Brani:

1-Autio Pelto; 2-Unohtunut; 3-Sukellus; 4-Kahden kuun sirpit

Formazione:

Hannu Hiltula: vocals, flute, soprano sax; Aapo Honkanen: bass; Kimmo Lähteenmäki: keyboards; Mikko Uusi-Oukari: guitars; Mikko Väärälä: drums

Produced by Viima

2009, Viima Records -  Durata totale: 45:13

Tre anni separano questo Kahden kuun sirpit da quell’ottimo esordio che era stato Ajatuksia maailman laidalta (di cui abbiamo già parlato su queste pagine) e nel frattempo ci sono stati dei cambiamenti significativi nella line-up dei finlandesi Viima ed in particolare segnaliamo l’assenza della cantante presente sul primo lavoro, rimpiazzata da Hannu Hiltula che si fa carico, oltre che delle parti vocali, anche del flauto e del sax e che riveste un ruolo importante anche in fase compositiva. Il nuovo album parte subito bene, con i sei minuti di Autio pelto, che conferma un po’ l’indirizzo già intrapreso nel debutto, quindi un sound che risente dell’influenza degli Haikara, soprattutto nelle combinazioni elettroacustiche tra chitarra e flauto, ma anche le parti cantate ricordano la mitica creatura di Vesa Lattunen. E’ solo l’inizio… Il resto dell’album mantiene standard decisamente elevati, anche se notiamo come tenda a virare verso un rock sinfonico un po’ più classico. Questo non vuol dire che ci siano passi indietro, anzi… Il disco si mantiene godibile e bellissimo e numerosi sarebbero gli spunti di nota da segnalare. Si cominciano ad ascoltare passaggi à la Genesis un po’ più marcati rispetto a certi cenni già presenti nel precedente lavoro. Le tastiere cominciano a ritagliarsi spazi maggiori, rendendo il sound più maestoso e classicheggiante. Diventano più evidenti i cambi di tempo e di atmosfera. E intanto il cantato in madrelingua riporta alla mente i grandi del passato finlandese. Dette così, queste cose potrebbero far pensare “be’, nulla di nuovo sotto il sole…”. E invece ancora una volta bisogna rimarcare la brillantezza con cui questa band si propone, capace di miscelare bene influenze evidenti, ma rimanere comunque convincente e con una personalità ben spiccata. Se avete dubbi basterebbe l’ascolto della sola title-track, quasi ventitre minuti di sublime rock sinfonico: inizio d’atmosfera, con mellotron in primo piano ed echi di Watcher of the skies, cantato dai toni solenni, poi momenti più vivaci di insieme, con flauto, tastiere e chitarra elettrica a rifinire e interagire tra di loro, tra divagazioni vicine al jazz-rock, elementi quasi barocchi (in questo brano si segnala anche la presenza di un quartetto d’archi), qualche strizzatina d’occhio ai Wigwam, ritmi sempre agili e momenti solistici di ottima fattura. Una graditissima conferma per quelli che rimangono i più accreditati eredi degli Haikara!

Peppe

Dicembre 2009

 

Ultimo aggiornamento (Martedì 19 Gennaio 2010 16:31)