alt Brani:
1. In The Land Of Dreams (7:43); 2. More Than I Can (8:17); 3. Learn To Let Go (7:33); 4. Millennium (8:31); 5. The Silver Key (26:12): - a. Intro (The Loss Of The Silver Key) (2:48) - b. The Gaunt Man (The King Of Shadows) (4:38) - c. The Running Kid (3:39) - d. The Guardian Of The Seventh Seal (2:08) - e. Through The Gates Of The Silver Key (2:25) - f. Dim Carcosa (3:54) - g. The Silver Key (2:44) - h. Finale (The King Of Light) (3:56); 6. Welcome (4:36).
Formazione:

Yuri Abietta: vocals, acoustic guitar, sampler; Carlo Monti: lead, acoustic and classical guitars; Davide Manara: keyboards, synths, sampler; Alberto Grassi: bass; Viviano Crimella: drums, percussion.

2012, Ma.Ra.Cash Records - durata totale: 62:52

Sin dalle prime note si comprende la natura new-prog di questo lavoro che, uscito nel 2012 mi era colpevolmente sfuggito fino ad ora, e che per strane strade, è giunto da poco sulla mia scrivania. In the land of dreams è opera ambiziosa e molto articolata ma che riesce nel compito di far premere di nuovo play per un nuovo ascolto: quattro brani iniziali dalla durata di ben oltre i sette minuti, una lunga suite ed il breve episodio finale. Inquadrato il disco capiamo se oltre la forma c'è sostanza: la risposta è sicuramente affermativa perché, sebbene nell'uso delle tastiere (suonate dal talentuoso Davide Manara) e negli innesti del bravissimo chitarrista (Carlo Monti) si comprenda che i Marillion e il new prog in generale abbiano girato molto nelle orecchie dei ragazzi, tutte le composizioni restano personali senza che ci siano momenti espliciti in cui i padri putativi si innestino nella musica prodotta. Il disco è un concept e come tutti i concept costringe ad un certo impegno da parte dei musicisti per svilupparlo. E l'impegno ha dato i suoi frutti. Archiviato il brano d'apertura (In the land of dreams) in cui si comprende subito il DNA della band, fondato essenzialmente su solo di sintetizzatori in alternanza con solo di chitarra, si sprofonda nelle ambientazioni più introspettive di More than I can. La gradevole voce del cantante (Yuri Abietti) ci accompagna nei meandri di questa strana storia, di cui parliamo nell'intervista allegata. Il cantato è in inglese, non sta a me giudicare, mi sembra anche con un buon accento. Il mood triste della canzone sfocia nell'assolo di chitarra a sottolineare la linea melodica fin qui prodotta, mentre il synth ricama il tutto con i suoi arpeggi. Non è la migliore traccia dell'album sebbene siano da apprezzare il lavoro alle tastiere e il finale ipnotico che è effettivamente molto gradevole e funzionale alla storia. Learn to let go è un brano ritmato, con cambi di ambientazioni dettati per lo più dalla bella chitarra che tra assolo e riuscitissimi riff crea grandi spazi musicali. Bello anche il lavoro della sezione ritmica (formata da Alberto Grassi al basso e Viviano Crimella alla batteria e alle percussioni) che mostra di essere fantasiosa oltre che concreta. Quando Yuri sussurra, un sussulto scuote il cuore, quasi ci sembra di sentire atmosfere di Script for a Jester's tear, o dei primi lavori degli Arena, ma tranquilli, il basso stempera subito e ci porta verso lidi inesplorati. Il freetless ci introduce al nuovo pezzo, Millennium, che ricorda ancora una volta i Marillion (periodo Fish) più rilassati, fino a ravvivarsi quando le tastiere prendono in mano il pezzo. Nulla di nuovo, lo ammetto, ma ben fatto, soprattutto quando interviene poi la chitarra con l'ennesimo solo a completare lo schema. Insomma, i musicisti dimostrano di avere buon gusto negli arrangiamenti e nell'impostare il pezzo, oltre a mostrare un gran affiatamento. La suite, The Silver Key, comincia con un bel pezzo, intro - the loss of the silver key, che dal piano e voce, si complica sfociando in The Gaunt man. Il cantato imperturbabile, sale su un pezzo che poteva stare senza problemi in un disco degli Arena. Il logico e conseguente assolo di chitarra è tra i più belli del disco. I minuti passano piacevoli, ma l'apice della suite è in Dim Carcosa dove è stata musicata una poesia di R. W. Chambers (Cassilda's Song). L'arpeggio della chitarra accompagna la narrazione, con il pianoforte e un filo di organo a sostegno del tutto fino all'assolo di chitarra che chiama in causa il resto della band. Come da manuale si resta incantati da tanta cristallina lucidità e capacità nel comunicare emozioni. Il resto della suite continua sulla strada tracciata non ci sono scossoni arrivando alla conclusione con la sicura guida dei tanti synth e solo di chitarra. Si arriva così all'ultima atmosferica canzone titolata Welcome, a sottolineare la circolarità della storia (con la prima traccia si compone: welcome in the land of dreams). Un pianoforte e il bel cantato chiudono degnamente questo esordio degno di nota della band milanese. Un disco new prog praticamente perfetto che mostra però, oltre i pregi, i difetti del genere di cui vuol far parte. Se le atmosfere e una certa melodicità sono azzeccatissime, lo schema intro-assolo chitarra-assolo tastiera alla fine risulta evidente al punto da dare una certa prevedibilità all'andamento di un brano. Il cantato in inglese, poi, impedisce un'ulteriore personalizzazione della proposta musicale della band. Da quanto detto si evince che il disco è un acquisto obbligato per gli amanti del new prog, e contiene concrete promesse per il prossimo disco che speriamo di ascoltare presto.

Silvio Leccia

Ultimo aggiornamento (Lunedì 18 Maggio 2015 11:37)