempre il coro, elemento fondante non attribuibile ad uno solo, una verità oggettiva, a sottolineare il momento dell’offerta di Maria come sposa al “miglior offerente”.

Qui si fa lotteria sul corpo di una vergine, e si utilizza la stessa immagine della lotteria che si farà sulle vesti di Gesù Cristo: la donna vista come oggetto su cui l’uomo ha pieni diritti.

E come il giocare per le vesti di un uomo posto sulla croce è riprovevole, la stessa sensazione, amplificata dalla bramosia dell’uomo verso una fanciulla, resta scolpita nel testo e nel pathos del brano.

Leggendo anche il “Vangelo secondo Gesù” di Saramago si intuisce come era difficile la vita delle donne al tempo di Gesù. La posizione di sudditanza è ben sottolineata dal testo di De Andrè. Tale visione stride con quanto riportato nei Vangeli canonici in cui da subito, Maria viene vista come la prescelta e colei che governa il suo destino pur seguendo la volontà del Signore.

E’ da questi particolari sottolineati sempre dal coro che De André mette in chiaro la situazione: se quando era bambina, come ogni bambina di 3 anni, non può opporsi alla volontà degli adulti, da grande continua a non poter decidere della propria vita per la volontà dell’uomo.

La bramosia dell’uomo di cui accennavo sopra, è come sempre sottolineata dal coro: “guardale gli occhi guarda la neve guarda la carne del paradiso”. Il riferimento alla “carne” è estremamente interessante. L’accostamento alla “carne” di Gesù, fonte di vita eterna, è immediato. Secondo il cattolicesimo, Maria è stata assunta in cielo e quindi giustissima la definizione di “carne del paradiso”, ma questa, nel contesto dell’episodio narrato, invece di essere fonte di ammirazione, genera negli uomini un sentimento di lussuria. La “carnalità” in tutto il suo aspetto terreno, legato a quello che sarà invece il destino di questa donna. Il desiderio mal celato degli uomini, dei pretendenti, la loro ipocrisia nel giudicare e bramare la sposa bambina.

Ritorna la voce narrante rassicurante di De Andrè a sottolineare la saggezza dei sacerdoti: dare in sposa Maria a Giuseppe, persona qui descritta come vecchia, senza più desideri sessuali. In questo modo si cercava di preservare ulteriormente la virtù di Maria, sperando che la bimba avesse il tempo, in un secondo matrimonio, a morte di Giuseppe avvenuta, di conoscere giustamente un uomo. Una scelta alla “Pilato”, i sacerdoti se ne lavano le mani: la bimba non può stare più nel tempio in quanto ormai donna, e quindi la si pone in un’ altra clausura, quella con un vecchio.

Il vecchio poi, parte per quattro anni per dei suoi affari e ritorna a casa quando ormai Maria è incinta di qualche mese.

 

Il ritorno di Giuseppe

Qui è veramente commovente l’incontro di Maria che vola come una rondine tra le braccia di suo marito, sapendo che da lì a poco si sarebbe deciso del suo destino. E’ mirabile il modo con cui De André non usi la parola “incinta” o “dolce attesa” o altri sinonimi, e di come descriva quello stato come un segreto che si svela, come il segreto che solo le donne conoscono e che agli uomini non è dato sapere.

 

Il Sogno di Maria

La difesa di questa donna che deve “giustificare” il suo stato al marito, con la certezza della pena (la lapidazione) ma con la speranza che solo alla fine si concretizza in uno sguardo di quiete in attesa del perdono. La giustificazione di Maria è in un sogno, in cui si apprende della presenza di quest’”angelo” che veniva a raccontare le ore a Maria nel tempio e che solo una volta “le scioglie le mani” e la fa “volare a conoscere il colore del vento”.

Il perdono di Giuseppe è quasi scontato: Maria è più una figlia che una sposa e ad una figlia che sbaglia è difficile dare una punizione severa quanto la morte. Giuseppe è uomo buono, lo dimostra il fatto che regala a Maria, alla sua partenza, una bambola di legno per farle recuperare il tempo perduto. Ma soprattutto le regala la vita e la fede nelle sue parole, una fede che consentirà a Maria di poter camminare a testa alta tra tutte le donne del paese come raccontato nella successiva,

 

Ave Maria

Più che una lode alla Madonna è finalmente una canzone serena che sottolinea il perdono e la felicità di una donna che ama essere madre, che sa che tra poco partorirà con dolore e che suo figlio è “speciale” (quale figlio non lo è per una mamma?), ma che può essere fonte anche di invidia presso le altre del paese.

E’, socialmente parlando, la lode della donna che fiera delle proprie rivendicazioni cammina per le vie della propria città, ostentando anche una gravidanza senza che fosse sposata ad alcun uomo. Negli anni 70, come ai tempi di Cristo, era cosa sconveniente e da non mostrare al giudizio della comunità.

E’ questo che, a mio avviso, sottolinea De André: quanto siamo progrediti, in termini di conquiste sociali, in duemila anni di storia? Se si pensa alla realtà degli anni ‘70, in cui l’adulterio era ancora perseguibile per legge, il messaggio di Maria era sicuramente molto difficile da accettare.

 

Maria nella bottega del falegname

Abbandonato Giuseppe, probabilmente morto, in questa canzone si sottolinea come un lavoro onesto e virtuoso come quello di un falegname possa essere rivolto al “male” solo dalla volontà degli uomini. Il falegname in questione, non sta lavorando a stampelle o ad una aratro, strumenti utili per la vita dell’uomo, ma sta costruendo croci, tre croci, o “dolori” come li chiama De André, strumenti di tortura e sofferenza. E le tre croci sono destinate, due per chi disertò (dalla Guerra) per rubare, e “la più grande per chi guerra insegnò a disertare”. De André non poteva non menzionare, già da ora, perché poi ribadirà il concetto nella finale Laudate Hominem, il messaggio pacifista insito nel cristianesimo e comunque a lui tanto caro.

 

Via Della Croce

Finalmente i farisei, gli scribi e i sacerdoti possono porre fine alla vita di un Uomo che, sebbene in nome di Dio, sovvertiva le regole imposte stesso da Dio e che loro facevano rispettare. Quest’aspetto è preso e approfondito anche dal già citato “Vangelo secondo Gesù” in cui Saramago più volte riprende il concetto che Dio, ai tempi di Gesù, volle rompere gli stessi schemi da lui posti al fine di “diffondere” il suo verbo in tutto il mondo.

Ma la narrazione diventa ancora più vicina al libro di Saramago (pubblicato, ricordiamolo, nel 2001, in italiano e attualmente edito da Feltrinelli), quando, riferendosi alle sofferenze di Gesù Cristo, De André menziona il peso delle voci dei padri dei bambini che furono uccisi a causa sua da Erode (la nota “strage degli innocenti”).

Questo peso, porterà Gesù di Saramago a scegliere di allontanarsi dalla casa familiare e in un certo modo a compiere il volere di Dio.

La morte di Cristo, nell’opera di De André è vissuta dagli occhi di chi condanna Gesù, dall’ipocrisia di uomini preoccupati di mantenere solo il loro potere e che all’avvenuta morte si preoccupano solo di controllare che i seguaci si disperdano nel loro dolore e che ai piedi della croce vi sia solo la madre. Siamo sicuri di non avere quest’atteggiamento quando ascoltiamo un telegiornale con la consueta lista di morti e uccisioni? Siamo veramente convinti di essere “diversi” da questi uomini di potere? E soprattutto non riconosciamo questo atteggiamento negli uomini che detengono le sorti della nostra storia?

 

Tre Madri

Il dolore, di tre madri che piangono l’agonia e la morte dei loro figli, ma una di queste è speciale come è speciale suo figlio, e per questo rimproverata dalle altre madri di lasciare che loro piangano più forte perché se Gesù risorgerà dopo tre giorni, i loro figli non torneranno più dalla morte. Eppure Maria piange il fatto che se Gesù non fosse stato figlio di Dio sarebbe ancora vivo come figlio suo! Atteggiamento naturale per una donna che è stata “donna una volta” e “madre per sempre”: notevole il rimprovero indiretto a Dio, di compiere il suo disegno usando Gesù che qui si vorrebbe figlio di Giuseppe per sottrarlo alla triste agonia e morte.

Nessuna madre reagirebbe differentemente, pur nella certezza della fede in Dio. La pietas umana, quel sentimento di compenetrazione nel dolore altrui, non potrebbe generare altro che la reazione avuta dalla Maria di De André.

 

Il testamento di Tito

Canzone suonata spessissimo nei concerti e conosciutissima, è il decalogo fatto dal ladrone buono, quello che si impietosisce alla vista della morte di Gesù. E pur sperimentando questo grande amore e senso di ingiustizia, ribadisce le sue convinzioni: i biblici dieci comandamenti sono rispettabili relativamente alla propria appartenenza sociale. Facile non rubare se si ha già i soldi, o amare un padre che non usa il bastone per educarti, non nominare il nome di Dio invano, se non si ha bisogno. Chi è Tito? Chi, almeno una volta nella vita, non ha pensato ad una sola delle affermazioni che quest’uomo fa in punto di morte?

 

Laudate Hominem

Capolavoro del disco, in cui il coro impone il pensiero di De Andrè con la forza che solo la moltitudine degli umili, degli straccioni può dare. Impressionante il logico progredire dei versi:

"Il potere che cercava / il nostro umore / mentre uccideva / nel nome d'un dio, /nel nome d'un dio / uccideva un uomo: / nel nome di quel dio / si assolse. / Poi, poi chiamò dio / poi chiamò dio / poi chiamò dio quell'uomo / e nel suo nome / nuovo nome / altri uomini, / altri, altri uomini / uccise "

E la logica conseguenza:

[…] “nel nome d'un dio / che il male non volle, il male non volle, / finché / restò uomo / uomo. / Non posso pensarti figlio di Dio / ma figlio dell'uomo, fratello anche mio”.

E quindi diamo lode all’Uomo.

 

Non mi sento di aggiungere commenti, ma molto ci sarebbe da dire.

Saramago, nel già citato “Vangelo secondo Gesù Cristo” esalta l’uomo nei confronti di un Dio avido di potere. Non volendo svelare nulla di quest’ottimo libro di cui suggerisco la lettura, è comunque lapalissiano l’affermazione dell’indipendenza dell’uomo dalle forze del male e del bene, capace di riuscire a discernere il male nel bene e il bene nel male.

Concetto comunque non lontano a quello insito nella religione Cristiana (e non solo), in cui il libero arbitrio è sovrano: l’uomo decide il suo destino, mentre Dio è il suo giudice.

Sinteticamente Faber loda l’uomo, come fonte sicura e rassicurante, unica garante della pace sulla terra quando si fida di se stesso e non affida il suo destino in mano ad alcun Dio.

Duro, sicuramente da accettare, ma una visione materialistica delle realtà degna di profondo rispetto.

 

Montag

settembre 2012

Ultimo aggiornamento (Giovedì 20 Settembre 2012 19:59)