alt Brani:
1-Pane da guardia; 2-La fiera di Dusseldorf; 3-Sabbia di cammelli di sabbia; 3-Perchè hai il fiatone John?; 5-Buccia di pesce; 6-Appuntamento al buio; 7-L'osso dell'albero; 8-Sig. Tartaruga; 9-La tua ciabatta focosa.
Formazione:
Gianni Carlin: flauto, glockenspiel, piffero, effetti elettronici; Emmanuele Burigo: chitarra elettrica Fender; Antonio Nabari: basso; Enrico Tormen: batteria.
2016, autoproduzione - durata totale: 47:25

Chitarra elettrica e flauto traverso sono gli strumenti guida di questo bel disco che segna l'esordio dei Campo Magnetico. Si tratta di un quartetto formato da Gianni Carlin, Emmanuele Burigo, Antonio Nabari e Enrico Tormen capace di mostrare subito una certa personalità grazie ad una proposta che mescola influenze derivanti dalla psichedelia, dai Jethro Tull e dai corrieri cosmici tedeschi. In nove composizioni interamente strumentali la band si cimenta in questa musica piacevolissima fin dal primo approccio, grazie all'opener Pane da guardia, che mette in chiaro le cose alternando l'acidità della sei corde all'utilizzo del flauto alla maniera di Ian Anderson. Con questo incipit le caratteristiche del lavoro sono già abbastanza descritte, ma le sorprese sono sempre dietro l'angolo, a partire dalla seconda traccia La fiera di Dusseldorf, che ad una partenza tipicamente tulliana fa seguire un breve intervento con la voce usata in maniera stravagante come strumento; ci sono poi leggere sperimentazioni prima del finale che riporta alle tematiche sonore iniziali. Buccia di pesce, Appuntamento al buio e La tua ciabatta focosa sono invece brani che hanno quel che di ipnotico e ruggente che fa intravedere legami con la koszmiche music (Neu in primis, ma anche qualche riferimento agli Ash Ra Tempel). Il disco, quindi, è incentrato su sonorità intriganti e melodie particolare e scorre via abbastanza omogeneo, con piccole curiosità qua e là, tra rumorismo non troppo spinto, qualche trovata zappiana e l'utilizzo di piffero, glockenspiel e effetti elettronici a completamento di un quadro timbrico decisamente accattivante. Forse un arricchimento strumentale, con l'inserimento di tastiere, o anche di ulteriori fiati, unito ad una maggiore omogeneità potrebbe portare a risultati ancora migliori. Li vuoi quei kiwi? resta comunque un disco che lascia sensazioni positive molto forti e che fa intravedere un futuro potenzialmente brillante per questi musicisti che hanno da subito trovato una loro strada. Noi vi consigliamo di seguirli.

Peppe
gennaio 2017

Ultimo aggiornamento (Mercoledì 12 Aprile 2017 11:04)