GENTLE GIANT


Forse il gruppo più "avventuroso" e complesso tra quelli "storici" del prog, negli anni '70 il Gigante Gentile ha scritto capitoli fondamentali del progressive con un'incredibile miscela di rock, musica barocca e medievale, dissonanze strumentali, senza disdegnare accenti jazz e folk, il tutto condito da cori e vocalizzi assolutamente originali, che in molti hanno tentato di imitare. Musica caratterizzata da un perfetto connubio di cuore e cervello, checché ne dicano i più accaniti denigratori del gruppo. Mai troppo amati e spesso accusati di pretenziosità e freddezza, i Gentle Giant erano formati da musicisti dalle straordinarie capacità tecniche e utilizzavano un'ampia strumentazione che permetteva una ricchissima gamma sonora.

Il nucleo della band è costituito dai fratelli Ray (1949), Derek (1947) e Phil Shulman (1937) i quali cominciano a fare le loro prime esperienze con gli Howlin Wolf & The Roadrunners che cambiano nome in Simon Duprée & the Big Sound, navigando verso la fine degli anni '60 tra il rhythm & blues e il rock, e giungendo alla realizzazione dell'unico album "Without reservation" nel 1967.

Lo scioglimento della band porta i fratelli Shulman ad avvicinarsi a quel rock progressivo che iniziava a riscuotere un certo successo, orientandosi verso una musica più complessa che congiungesse al rock esperienze derivanti dalla musica classica e dal jazz. A Ray (basso, chitarra e violino), Derek (voce, basso, chitarra) e Phil (sax e trombone) si uniscono Gary Green (chitarra), Kerry Minnear (tastiere, vibrafono, flauto, violoncello e voce) e Martin Smith (batteria). Con questa line-up è inciso "Gentle Giant", album d'esordio del 1970. E', però, col secondo LP "Acquiring the taste" (1971) che la band si fa notare, grazie ad un sound personale, maturo e ricchissimo di soluzioni strumentali e vocali di grande originalità. Il 1972 vede la band, col nuovo batterista Malcolm Mortimer, impegnata in Italia nel tour di supporto ai Jethro Tull. I Gentle Giant ottengono un successo tale da mettere quasi in ombra le performance dei Tull, al punto che la tournée viene praticamente rovinata. Ma il pubblico italiano dichiara ormai il suo amore per il Gigante Gentile. Si arriva così al terzo album "Three friends" che conferma pienamente le notevoli qualità del gruppo, che dovrà poi fronteggiare la defezione di Mortimer (a causa di un incidente stradale) ingaggiando John Weathers.

Con la nuova line-up, i Gentle Giant danno alla luce nel 1972 quello che probabilmente è il loro miglior lavoro: "Octopus". Si tratta dell'album della completa maturità, in cui tutte le caratteristiche della loro musica raggiungono i massimi livelli e favoriscono il conseguimento del top artistico dei Gentle Giant. Con il successivo "In a glass house" (1973), pur orfani di Phil Shulman che lascia il gruppo per problemi familiari, si cerca il consenso del pubblico americano, ma lo scarsissimo fattore commerciale che contraddistingue l'album in questione pregiudica l'affermazione nel nuovo continente. I Gentle Giant, incuranti di tutto ciò, proseguono la loro personalissima ricerca e non perdono l'ormai inconfondibile stile nelle nuove fatiche "The power & the glory" (1974) e "Free hand" (1975). Tuttavia, i relativi tour e la modesta accoglienza ricevuta dalla critica mostrano come i tempi stanno cambiando, e l'interesse verso un genere tanto complesso inizia a scemare. Tra il 1976 e il 1977 il gruppo è impegnato nella realizzazione dell'ancora ottimo "Interview" e, soprattutto, in un'intensissima attività concertistica da cui scaturirà un grandissimo live album come "Playing the fool". L'album in studio "Missing piece" evidenzia qualche segno di cedimento; le debolezze emergono in maniera considerevole nel susseguente "Giant for a day", dove la band mostra poco mordente e solo in brevissimi momenti si ritrovano quelle atmosfere fiabesche che tanto caratterizzavano la propria musica. Una leggera ripresa si avrà con "Civilian" nel 1980, album che rappresenta il canto del cigno della band, che spara le sue ultime cartucce. Negli anni a seguire anche i membri del gruppo hanno continuato un lungo silenzio, proponendosi come produttori invece che come musicisti, e le uniche tracce della band si rinvengono attraverso interessanti documenti postumi.

Le numerose voci di reunion (specie a metà anni '90) non hanno purtroppo mai avuto conferma, ma i Gentle Giant ci lasciano un patrimonio musicale d'inestimabile valore, e le perle realizzate negli anni '70 restano tra gli episodi migliori della storia del progressive rock.
 
Discografia
 
GENTLE GIANT (1970)

Album d'esordio di altissimo livello, che rivela subito caratteristiche che si manterranno costanti nell'evoluzione del gruppo: l'anima rock di "Giant", con aggressivi e coinvolgenti riff di chitarra; la melodia di "Funny ways", per anni cavallo di battaglia nei concerti, col violino in primo piano; i vocalizzi ricercati di "Alucard"; la lunga parentesi percussiva tra le note acustiche di "Nothing at all", altro brano fondamentale del Gigante. Basilari anche le tastiere di Kenny Minnear, musicista fantastico, ma troppo spesso dimenticato. L'album mostra una freschezza notevole per essere un disco d'esordio e per l'anno di uscita, e diversi brani presenti rimarranno dei classici evergreen della band. La stessa copertina, col Gigante che ha nelle mani i componenti della band, disegnata da George Underwood, sarà una sorta di icona che accompagnerà il gruppo per tutta la carriera.
 
ACQUIRING THE TASTE (1971)

Per descrivere questo autentico capolavoro basterebbe andare a leggere le note dei musicisti scritte all'interno dell'album: "E' nostro scopo espandere le frontiere della musica popolare contemporanea al rischio di essere molto impopolari. Abbiamo registrato ogni brano col solo pensiero che esso debba essere unico, avventuroso e affascinante". Direi che lo scopo è raggiunto in pieno, con un album più sperimentale ed originale rispetto al primo. Caratteristiche che si manifestano attraverso strappi continui, attraverso brani in cui i momenti più melodici si alternano ad altri più tirati o più d'avanguardia. Esempi concreti sono "Pantagruel's nativity", pervasa da un atmosfera magica con le tastiere in evidenza, ma anche con l'ottimo contributo dei fiati e della chitarra; "Edge of twilight", dove le sonorità tenui ed il pulsare del basso sono interrotti da un acceso intervento percussivo; "The house, the street, the room", con le sue dissonanze, le ritmiche singolari, i classici coretti; e "Wreck", infiammata all'inizio e poi delicatissima. La title-track, invece, è un breve strumentale medievaleggiante e giocato esclusivamente sul moog. "The moon is down" è meno ricercata, ma ugualmente pregevole con i continui interventi dei vari strumenti a rendere particolarmente ricca questa canzone. "Black cat" si distingue per una certa pacatezza, indicata dalla presenza del violino, e per la complessa parte centrale dove archi e percussioni vanno alla ricerca di strane soluzioni. Più aggressiva è "Plain truth", costruita attorno alla chitarra quasi hard di Green, senza però dimenticare l'importantissimo apporto del violino. In conclusione, un album assolutamente straordinario ed uno dei capisaldi della storia del progressive.
 
THREE FRIENDS (1972)

Concept album che racconta la storia di tre compagni di scuola separati dalle strade diverse che hanno seguito. Il disco si mantiene su livelli indubbiamente elevatissimi pur non raggiungendo i vertici toccati con Acquiring the taste. La solita miscela esplosiva, quindi, frutto della contaminazione di diversi generi musicali, caratterizza il terzo lavoro del Gigante, che si apre con "Prologue", 6 minuti ricchissimi tra prog sinfonico elaborato ed un pizzico di hard. "Schooldays" è più delicata e permeata da magiche melodie, i classici impasti vocali e ricercate parti strumentali, mentre "Working all day" è decisamente aggressiva e diretta, con il sax a giocare un ruolo di primo piano e con continue invenzioni tastieristiche. "Peel the paint" è molto articolata e presenta una netta divergenza tra la parte iniziale, contraddistinta da morbidi tratti vocali e dal violino, ed il prosieguo, più duro con chitarra elettrica unica protagonista. "Mr. Class & quality" è trascinante nella ritmica e ci porta alla conclusiva "Three friends", che rivela momenti strumentali eccezionali in cui i musicisti mettono in mostra tutte le loro qualità. Album, dunque, che tiene fede alle promesse dei primi due.
 
OCTOPUS (1973)

Con Octopus i Gentle Giant realizzano quello che, a mio parere, è il loro capolavoro assoluto. In quest'album sono presenti tutti gli elementi che hanno reso famoso il gruppo. Si parte con la ricchissima "The advent of Panurge", in cui i musicisti danno il meglio di sé attraverso incantevoli parti cantate ed interventi strumentali di grande tecnica, uno dei punti più alti della carriera del Gigante. "Racounteur, troubadour" è una sorta di stornellata medievale che vede in primo piano voce, tamburello e violino. In "A cry for everyone" emerge il lato più rock del gruppo, tra ritmiche fantasiose e ottimi incroci chitarra-tastiere, mentre "Knots" rappresenta uno dei brani simbolo del Gigante, con intricate mescolanze vocali e stranezze musicali di ogni tipo. La strumentale "The boys in the band" offre ancora un saggio delle capacità tecniche dei musicisti e della varietà di suoni che la band riesce ad orchestrare. "Dog's life" è splendidamente costruita su note di chitarra acustica e di violino; "Think of me with kindness", invece, è un brano molto melodico e delicato in cui Minnear è protagonista della scena con il morbido cantato e le dolci note di piano. La chiusura è affidata a "The river", introdotta da un riff micidiale e rifinita ancora dalla ricerca strumentale dei musicisti. Insomma, un album sontuoso e variegato in cui i Gentle Giant mettono in luce tutte le loro prerogative e la loro personalità.
 
IN A GLASS HOUSE (1973)

L'album più complesso e di più difficile ascolto dei Gentle Giant. I musicisti non cercano compromessi, e proprio per questo esso stenta ad ottenere il pieno consenso di fans e critica. A mio avviso è un LP eccezionale, imprescindibile per chi voglia conoscere bene la band. Da segnalare che nell'occasione manca l'apporto di Phil Shulman, il fiatista, che dopo Octopus abbandona il gruppo. L'apertura è affidata alla dinamica "The runaway": ritmiche veloci, solita grande perizia strumentale ed un curioso assolo di xilofono per questo brano che rimarrà un classico nelle esibizioni dal vivo. "An inmates lullaby" è un pezzo bizzarro e tenue, dai toni soffusi, quasi una nenia che ti resta subito impressa nella mente. Segue la veloce ed aggressiva "Way of life", che ritorna a strutture più elaborate, ad un rock impreziosito da continui cambi di tempo, duetti chitarra-tastiere, inserimenti di violino e fiati, con finale per solo organo. "Experience" riporta a sonorità più morbide, ma mantenendo la complessità e la ricchezza vocale e strumentale con diversi temi musicali che si intrecciano in continuazione. Dolci note di violino caratterizzano la breve e soave "A reunion", mentre la conclusiva title-track si articola tra arie medievali, cambi di tempo e d'ambientazione ricorrenti, il consueto vasto assortimento di sonorità, per uno dei brani più riusciti nella carriera del Gigante. Album tanto ostico quanto straordinario ed ottimo esempio delle vette a cui può arrivare il progressive.
 
THE POWER AND THE GLORY (1974)

Dopo 5 album magnifici, la musica del Gigante Gentile ha ormai assunto quei connotati che permetteranno alla band di rimanere nella storia. Il nuovo album, quindi, non è più una sorpresa e, serbando quel sound diventato un marchio di fabbrica, offre altri 40' di pura delizia. Le variegate "Proclamation" e "So sincere" saranno dei punti di forza delle esibizioni live. Fantastica "Aspirations", costruita su ritmi lenti e con una delicatissima e affascinante melodia. "Playing the game" è un brano che mostra ancora le caratteristiche del Gigante tra fantasiosi tocchi strumentali e le sempre incantevoli parti vocali. Dai canoni più rock è "Cogs in cogs", impreziosita però dalle magiche tastiere di Minnear. Se "No gods a man" torna a far viaggiare l'album su terreni melodici, attraverso i sapienti tocchi di Green alla chitarra e i tipici cori "gentlegiantiani", nella dinamica "The face" massimo interprete è il violino. Infine, "Valedictory" riprende i temi dell'iniziale "Proclamation".
 
FREE HAND (1975)

Rumori di dita che schioccano introducono "Just the same", opener che conferma la varietà musicale del sound dei Gentle Giant. L'incredibile "On reflection" rappresenta la "Knots" di turno con i suoi straordinari vocalizzi. La movimentata title-track sottolinea le peculiarità rock del gruppo, ma non manca un intermezzo, nella sezione centrale, più fiabesco e d'atmosfera. Con "Time to kill" i musicisti fanno nuovamente sfoggio delle loro doti tecniche; viceversa, "His last voyage" è pervasa dall'animo più sensibile e, allo stesso tempo, sperimentale del gruppo. "Talybont" è un gioiello di 2 minuti e mezzo, strumentale, dal sapore medievale, mentre "Mobile" chiude l'album col suo dinamismo e con le note del violino di Ray Shulman in evidenza. In definitiva, Free Hand ripropone tutti quegli elementi che combinati insieme concorrono a rendere unica la musica dei Gentle Giant.
 
INTERVIEW (1976)

I Gentle Giant tornano a sorprendere con un lavoro fresco e molto vario. Se "Interview", che titola ed avvia l'album, non si discosta dal tradizionale sound del Gigante, già la seguente "Give it back" indica i segni del cambiamento col suo approccio al reggae, pur nella riconosciuta eleganza strumentale. "Design" è un brano davvero particolare, strutturato esclusivamente sugli impasti vocali e su singolari suoni percussivi; invece, in "Another show" si riaffaccia l'anima più rock del gruppo. "Empty city" esprime alcune sonorità care alla band tra momenti acustici, armoniosi vocalizzi e parti strumentali molto intense. "Timing" è movimentata dalle tastiere, dalla chitarra e dal violino che si inseguono sull'onda dell'incessante variazione dei tempi. L'ultimo brano, "I lost my head", rivela le due facce del Gigante: quella melodica, costituita dai tratti acustici e dalle delicate parti vocali presenti all'inizio, e quella più vivace e impegnativa della seconda metà del brano. Nonostante un leggero impoverimento della strumentazione utilizzata (o forse proprio a causa di ciò), i Gentle Giant dimostrano di essere in eccellente forma e riprendono a sperimentare e a ricercare nuove soluzioni, realizzando un altro album di alto livello.
 
PLAYING THE FOOL (1977)

Documento che testimonia le performance concertistiche dei Gentle Giant, quest'album restituisce la grandiosa tecnica dei musicisti e tutta l'energia che scaturiva dal vivo con la loro musica. Registrato durante la tournée europea del '76, Playing the fool mette in vetrina splendide esecuzioni di ottimi brani quali "Just the same", "Proclamation", "On reflection", "The runaway", "Experience", "Free hand", che si alternano a mirabili estratti da Octopus e a spettacolari improvvisazioni strumentali, tra cui spicca quella dei due Shulman, Minnear e Green che si esibiscono assieme con 4 flauti. Notevolissime anche "Funny ways", allungata fino ad oltre 8' da un assolo di vibrafono, e "So sincere" che include la cosiddetta "Five men bash drum", dove i 5 musicisti sono impegnati contemporaneamente alle percussioni. Il divertissement "Sweet Georgia Brown" e il medley "Peel the paint-I lost my head" completano un live-album sensazionale!
 
THE MISSING PIECE (1977)

Da quest’album il complesso suono dei Gentle Giant comincia a perdere corpo e si avverte una semplificazione nella struttura delle canzoni. Se non mancano momenti stupendi come "I'm turning around", "As old as you're young", "Memories of old days" e "For nobody", che conservano inalterata l'anima del Gigante, il sound comincia a scolorirsi in brani come "Betcha thought we couldn't do it", "Who do you think you are" e "Mountain time". Certo le migliori canzoni consentono all'album di guadagnare la piena sufficienza, ma siamo lontani dai vertici della precedente produzione.
 
GIANT FOR A DAY (1978)

E qui i Gentle Giant sfornano l'album che proprio non ti aspettavi. Le composizioni sono estremamente semplificate e si ricorre spesso a leitmotiv accattivanti. C'è la stessa classe e maestria di sempre, ma non quell'atmosfera magica e fiabesca che distingueva le creazioni di un tempo. Ritmi e ritornelli dal sapore quasi funky furoreggiano e se può essere piacevole ascoltare distrattamente brani come la strumentale “Spookye bolgie”, “Giant for a day”, “It’s only goodbye”, non si può negare che il nuovo lavoro del Gigante contenga un’unica delizia con “Friends”. I 2 minuti di questo delicato brano, caratterizzato dagli ottimi arpeggi di Green alla chitarra acustica, dimostrano come il gruppo sappia ancora emozionare. Troppo poco comunque, ormai i Gentle Giant sono in parabola discendente.
 
CIVILIAN (1980)

I Gentle Giant lanciano le ultime frecce del proprio arco. Se l'aggressiva e vitale opener "Convenience", "Shadows on the street" e "Inside out" rimandano in parte ai fasti del passato, e se i brani "All through the night" e "I am a camera" denotano una rinnovata verve, l'album convince solo a metà. Infatti, vi sono passaggi di minor rilievo che, in ogni caso, non impediscono all'ultimo studio-album del Gigante di assestarsi su livelli onorevoli.

* * * *
Negli anni '90 sono usciti una serie di documenti piuttosto allettanti per il fan sfegatato dei Gentle Giant; segnalo, in particolare, i seguenti:

    * THE LAST STEPS (1996): contiene l'ultimo concerto in terra americana nel 1980
    * KING BISCUIT FLOWER HOUR (1998): contiene un concerto del '75; documento bellissimo, musicisti in grandissima forma e registrazione ottima
    * ROME 26/11/74 (2000): edizione ufficiale di un bootleg di qualche anno fa; concerto ottimo, anche se la qualità audio non è eccelsa
    * IN A PALESPORT HOUSE (2000): con un concerto a Torino nel '73, più due brani tratti dal TV show "In concert"
    * IN'TERVIEW IN CONCERT (2000): bel concerto del tour di Interview a New York

Le BBC Sessions sono state raccolte in due doppi cd:

    * OUT OF THE FIRE (1998): con le sessions del 16/11/73, 08/12/73 e 05/01/78
    * TOTALLY OUT OF THE WOODS (2000): con le sessions del 21/01/70, 28/08/73, 04/12/73, 10/12/74, 16/09/75

Inoltre, sono stati pubblicati l'antologia EDGE OF TWILIGHT e l'interessante box di 2 cd UNDER CONSTRUCTION, contenente demo, inediti e materiale live.

Peppe
Agosto 2002

Ultimo aggiornamento (Lunedì 30 Agosto 2010 09:52)