alt Brani:
cd1 - Duo
1-The key of Klimt; 2-Meeting Dewa; 3-A piece for peace; 4-Waltz for Dilek; 5-Princes' Island; 6-In restless repose; 7-Sonf for Z.T.; 9-Sahara; 10-First day of Spring.

cd2 - Quartet
1-The followers; 2-Looking West; 3-Chasing kites; 4-Riversides; 5-Tales; 6-The purple panther; 7-Breeze; 8-Fethiye crossroads.
Formazione:
Pete Oxley: guitars; Nicolas Meier: guitars; Paul Cavaciuti: drums; Raph Mizraki: acoustic and electric bass.
2016, MGP Records - durata totale CD1: 64:36; CD2: 54:41

La collaborazione tra i chitarristi Pete Oxley e Nicolas Meier (quest'ultimo lo abbiamo già seguito recentemente col suo album solista Infinity) va avanti già da diversi anni, anche con un'attività live di una certa intensità e The colours of time è il terzo album in cui fanno coppia. Per l'occasione hanno voluto fare le cose in bello stile, puntando su un doppio album interamente strumentale.
Il primo cd contiene dieci composizioni in cui il duo si esibisce senza altri musicisti, solo con le chitarre, sia elettriche che acustiche. Oxley e Meier riescono a catturare l'attenzione suonando con grande eleganza e riuscendo a far avvicinare sia elementi classici, attraverso coordinate che possono essere viste come care a Anthony Phillips, sia indirizzandosi verso una fusion leggera che deve sicuramente qualcosa al Pat Metheny più morbido, quello dell'album con Jim Hall, tanto per intenderci. L'utilizzo delle corde di nylon, in particolare, tende a spingere verso sentieri che di volta in volta offrono sensazioni folk, classicheggianti o da world music (e per quest'ultima influenza probabilmente si deve molto alla passione che ha Meier verso la musica turca), con tanta attenzione verso la melodia. Eppure è impressionante come questi indirizzi si sposino alla perfezione con il jazz elettrificato, evidenziando anche la perfetta amalgama tra i due protagonisti.
Passando al secondo cd, Oxley e Meier vengono affiancati dal batterista Paul Cavaciuti e dal bassista Raph Mizraki. Inevitabilmente qui la musica si fa più vivace e spumeggiante. Si fa ancora più evidente l'orientamento fusion e si mantiene alta qualità anche nelle otto composizioni di questo secondo dischetto, soprattutto grazie al fatto che si evitano eccessi di virtuosismo e si punta maggiormente su un discorso scorrevole, merito anche delle solite combinazioni tra suoni acustici ed elettrici e dei dialoghi sempre birllanti tra i due chitarristi. I riferimenti al Pat Metheny Group si avvertono chiaramente, ma non manca qualche traccia più vicina ad un jazz classico e soffice.
Non è un caso se i curriculum dei due protagonisti sono pieni zeppi di collaborazioni eccellenti con grandissimi nomi del rock e del jazz (si va da Gilad Atzmon a Jeff Beck, da Jimmy Haslip a John Etheridge, da Brad Mehldau a Vinnie Colaiuta, giusto per nominarne qualcuno). Classe, professionalità e notevoli doti compositive vengono fuori costantemente da questo doppio album che ha anche il pregio di non stancare mai. Fortemente consigliato a chi ama la chitarra e i lavori strumentali suonati senza sbavature e a cavallo tra fusion e varie contaminazioni.

Peppe
gennaio 2017

Ultimo aggiornamento (Mercoledì 12 Aprile 2017 10:52)