Arriviamo al Sistina verso le ore 20, quando già un nutrito gruppo di persone è nella hall che circonda un placido Steve Hackett che firma autografi sui materiali più disparati, dalla carta dei biglietti e di vecchi vinili alle magliette vintage della Charisma. Il colpo d'occhio del teatro pieno rincuora, ma fa nascere subito la domanda di cosa sarebbe successo in un palazzetto, soluzione improbabile vista l'età media degli intervenuti. Curiosamente, qualche metallaro amante degli Opeth spicca per la tenuta d'ordinanza nera nel marasma borghese di "old" progster che preferiscono camicie bianche o a righe le quali mal si adattano ad un concerto rock in generale.

La terza data del tour in Italia comincia verso le 21:20, con la comparsa dell'imponente figura del cantante Nad Sylvan (Unifaun, Agents of Mercy) che punta un piccolo cannocchiale per immaginarie stelle sull'intro di Watcher of the Skies. Nonostante sia al principio penalizzata da una distorsione eccessiva nelle tastiere, l'opener di Foxtrot scorre via veloce riscaldando a dovere un'audience che non risparmierà applausi alla performance del gruppo. Il brano viene suonato rispettando l'originale, nessuna invenzione (non si può su quello che può esser definito un “modello” del genere), e con la dovuta perizia tecnica; particolarmente impegnata e degna di nota la sezione ritmica (Lee Pomeroy al basso e Gary O'Toole alla batteria) che, come in tutto il concerto, è praticamente impeccabile sia per i suoni che per l'esecuzione delle rispettive parti.

Il tempo di salutare in italiano il pubblico ed è subito l’ora di una bella versione, corredata anche da una buona soluzione scenografica, di The Chamber of 32 Doors,nte degna di notar definito e, uno dei numerosi estratti da The Lamb Lies Down on Broadway. Ma è con l'immortale Dancing with the Moonlight Knight (Selling England by the Pound) che i Nostri, grazie al sostegno dei fan, regalano il primo momento memorabile della serata. Tutto va alla perfezione, dal cantato, accompagnato nella parte iniziale dal coro del pubblico, agli effetti scenografici (alle spalle dei musicisti erano presenti tre schermi su cui venivano proiettate diverse immagini nel corso dei diversi brani), al gruppo tutto che, molto affiatato, ripropone la mitica canzone con convinzione in ogni suo tratto.

Si torna a “respirare” con la selezione di canzoni da The Lamb: si parte con Fly on a Windshield, si attraversano le trame di Broadway Melody of 1974 e Cuckoo Cocoon per arrivare alla drammatica interpretazione di The Lamia, con un grandissimo assolo finale di Hackett che duetta con il clarinetto di Rob Townsend. Sicuramente una scelta da apprezzare rispetto alle classiche e abusate The Carpet Crawlers e In the Cage. Ma un boato accoglie le note di Firth of Fifth (ancora una sortita da Selling England by the Pound) che si rivela un nuovo momento magico del concerto in cui tutto funziona a meraviglia, dalla difficile intro al pianoforte (suonato dall'ottimo Roger King) allo storico, lunghissimo e strepitoso assolo di Hackett ben supportato dal flauto (da notare anche un simpatico duetto tra i due musicisti sul bridge di mellotron): finita la canzone, la nostalgia per tempi che non torneranno più è tangibile nel pubblico, accentuata dal feeling “bucolico” del brano.

Un dolce arpeggio acustico di un Hackett solitario sulla scena introduce Blood on the Rooftops cantata dal batterista il quale esibisce una voce calda ed avvolgente. Segue, quindi, un gustoso intermezzo strumentale sempre da Wind & Wuthering con Unquiet Slumbers for the Sleepers… che sfocia in …In That Quiet Earth per poi concludersi con l’incantevole Afterglow, e sembra davvero rivivere un Phil Collins d’annata (che anticipa cose di No Jacket Required e Invisible Touch).

Pausa brevissima di preparazione alla sing-along song della serata I Know What I Like. La proverbiale compostezza della platea prog lascia il passo ad un appassionato accompagnamento vocale al cantante, che sembra solo un po' impacciato nel riprodurre le movenze del Gabriel di Selling England. Eccellente il finale, a prolungare l’atmosfera di magia.

Si prosegue con due estratti da A Trick of the Tail: prima i tempi dispari e gli acuti di Dance On a Volcano, con la chitarra ritmica di Hackett in grande spolvero, e quindi la dolcezza di Entangled dove tutti i musicisti lasciano i loro strumenti per affiancare Steve e cantare insieme riuscendo a trasmettere molte più emozioni che su disco, specialmente nel break strumentale alla fine. Ma non c'è tempo per assaporare quanto sta avvenendo che già incalza The Musical Box (Nursery Cryme). Aperto da un inquietante carillon, il brano vede l’intera band affiatata nel dare il massimo: ottimi il flauto, il basso e gli inserti di tastiera nella prima parte, magistrale Hackett nel duello mellotron/chitarra che rende unico il pezzo. Da brivido l'assolo con il batterista che finalmente riesce ad usare anche la sua doppia cassa, trascinante la cavalcata conclusiva che non fa prigionieri, emozionante l’epilogo in cui il cantante rievoca il dramma del fantasma intrappolato, con una voce sinistra che tanto ricorda il Gabriel d’altri tempi. Certamente il brano meglio riuscito finora e molto più trascinante della versione su disco. Al termine, il pubblico sottolinea calorosamente il suo apprezzamento con un lungo applauso.

L’ultimo atto e coronamento dello spettacolo è l'epica suite di Foxtrot, Supper's Ready, in cui i Nostri si alternano tra le fasi strumentali e quelle cantate con grande mestiere. Nota di merito un gigantesco e scenografico “6 6 6” di luce rossa che campeggia sullo sfondo; nota di demerito una "stecca" nell'assolo finale ad opera del tastierista. L'uscita di scena del protagonista, scendendo le stesse scale da cui era salito all'inizio del concerto, chiude virtualmente un cerchio emotivo che riconcilia i presenti con un’attualità che non potrà essere più come il passato. I bis si rivelano la ciliegina sulla torta di questa bellissima serata. L’opener di Wind & Wuthering, Eleventh Earl of Mar, è riproposta magnificamente in modo particolare nell'interpretazione del cantante che ricalca perfettamente il miglior Phil Collins di sempre. Finale d'obbligo con Los Endos da A Trick of the Tail, che esalta ancora una volta le capacità esecutive del gruppo di supporto e di Hackett medesimo mentre si divertono a giocare un po’ con gli attrezzi del mestiere per arrivare al giusto crescendo dell'attacco del brano.

In conclusione, un concerto che rientra a pieno titolo nelle ormai sempre più frequenti “operazioni nostalgia” che, pur con tutti i difetti di innovazione e sperimentazione, riescono a regalare almeno per una sera l'illusione di poter rivivere la musica e le sensazioni irripetibili dei Seventies.

Italo Testa

 

 

Da quando è uscito il Genesis Revisited II, ho sempre criticato Hackett per tale progetto. Tuttavia, se le mie critiche all'operazione discografica restano immutate (una chiara mossa commerciale), il concerto mi ha riconciliato con l'Hackett musicista. Ma andiamo con ordine.

Avendo, di regola, evitato concerti di cover band (compresi i The Musical Box, di cui tutti parlano come perfetti musicisti e ripropositori del mondo Genesis), questo di Hackett è il mio primo “live” in cui vengono suonate quelle canzoni che hanno segnato profondamente il mio animo musicale. Non sapevo, quindi, quale reazione avrei avuto nel sentire suonare dal vivo (e bene) la musica di “quei” Genesis.

All'inizio del concerto, con il mellotron eccessivamente distorto (ma poi rimesso a posto dai tecnici del suono), sono un po’ distante, tendo a non farmi coinvolgere, voglio vedere di che pasta sono fatti i musicisti: voglio capire se ci credono o mi stanno prendendo in giro, e così per tutto Watcher of the Skies io e la band di Hackett “prendiamo le misure”.

Giocano sporco, poi, con The Chamber of 32 Doors, uno dei miei brani preferiti di The Lamb Lies Down on Broadway... che fate, i ruffiani? E la suonate pure bene?

Ma non posso che sciogliermi con Dancing With the Moonlit Knight da Selling England by the Pound, il disco con cui conobbi i Genesis, con cui ho studiato durante le mie scuole medie, rimediato tra i dischi dei fratelli maggiori... un pezzo dei miei ricordi, della mia vita, messa a nudo lì davanti a duemila persone... quasi mi vergogno. Però, dalla reazione sul pubblico, dalla faccia degli altri, comprendo che tutti hanno una loro storia legata a quel brano, tutti indifesi nelle mani di Hackett che in quel momento è padrone del nostro respiro, a seguire all'unisono i meandri della canzone: un errore, una scelta sbagliata e l'incantesimo svanisce. Ma niente va storto, e tutti quanti hanno bevuto il calice amaro dei ricordi innaffiati dall'esperienza attuale del concerto che comincia a diventare, per me, già memorabile.

Ognuna delle selezioni da The Lamb Lies Down on Broadway mi sembra più che azzeccata, allontanandosi dalle solite riproposte dell'epoca Collins. Avrei visto bene una Back in N.Y.C., ma non si può avere tutto. Certo è che la platea intera sottolinea il suo gradimento, soprattutto per gli estratti da Selling England by the Pound e, quindi, con Firth of Fifth si rimane col fiato sospeso ad ascoltare l'intro del pianoforte, pregando che le dita non incespichino, che l'emozione riviva dentro di noi come le tante volte che questo brano ci ha accompagnato nel corso dell’esistenza. Ed anche stavolta è filato tutto liscio, per la gioia dei presenti che ringraziano di essere lì, ringraziano un Hackett soddisfatto, come sempre, di suonare davanti ad un pubblico che ama la musica che egli ha contribuito a creare; e non importa se sono passati quarant’anni ed oltre: il rapporto d'amore si consuma nuovamente e con la stessa soddisfazione.

C'è, poi, il momento per distendersi e divertirsi, con i vari brani tratti da A Trick of the Tail e da Wind & Wuthering, album che mi piacciono ma che, diversamente dai precedenti, non fanno parte propriamente del mio DNA.

E quando si arriva a The Musical Box e a Supper’s Ready, beh... l'emozione è tale che, a sorpresa, mi ritrovo anche a perdonare il povero tastierista che nell'assolo di Apocalypse in 9/8 inciampa su tre note, sebbene si riprenda perfettamente senza procurare ulteriori “danni”. Del resto, finalmente ho potuto gridare il mio personale «Waiting for battle» (in Supper’s Ready).

I bis sono sempre tristi, sai che da lì a poco tutto finisce; a maggior ragione, me li godo tranquillo in attesa di applaudire i musicisti che mi hanno fatto assistere ad uno spettacolo stupendo. Un applauso liberatorio dell’ondata di emozioni che, a piene mani, i protagonisti sulla scena hanno saputo infondere durante l’intera serata.

La sensazione che mi è rimasta è quella di aver ascoltato un concerto vero, non il consueto revival degli anni '70 bensì un concerto del 2013 di musica degli anni '70. Non so se rendo bene l'idea. La scaletta, di per sé, è costruita per guidare l'ascoltatore nei suoi ricordi e marcarli con un'emozione che è nuova, cosa molto diversa dalle esibizioni delle varie cover band che replicano, semmai con maestria eppure con troppa meticolosità, una precisa data di un particolare tour dei Genesis periodo Gabriel. Qui gli artisti si sono messi in gioco, si sono misurati con delle partiture, con dei “classici” difficili da affrontare, dando fondo alla propria tecnica e personalità. E meno male che qualcosa è andato storto, ciò ha avvalorato ancor di più la matrice live, la portata odierna e moderna dell'evento.

Hackett è stato generosissimo sul palco, ha lasciato spazi agli altri musicisti senza accentrare su di sé (e poteva farlo) l'attenzione. Ha semplicemente ricoperto il suo ruolo: un chitarrista di una band. Tanto di cappello!

Il pubblico non è di quelli scalmanati, sono tutte persone avanti con gli anni, non indosseranno magliette nere, non faranno le corna o urleranno come ossessi ma, per quanto imborghesiti e sposati con figli (qualcuno prossimo alla pensione), con tutti i loro problemi sono lì, sotto un palco a dire grazie in virtù della loro sola presenza e testimoniando la voglia irrinunciabile di emozionarsi con quel genere di musica. Unica colpa, a mio avviso, è di essere poco attenti nei confronti delle giovani leve, di non seguire anche le ottime produzioni che si riescono a realizzare oggi. Ma questo è un discorso che va approfondito opportunamente a tempo debito, e che stona con l'atmosfera qui descritta.

Alla fine, confesso che il concerto mi lascia comunque un po' di amaro in bocca. Se non ora quando? Sì, avete capito. Certo non si può più parlare di reunion o materiale nuovo, ma se in un tour di questo rilievo, che festeggia i Genesis, non presenziano, magari pure soltanto per una fugace apparizione, un Gabriel o un Banks (tanto per citare due nomi), allora è probabile che mai più ci sarà l’occasione di vedere ancora una volta i “ragazzi” tutti insieme. Immaginate cosa sarebbe successo se, ad esempio, per una Lamia fossero saliti sul palcoscenico del teatro i compositori originali del pezzo?

Montag

Foto di Geppo

 

Ultimo aggiornamento (Venerdì 07 Marzo 2014 15:32)