1991-1999 il decennio d'oro del prog metal

Abbiamo già accennato, nel numero precedente, come il 1992 sia stato l'anno in cui il Metal uscì definitivamente dalla scena musicale mainstream lasciando il posto al Grunge e all'Alternative Rock. La traversata nel deserto, che avrebbe avuto termine solo alla fine del decennio, con la crisi dell'industria discografica tutta, era cominciata. In pratica, improvvisamente, molti gruppi di Hard Rock/AOR e Thrash (i generi che avevano dominato l'ultima parte degli anni '80) si trovarono senza il supporto delle loro etichette (clamoroso il caso dei Warrant, numero uno USA nel 1989) o magari con dischi ultimati ma mai pubblicati perché ritenuti "fuori moda" o fuori tempo massimo (il misterioso secondo album degli Alias, o il terzo disco dei Bad English per restare in ambito AOR). Eppure, solo un anno prima, nessuno avrebbe potuto profetizzare questo scenario. Il 1991 sarà, infatti, ricordato come uno degli anni di maggiore popolarità del Metal. Basti pensare che gli Iron Maiden arrivarono fino al numero 1 in UK a cavallo tra Natale '90 e Capodanno '91 (2 settimane al vertice!) con la commerciale Bring your Daughter to the Slaughter, mentre, nel giro di 2 mesi, da giugno ad agosto, esordirono direttamente al numero 1 (!) della classifica di vendita di Billboard in USA i Van Halen di For Unknowful Carnal Knowledge, gli Skid Row di Slave to the grind e i Metallica del Black Album.

E' proprio il Black Album, però, che in un certo senso sancisce la morte del Metal così come conosciuto fino ad allora. I Metallica godevano di un credito crescente dopo un disco come .. And Justice for all che, seppur ostico e mal prodotto, aveva trainato il loro primo singolo con video (la famosa One) verso la Top 40 statunitense nel marzo del 1989 ed anche questo era stato un evento straordinario per un gruppo che aveva sempre rifiutato di commercializzarsi, almeno fino ad allora. L'attesa per il loro nuovo album fu alimentata ad arte dai media fino al fatidico Agosto 1991 in cui uscì il singolo Enter Sandman: dopo che anche le più provinciali delle radio italiane lo elessero a singolo della settimana, tutto fu più chiaro. Il Thrash era morto e con lui molti altri sotto generi del Metal. Infatti, i Metallica dopo aver giocato a rallentare il Thrash scoprirono, grazie alla magistrale ed innovativa produzione di Bob Rock (simile all’opera certosina di Terry Date per i Pantera di Cowboys from hell), che era possibile proporre un suono aggressivo e "cattivo" ma allo stesso tempo pulito e "laccato". Insomma, le cavalcate metalliche dei tempi di Ride the Lightning cominciarono ad essere scarnificate, semplificate, fino a diventare mid-tempos anthemici (Enter Sandman, Sad but true) che in qualche caso si rallentavano fino ad arrivare ad un punto in cui le melodie tipiche delle power ballads Hard Rock/AOR ben si mescolavano con un cantato robusto (Nothing else matters, The unforgiven). In pratica quello che sarebbe stato riconosciuto in seguito come un ibrido innovativo ed influente per il Rock mainstream in generale condensava in sé tutto il "meglio" di quanto proposto dal Metal negli anni '80. Di conseguenza tutto il resto sembrò, dalla sera alla mattina, vecchio. Parallelamente, anche i Guns & Roses arrivavano, da strade diverse, praticamente allo stesso punto ammorbidendo il sound stradaiolo di Appetite for Destruction con il pretenzioso doppio Use your Illusion che sarebbe stato il canto del cigno dello stesso gruppo. Sia i Metallica che i Guns & Roses incarnano l'apice e la caduta dell'impero del Metal. Per uno scherzo del destino, Nevermind dei Nirvana uscì appena una settimana dopo i due Use your illusion: tutti questi tre dischi seppelliscono il Metal e danno i natali all'ultimo movimento nell'ambito del Rock in grado di unire e rappresentare una generazione intera.   Ma sotto le ceneri qualcosa covava… Come argomentato nella prima parte, una frangia minoritaria di gruppi Metal tentava di andare contro questa tendenza semplificatrice nel Rock mainstream che si sarebbe affermata negli anni '90. Il Techno-Thrash alla Watchtower o Sieges Even però era troppo cervellotico per il vasto pubblico. I primi a comprenderlo furono i soliti Voivod che già con Nothingface (1989) avevano smussato gli angoli iper-tecnici presenti in Dimension Hatross o Killing Technology: proprio nel 1991 pubblicano, infatti, il controverso Angel Rat. Con canzoni brevi, cantato meno psichedelico e sfuriate Thrash degli esordi del tutto assenti, i Voivod tentarono la via del successo giocando di nuovo la carta dell'innovazione a tutti costi, per giunta non per forza commerciale. Angel Rat voleva essere infatti un grande disco Rock, non più Metal, non più Thrash, non più Progressivo, ma mancava essenzialmente di buone canzoni. Insomma, la direzione presa dai maestri Voivod non fu quella giusta ed il movimento Techno Thrash si trovò senza più una guida e si smarrì.   Non fu così per gli altri gruppi che avevano dato vita alla prima ondata del Prog Metal negli anni ’80 e che avrebbero lasciato una maggiore impronta sul genere. La chiave della loro sopravvivenza fu quella di poter offrire a tanti ascoltatori “maturi” ciò che le mega-produzioni alla Metallica o Guns & Roses non potevano offrire più: musiche capaci di evocare stati d'animo complessi, ma allo stesso tempo in grado di catturare l'ascoltatore anche al primo ascolto. Si erano già mossi su questa linea i Queensryche di Empire nel 1990 riuscendo ad ottenere nella primavera del 1991 un top ten in USA con la Pinkfloydiana Silent Lucidity. Il tour in cui i cinque di Seattle si imbarcarono riportò all'attenzione del pubblico anche Operation Mindcrime (esguito nella sua interezza) e da quel momento il Prog Metal trovò la sua vera strada. Il 1991, infatti, vide la pubblicazione di Parallels dei Fates Warning la cui influenza non tardò a farsi sentire quando nel marzo dell'anno successivo, in un silenzio ancor più assordante, uscì Images and Words dei Dream Theater. Tutto ciò che venne dopo è storia. Il Metal, deliberata-mente tenuto lontano dalla ribalta mediatica, cominciò ad espan-dersi come un fiume sotter-raneo dell' Under-ground. Il Prog ed il Power Metal negli anni '90 furono due delle quattro colonne fondanti (insieme al Death ed al Black Metal) che ressero l'onda d'urto del Grunge e che ci permettono ancora oggi di parlare di Metal. Nell'ambito del Prog Metal, sarebbe impossibile citare tutti i gruppi che seguirono le orme dei fondatori. Non tutti lo fecero con la dovuta originalità o capacità, anzi spesso la cifra stilistica di molti gruppi fu ridotta a semplice riproposizione di un canone stabilito ed immutabile. Ciononostante, fu esaltante vivere un periodo in cui ogni mese spuntava fuori un gruppo in grado di attirare l'attenzione sin dalla copertina evocativa (confrontate ad esempio la copertina di Supremacy degli Elegy o di Awake dei Dream Theater con gli orrori “bestiali” di Vs. dei Pearl Jam o di Pork Soda dei Primus).

Solo coincidenze?

Parallelamente all’esplosione del Prog Metal dopo il 1992, anche il mondo del New Prog ebbe una scossa creativa che contribuì a tenerlo in vita e condurlo fino al nuovo millennio dove nuove forze avrebbero vitalizzato il genere. Non c’è qui lo spazio per approfondire ciò che accadde in quel decennio. Ricordiamo solo che, “stranamente”, dal 1993 in poi gruppi come IQ, Pallas o Pendragon cominciarono ad essere scoperti da un pubblico del tutto nuovo, pronto a sua volta ad accogliere le loro proposte: Ever e Subterranea degli IQ rimangono dei best-seller nella discografia del gruppo, come anche The Window of Life (1993) e The Masquerade Overture (1996) per i Pendragon. E, sempre “stranamente”, anche i Marillion ritornarono a pubblicare grandi dischi come Brave (1994) o This Strange Engine (1997) dopo la parentesi softrock di Holidays in Eden. Furono solo coincidenze oppure qualche merito ai Dream Theater bisogna riconoscerlo?

Risposta di Silvio Leccia

Che i metallari abbiamo apprezzato il New Prog lo si sapeva già dal successo che Script for a Jester's Tear ebbe nell'ambiente Metal.

Le vie della musica sono infinite, ma onestamente il ritorno dei Marillion al Prog è dovuto proprio al mancato successo di Holidays in Eden e alla evidenza di aver perso anche i vecchi affezionati fan. Gli iQ produssero Ever e Subterranea grazie al ritorno di Nicholls e anche lì il mancato successo commerciale di Are you sitting comfortably? pesò sulle scelte della band... Rassegnati Italo il Metal non guarisce tutti i mali!

Dieci dischi per capire il prog metal anni '90

Di seguito proporremo l'ascolto di dieci dischi emblematici e purtroppo da questa lista saranno escluse sicuramente alcune ottime uscite unicamente per ragioni di spazio. Buona lettura e buon ascolto!

0. Elegy

Labyrinth of dreams: uscito nel 1993 proponeva sin dalla bellissima copertina e dalla doppietta di apertura Grand Chance – I’m no fool un modo di intendere il Metal che andava oltre gli anni ’80: doppia cassa, chitarre pulite, assoli melodici che accompagnavano un cantato ispirato a Midnight (Crimson Glory) e Kiske (Helloween) ed una sezione ritmica arricchita talvolta da inserti tastieristici quasi sinfonici. Tutto il disco è un concentrato di melodia e tecnica che contribuiscono a canonizzare il genere: dalla tipica ballata Prog-Metal (title track) ai cadenzati mid-tempos atmosferici con fermate e ripartenze (Take my love, Trouble in Paradise, Powergames) alle contaminazioni con l’AOR (Over and Out). A parte qualche ingenuità di troppo (Guiding light è presa di peso dagli Helloween di Pink Bubbles go ape), l’esordio degli Elegy è un disco da riscoprire! Ottimo anche il secondo disco Supremacy.

9. Threshold - Wounded land: uscito anch’esso nel 1993, questo disco è una fucina quasi inesauribile di memorabili inni Prog Metal, che mescolano al meglio la pesantezza Doom alla Candlemass con il Neo Prog inglese degli anni ‘80. Mid-tempos inquietanti e sprazzi melodici si inseguono senza sosta sin dall’iniziale Consume to Live per continuare con la lenta Days of Death fino alla conclusiva Siege of Baghdad che richiama i Rainbow di Gates of Babylon. Ma è la parte centrale che alza la cifra stilistica del disco: la variegata Sanity’s end che mischia alla grande assoli di tastiera alla Marillion a soluzioni ritmiche di matrice tipicamente Hard Rock, la veloce e tirata Paradox con trionfo di tastiere e assoli AOR e la ballad alla Queensryche (per cantato ed atmosfere) Mother Earth. Tutto il disco è quindi godibilissimo e se ascoltato con il successore in sequenza può dare una valida idea di come il Neo Prog si sia mescolato al Metal in quel periodo magico.

Cavalli di razza - Gli inglesi Threshold sono uno dei pochi gruppi di quegli anni arrivati fino ad oggi, mantenendo un livello medio-alto delle uscite per tutta la loro carriera. Il valore aggiunto è sicuramente stato dato loro da una delle vecchie conoscenze del panorama Neo Prog, quel Karl Groom che aveva partecipato al progetto Strangers on a Train e agli Shadowland. L’altro asso nella manica è il cantante di questo esordio, il carismatico Damian Wilson (ex Landmarq), che canta anche nell’ultima release, March of Progress, del 2012.

8. Morgana Lefay - Knowing Just As I: come per Elegy e Threshold, va ascoltato insieme al quasi contemporaneo The Secret Doctrine (entrambi del 1993). Enter oblivion apre le danze con un malvagio riff interrotto solo da un assolo melodico alla Savatage, seguita dalla atmosferica e al tempo stesso violenta Red Moon che si snoda attraverso cavalcate alla Metal Church su una sezione ritmica e arrangiamenti alla Queensryche di Operation Mindcrime. Semplicemente magnifiche sono l’atmosferica Rumors of Rain (che ricorda i Fates Warning più epici, l’inquietante Wonderland e l’epica Battle of Evermore. Tutte e tre sono paradigmatiche perché codificano gli aspetti più “metallici” del Prog-Metal: cantato pulito ma cattivo e a tratti maligno, cavalcate Power-Thrash e soprattutto atmosfere magiche/misteriose (si senta la nenia finale nella title track) che richiamano luoghi nascosti dove vivono creature sconosciute care ai Genesis e Van Der Graaf Generator più inquietanti.

7. ConceptionParallel minds: anche per i Conception vale il discorso dei Morgana Lefay. Rispetto all’ingenuo debutto, il secondo disco dei norvegesi Conception vive soprattutto dei fraseggi chitarristici di Tore Østby che disegnano emozionanti arabeschi, integrandosi alla perfezione con arrangiamenti che esaltano le tastiere e la sezione ritmica sin dall’iniziale Water confines che ben mescola un aggressivo Power Metal a rallentamenti e ripartenze atmosferici. Roll the fire presenta una struttura ritmica su tappeto di tastiera che farà scuola, And I close my eyes incede con un tocco orientale, mentre Silent Crying è una grande ballad che i Queensryche non hanno più scritto. Quindi, il capolavoro del disco, la title track che velocizza la lezione dei Dream Theater e che rappresenta uno dei capolavori di tutto il genere (da manuale l’accelerazione del ritornello). Il disco scende leggermente di qualità con le lente e pachidermiche Silver Shine o My Decision, ma ci si riprende subito con le mazzate di The Promiser (che ricorda molto da vicino i Queensrche (di Rage for Order) e Wolf’s lair. Infine, il secondo capolavoro, la conclusiva suite Soliloquy che alterna passaggi pacati e bucolici a sferzate metalliche specialmente nella parte conclusiva.

Talento regale.

Autori di quattro ottimi dischi negli anni ’90, i Conception sono rimasti nell’immaginario collettivo solo come il primo gruppo di Roy Khan, poi leader dei power metallers statunitensi Kamelot. La ragione è presto chiarita: l’ugola di Roy Kahn spazia su tutto lo spettro senza problemi, privilegiando però registri solenni ed epici. Questa caratteristica gli valse l’attenzione dei Kamelot che anche grazie ai servigi di Khan riuscirono ad inserire nel loro sound significativi elementi sinfonici prima e progressivi poi (Epica e The Black Halo). Infine, Khan entrerà in lotta di collisione con il fondatore e principale compositore dei Kamelot Thomas Youngblood e annuncerà addirittura il ritiro dalle scene.

6. Edge of SanityCrimson: Una sola song di 40 minuti circa, un concept distopico- fantascientifico alla Rush che proietta il genere umano in una società post-apocalittica in cui l’unica salvezza è una misteriosa principessa che però sembra non adempiere la profezia, una trama musicale basata su assoli melodici e cambi repentini di ritmo/atmosfere che guida efficacemente l’ascoltatore nei meandri della storia. Sono questi gli elementi di un disco che rimane un unicum nel panorama Death Metal, che ha sempre mal digerito esperimenti o tonnellate di melodia. Sarebbe impossibile scendere nel dettaglio dei singoli passaggi dell’album, che alterna atmosfere tirate classicamente Death Metal a momenti di calma e tensione che rendono il disco ascoltabile tutto di fila. Ci limitiamo a segnalare la struggente parte 3 (10:43) che spesso gli Opeth riprenderanno nelle loro opere, e la parte 5 (18:32) che riprende il tema principale e lo estende con numerosi cambi di ritmo.

5. Enchant - Blueprint of the world: Fin dall’iniziale The Thirst i nostri si lanciano nella produzione cristallina che esalta chitarra e tastiera in un gioco melodico che ricorda molto gli ultimi Marillion di Fish ma al contempo strizza l’occhio alla melodia AOR. Con la successiva Catharsis le cose cominciano a diventare serissime: l’atmosfera ricorda i Rush di Signals ed in particolare la ballad Losing it, sia per quel che riguarda i testi che per quel che riguarda i suoni vintage utilizzati. Il disco riproporrà spesso suoni del tutto fuori tempo per gli anni ’90: Oasis è leggera e forse un po’ lunga ma è abbellita da fraseggi di chitarra alla Fugazi, Acquaitance nella sua introduzione fa tornare in mente le drammatiche atmosfere di Tears dei Rush sebbene prosegua come una ballad anni ’80 (ed infatti i suoni ed il testo ricordano Kayleigh); At Death’s door è invece un drammatico affresco sulla morte di un amico dipinto su strutture che ricordano ancora una volta i Rush di Signals o Grace Under Pressure; East of Eden è invece quasi genesiana nel suo incedere ma ancora tipicamente Rush nell’accelerazione finale. Quindi arrivano i due capolavori che fanno entrare di diritto questo debutto nella storia: Nighttime Sky ed Enchanted. Il primo proietta inizialmente l’ascoltatore nelle notti estive degli anni ’80 quando dominavano tastiere e voci sognanti, per poi avvolgerlo in un assolo alla Marillion (ed infatti Steve Rothery è ospite in questo brano); il secondo, incentrato su un amore con una donna bellissima e quindi impossibile invece si presenta come se i Genesis di Selling England by the pound stessero jammando con i Rush, e prosegue come solo i migliori Asia sapevano fare, regalando melodia e assoli su tempi dispari che nessuno al tempo avrebbe osato proporre.

I cantanti death con la passione del prog

Se Michael Akerfeldt ha contribuito a sdoganare il Death Metal presso ambienti Prog grazie alla sua fama di collezionista di Prog e alle collaborazioni con Steven Wilson, Dan Swano non solo è stato uno degli assoluti protagonisti della scena svedese ma anche uno dei musicisti Death tra i primi ad inserire nel sound della propria creatura elementi diversi, proveniente proprio dalla storia del Prog (si pensi ai Pan-Thy-Monium). Inoltre, già nel fondamentale e bellissimo Purgatory Afterglow del 1994, il nostro aveva dato alla luce una lunga canzone come Twilight che prendeva in prestito nel break centrale gli accordi di Bitter Suite dei Marillion. Swano continuerà a soddisfare la sua passione per sonorità Hard Rock melodiche e progressive con i Nightingale durante tutti gli anni 2000.

4. Shadow GalleryShadow Gallery: Le danze, in tutti i sensi, si aprono con The Dance of fools che richiama sin dall’inizio un certo Pomp Rock americano alla Styx e Kansas ma con un lavoro chitarristico che getta le basi per il neonato movimento Prog-Metal. La voce, quasi AOR, gli assoli di chitarra simili ai Boston degli anni ’70, i cori alla Queen e il drumming elettronico rendevano all’epoca indefinibile il genere degli Shadow Gallery. Solo i continui cambi di ritmo presenti in tutte le tracks, che richiamavano un Prog Sinfonico a tratti genesisiano, suggerivano la commistione tra il Metal e qualche altra “cosa” che prima non era presente. Il valore di questo disco è anche evidente nella massiccia immissione nella struttura delle canzoni di partiture quasi classiche che sarebbero poi diventate il marchio di fabbrica dei nostri. Tutte le tracks sono molto variegate e trascinanti: Darktown richiama addirittura gli Alan Parsons di Syrius nell’intro prima di svilupparsi con una progressione che alterna cambi di ritmo ad ariose aperture fino alla bellissima cavalcata di tastiera finale; Mystified è drammatica nel suo incedere che deve molto a Warlord e Fates Warning prima di aprirsi in rivoli melodici come fosse una suite dei Kansas; Questions at hand è tirata ed epica quanto basta per diventare un classico Prog Metal (anche qui i richiami ai Fates Warning di Jon Arch sono evidenti) con un grandissimo assolo gemello chitarra/tastiera (peccato sempre per la batteria campionata); Final hour è una ballad toccante che gli Shadow Gallery riprenderanno molte volte (vedi Christmas day da Tyranny); Say goodbye to the morning è forse l’unico momento più debole dell’album, a causa di una leggerezza troppo simile a certo Pomp Rock americano. Ma il capolavoro è dietro l’angolo: The queen of the city of ice è una suite che ben rappresenta al meglio cosa è il Prog Metal. Come detto all’inizio, gli Shadow Gallery si ripeteranno ancora con due grandi dischi nei ‘90s ma il debut resta un fulgido esempio di prog metal di qualità che difficilmente sarà superato.

La regina di Ghiaccio.

The Queen of the city of ice è un breve concept che narra la storia di un popolo in fuga che vive in una fortezza di ghiaccio su cui regna una regina, bellissima ma triste e delicata come una lastra sottile di ghiaccio, di cui è innamorato il protagonista, forse un viaggiatore capitato per caso in questo bianco regno. Il protagonista avverte nei sogni i presagi della futura fine (già riflessi negli occhi della regina) che puntualmente avviene quando il resto della popolazione che non era fuggita li raggiunge e assedia la città (non si sa bene perché) finchè essa non si scioglie e la regina svanisce nel mare… Questa la prima parte che musicalmente di dipana su un arpeggio triste e malinconico fino al cambio di ritmo che fa da sottofondo alla fuga del popolo assediato.. Nel break tutte le influenze degli Shadow Gallery vengono a galla: Genesis, Queen, Styx e Savatage, finchè tutto tace…. Il protagonista sotto la pioggia cerca la sua regina: la parte di spoken words è emozionante e ci rende parte dei sogni del protagonista innamorato della regina… La parte finale, allegra e ottimista, alla Queen, invece, saluta il popolo che fugge e cerca una nuova vita: un lungo coro epico sfuma la suite mentre il protagonista resta indietro alla ricerca della sua regina scomparsa…

 

3. Queenryche - Promised Land. Promised Land è, come Empire, un grandissimo ibrido, perfettamente a metà tra l'orecchiabilità elegante di Empire (My Global Mind, One more Time) ed un ritorno al Prog Rock (Out of Mind, la Pinkfloydiana title track) e al Prog Metal primigenio (Damaged) dagli stessi Queensryche inventato. Il disco presenta solo due episodi deboli (Disconnected, Lady Jane) che avrebbero potuto essere rimpiazzate da Real World, ottimo brano realizzato per la colonna sonora di Last Action Hero e soprattutto dal capolavoro finale del gruppo, ossia la versione con tutti gli strumenti della struggente Someone Else? che invece era contenuta nel 12'' di I am I e che rappresenta un buon compendio di Prog Metal che mischia la NWOBHM nell'inizio lento con l'accelerazione finale alla Marillion. La versione acustica per pianoforte effettivamente finita su disco invece è la risposta dei nostri a Space Dye Vest dei Dream Theater e racconta le difficoltà incontrate da Tate nel farsi accettare e nell'accettare il successo (come anche Space Dye Vest rappresentava le difficoltà di comunicazione con l'altro sesso di Kevin Moore). La canzone, come anche tutto il disco, ci dice che i Queensryche come li avevamo conosciuti erano finiti ed una nuova epoca era cominciata. Solo così si può comprendere perchè alla fine i percorsi di De Garmo (ritiro assoluto dalla musica), di Tate e degli altri 3 cavalieri di Seattle si siano separati così acrimoniosamente.

Ascesa e caduta degli imperatori del Metal

Recensire questo disco a distanza di circa 20 anni dalla sua uscita fa uno strano effetto. Non certo per le emozioni che sapeva e sa ancora regalare ma per quello che è successo dopo nella storia del gruppo. Nessuno, nel 1994, infatti avrebbe immaginato che questo sarebbe stato l'ultimo "vero" disco di un gruppo come i Queensryche. E nessuno avrebbe potuto immaginare che il gruppo capace di rivoluzionare il Metal per sempre con opere come Rage for Order, Operation Mindcrime e Empire si sarebbe potuto separare da Geoff Tate dopo 6 flop consecutivi che hanno forse irrimediabilmente minato la credibilità del gruppo. Sapendo come è andata a finire la storia dei Queensryche, questo Promised Land acquista un retrogusto ancora più amaro e malinconico di quanto già non avesse nel 1994. La ragione della cupezza che pervade il disco all'epoca non era ovviamente dovuta a qualche presagio futuro ma piuttosto ad una attenta riflessione su quanto accaduto al gruppo dopo il successo planetario di Empire del 1990 (3 milioni di dischi venduti). La band girò il mondo praticamente dall'estate del 90 alla fine del 92, incluso un fortunato unplugged a MTV, riproponendo tutto Operation Mindcrime ed il meglio di Empire. Il risultato di questo fu ovviamente la conquista di un posto al sole nell'ultima fase gloriosa del Metal affianco a Metallica e Guns & Roses, ma allo stesso tempo, anche l'esaursi di una certa vena creativa che aveva reso possibile la realizzazione di Empire, esempio unico di ibrido tra Prog Metal e Melodic Metal. Il gruppo impiegò due anni dopo la fine del tour per completare questo disco cercando di riannodare i fili delle proprie vite. E' per questo che le lyrics sono piene di riferimenti alla vita familiare (Bridge, I am I) dei principali autori della band, proprio Geoff Tate e Chris De Garmo. E questo ulteriore sforzo per partorire un grande disco svuotò del tutto il gruppo, purtroppo.

 

2. Fates WarningParallels: cominciamo dalla copertina, che riprende il tema del precedente Perfect Simmetry, ma con una metafora ancora più chiara: il vecchio di Perfect Simmetry è ormai morente e al suo capezzale c’è una bambina, e nella pendola c’è la statuetta del precedente disco. I paralleli del titolo sono più che altro rette parallele su cui viaggiano il vecchio, la bambina e tutti i protagonisti delle tracks. A partire dall’iniziale Leave the past behind introdotta da un tipico arpeggio alla Matheos e che si apre con un tempo dispari pazzesco sostenuto dal grandissimo Mark Zonder (ex Warlord) e che prosegue con il classico mid-tempo Prog Metal atmosferico sostenuto da un Roy Alder in stato di grazia. Segue un classico immortale dei nostri come Life in Still Water più volte ripetuto in sede live che presenta di nuovo un mid tempo che sfocia in grandissimo assolo e ritornello. L’incomunicabilità è un pallino di Jim Matheos e Eye to Eye (primo singolo tratto dall’album) non fa altro che ricordarcelo. Musicalmente si tratta della riedizione quasi identica di Through different Eyes del precedente Perfect Simmetry, ma la ricchezza di arrangiamenti e melodia non fa altro che rendere questo nuovo capitolo imperdibile. La seguente Eleventh hour è una suite notturna che richiama alla mente ancora una volta i Queensryche, questa volta quelli di The Warning. The 11th hour svanisce e comincia il lato B con il capolavoro dei Fates Warning nonché uno dei manifesti del Prog Metal. Point of view sintetizza un modo di intendere il Metal che ormai è scomparso ma che ancora emoziona: strofa super arrangiata con arpeggio elettrico, innesto sulla base ritmica della chitarra solista nel bridge, ritornello melodico ma realmente drammatico. Il tutto era stato già codificato dai Queensrcyhe in Operation Mindcrime ma qui i Fates Warning cercano la loro strada e trovano un’alchimia che non raggiungeranno più. Le seguenti We only say Goodbye e Don’t follow me sono gemelle perchè ripropongono la struttura e le variazioni di Point of View ed entrambe sono abbellite da grandissimi assoli di Matheos, specialmente la seconda. Il disco si chiude con un’altra suite notturna come The road goes on forever, una lunga ballad che chiude il cerchio idealmente riprendendo l’arpeggio iniziale di Leave the Past behind. Musicalmente Matheos ci delizia con un arpeggio malinconico che diventerà il suo marchio di fabbrica ma che qui ricorda molto qualcosa dei Sanctuary del secondo disco. Il disco si chiude così tristemente come richiesto dalla copertina e dal tema.

L’introverso Jim Matheos

I testi nei Fates Warning sono emblematici di un certo modo di intendere il Prog Metal. Ad esempio, in Point of View il ritornello recita:

Side by side, Divided they stand, Parallel lives running parallel with YOU, To the point where our horizons divide, My opinion is just a point of view, And your position is the other side

Il senso del Prog Metal dal punto di vista umano è tutto qui: non possiamo comunicare perchè siamo diversi, abbiamo opinioni diverse, siamo su strade parallele. Punto. Ovviamente sottinteso: noi siamo superiori a voi approccio che giustifica anche una certa chiusura del fan Prog Metal medio verso inutili contaminazioni sonore che avevano già distrutto il Metal negli '80. E se il concetto non fosse chiaro arrivano due capolavori minori a ricordarcelo:

We only say Goodbye e Don’t follow me

La prima si apre con il verso inequivocabile ed immortale:

Today was the end of a dream As I watched your shadow disappear Another moment for the memory As we lose another year

la seconda riprende il tema dell’incomunicabilità con i versi:

Like an old friend with nothing left to say You'll find I'm not who YOU thought I'd be As YOU contemplate the silence Waiting for pearls of wisdom to fall

1. Dream TheaterImages And Words: il disco simbolo del Prog-Metal si apre con Pull me Under e con il suo storico accordo iniziale di Petrucci che definisce, con quell’innovativo mid tempo a metà tra AOR e Classic Metal, uno standard con cui tutti i futuri gruppi Prog Metal si dovranno confrontare. Another day, arricchita da un sassofono evocativo è pura poesia che aggiorna le power ballads tanto popolari negli anni ‘80 pur senza scadere nel patetico come Nothing Else Matter dei Metallica. Take the Time è un continuo inseguirsi di ritmi dispari indiavolati che vengono costantemente stoppati e fatti di nuovo ripartire con l’assolo che diventerà marchio inconfondibile di Petrucci. Surrounded è un omaggio ai Marilllion dell’ultimo Fish di Sugar Mice. Metropolis può benissimo alternarsi a Pull me Under per definire IL Prog Metal perchè racchiude in sé per la prima volta Crimson Glory, Warlord e Fates Warning. Under a glass moon, con il suo storico assolo liquido centrale che fa ancora scuola, aggiorna la lezione dei Queensryche di Operation mindcrime con innesti AOR e Prog alla Yes e Rush. Wait for sleep è la ballad perfetta nella sua semplicità, mente Learning to live con la sua drammaticità ricorda un pò le cose migliori degli Emerson Lake e Palmer e degli Yes. I nostri confermarono il talento dell'esordio negli anni a venire: il cupo Awake, l’album del 1994, è di un soffio al di sotto diImages and words solo perché c’è qualche raro minuto di caduta di tono; A change of Seasons, del 1995 è un altro gioiellino che da solo vale la discografia di molti gruppi. È vero che i nostri caddero (in tutti i sensi) nel 1997 con Falling into Infinity, ma è anche vero che quel disco era il risultato di richieste irricevibili della loro etichetta. Ed infatti il secondo capolavoro, Scenes from a Memory, è rinviato solo di due anni. Sebbene forse addirittura superiore, Metropolis part II però non riesce a soppiantare l’amore viscerale di molti per questo secondo disco, forse solo perché Images and words uscì al momento giusto al posto giusto. Ormai quel mondo non esiste e forse nemmeno chi lo insegue ha ancora velleità di tornare indietro… resta dunque il ricordo che però si trasforma in leggenda e quindi in mito che diventa patrimonio condiviso di tutto coloro che amano la buona musica.

Cinque dischi di Prog Metal italiano degli anni ‘90

5. EpicaConfini (1995) Dopo un demo nel 1992 (Suoni e colori, debitore dell’hard rock degli Sharks per le tastiere ed il cantato in italiano), il gruppo di Alessandro Secchi (Flight Charm) arriva al debutto per la Pick-up con un buon ibrido tra i Queensryche (voce) e Dream Theater (ritmiche). Molti i punti di forza di questo disco: dalla title track a Grido indiano, dalla sorprendente cover di Impressioni di Settembre, alla ballad Stanze vuote. Capolavoro assoluto, la conclusiva Anime di Vetro, ispirato ai Queensryche di Promised Land e alle Orme più depressive.

4. PresenceThe sleeper awakes (1994) Dopo due ottime autoproduzioni (The Shadowing, Makumba), il gruppo napoletano approda alla Black Widow e sforna un ibrido ancor oggi inimitato, tra Prog, Jazz, Hard Rock ma soprattutto riscoprendo sonorità Dark-Prog, Doom ed ossianiche più tipicamente italiane alla Goblin, The Black, Paul Chain e Black Hole. Il disco infatti spazia con naturalezza da episodi tirati più propriamente Prog Metal (l’iniziale Enticer e le centrali The sleeper awakes e The king could die issueless) a momenti più riflessivi già presenti nelle loro prime opere (The other Weight of sense, So Dangerous, Endless unceasing lie) fino a momenti Fusion (Key days, Wiled). Ma la vera attrazione dell’album è la voce di Sofia Baccini, nelle vesti di un sacerdotessa pagana che declama nenie inquietanti (Veer), anticipando di ben 15 anni il filone Doom femminile tanto in voga oggi (The devil’s blood, Jex Thoth, Blood Ceremony).

3. Black JesterDiary of a Blind Angel. Ibrido unico tra Malmsteen e Dream Theater, i nostri furono penalizzati da una produzione a dir poco vergognosa (sorte comune a molti gruppi italiani prog degli anni '90 come Finisterre, Prowlers, Notturno Concertante, Nova Mala Strana). Ma tutti i brani sono esaltanti: Night Voices è un manifesto Prog-Metal, The Tower and the Minstrel mescola un richiamo evidente ai Vanexa più epici ed evocativi (Night rain on the ruins) a panorami Prog alla Ezra Winston, Mother moon è una toccante ballad, Black Jester Opera è una cavalcata a metà tra Pomp e Classic Metal alla Malmsteen con un riff che sarà spesso ripreso dai Rhapsody. Ma il disco si regge sull’eccezionale uno-due della title track e della suite Time Theater + King of eternity che evoca Savatage e Malmsteen

2. Time MachineProject: Time scanning. Rappresentano la naturale evoluzione di quel Metal italiano anni ’80 (Royal Air Force, Sabotage, ultimi Vanadium) che strizzava l’occhio al Rock americano senza indulgere troppo nell’AOR. L’EP è il disco che avrebbero dovuto far uscire i Queensryche dopo Operation Mindcrime al posto di Empire. L’opener 753 a.c. riscopre il riff di Deliverance da The Warning e ne aggiorna le partiture con moltissimi cambi di tempo e temi diversi, assolutamente difficili da immaginare pensando che il brano dura solo 6 minuti e mezzo. Holy Man richiama la melodia AOR degli Elektradrive e degli ultimi Vanadium non senza aver portato per mano l’ascoltatore in territori molto lontani dal metal e più vicini al Prog. Past and Future e History sono i due capolavori: il primo è Queensryche di Rage for Order; il secondo brano, presenta un andamento mid-tempo che ricorda nel cantato Geoff Tate (The Warning).  

1. Malombra - Malombra. Creatura di Mercy, cantante dei seminali Zess (Et in Arcadia Ego), i Malombra partono dal Doom alla Paul Chain, per proporre una personalissima miscela di dark sound influenzato da Black Widow, Jacula ed Orme con venature Metal che richiamano, specialmente negli assoli di chitarra, i Mercyful Fate e soprattutto i Black Sabbath (la sinistra copertina è un chiaro omaggio al loro disco omonimo). L’iniziale The Witch is dead è una ballata Dark-Prog alla Black Widow con i fiocchi, con un organo impazzito emerso direttamente dai dischi di Jacula che insegue l’ascoltatore in bui meandri; con la seguente In the Year’s shortest day siamo investiti da un Doom catacombale che si trasforma in una cavalcata alla Mercyful fate per poi diventare una divagazione tastieristica omaggio alle atmosfere degli sceneggiati italiani anni ’70 come Il Segno del Comando ed infine ritornare ad una fuga che richiama il tema di Suspiria dei Goblin. Still life with pendulum apre il lato B ed è un altro esempio di Prog-Doom che richiama alcune cose dall’esordio dei napoletani Presence. L’ossessiva e pesante Butcher’s love pains è forse la track più debole con un cantato di Mercy troppo sotto tono mentre il capolavoro è la conclusiva ed ossianica After the passing che ricorda Paul Chain per il rituale iniziale ed i migliori Black Widow per il tessuto musicale (indimenticabile l’atmosfera ancestrale creata dal flauto). Il riff finale di chitarra stende un manto sinistro sull’ascoltatore in modo da farlo sentire veramente parte della processione notturna che, forse, conduce alla morte la Strega di cui si parla nel primo brano, in modo che tutto ricominci.

Avremmo potuto trattare molti più gruppi (vado a memoria: Last Warning, Athena, DGM, Labyrinth, Secret Sphere, Vision Divine solo per citare quelli che hanno avuto un certo successo) ma la descrizione sarebbe stata lacunosa e non avrebbe reso giustizia ad una scena che all’epoca si muoveva veramente con poche risorse ma al contempo con un entusiasmo che avrebbe generato in pochi anni colossi in grado di rivaleggiare con nomi affermati della scena europea (Rhapsody e Labirynth su tutti). In un certo senso gli inizi degli anni ’90 in Italia permisero la transizione dalla più totale inesperienza degli anni ’80 (si provi ad ascoltare la produzione di un qualsiasi disco Metal registrato in Italia all’epoca) alla professionalità degli anni 2000 (si pensi alle attuali iper-produzioni dei Rhapsody). Il momento chiave di tale passaggio temporale è rappresentato dal movimento Prog-Metal italiano che almeno fino alla fine dei ‘90s ha espresso il meglio di sè prima di avvitarsi inevitabilmente su stesso per almeno tre ragioni: l’affermarsi del Power e del Black Metal su larga scala; la mancanza di fondi e di occasioni di esibizioni live nello stivale; esaurimento dell’ispirazione o addirittura estinzione di alcuni gruppi chiave, tra cui proprio alcuni di cui vi parleremo qui.

Sulla scena italiana Metal underground degli anni ’80 e ’90 è stato detto e scritto molto. Per coloro che fossero interessati rimandiamo ai volumi fondamentali di Gianni della Cioppa, Italian Metal Legion (Edizioni Andromeda Relix, 2005) e di Eduardo Vitolo, Sub Terra (Tsunami Edizioni, 2012).

 Italo Testa

febbraio 2014

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Ultimo aggiornamento (Mercoledì 03 Settembre 2014 15:56)