alt Brani:
1. Doom Against True Hell; 2. My Kingdom For A Horse; 3. The Moore Of Venice; 4. Fight; 5. Thunderlight; 6. Last Call; 7. Feel The Essence Of Blues.
Formazione:

Marco Cantoni: voce solista; Antonio Rubuano: chitarre; Paolo Musazzi: chitarre; Cesare Ferrari: basso; Paolo Biocchi: batteria.
Ospiti
Davide De Stefano: cori; Evelyn Iuliano: cori; Larsen Premoli: tastiere.

2014, Musea Parallele

L’abito non fa il monaco e mai come in questo caso il detto calza a pennello. I Cyrax infatti ammiccano all’ascoltatore che si nutre di metal e progressive con una copertina che mi ha ricordato un altro gruppo Musea, gli oscuri Deyss di At King. Ma, non appena si approfondisce l’ascolto si capisce che siamo di fronte ad un gruppo molto più sperimentale. I nostri, infatti, sin dall’opener Doom again True Hell, mettono in chiaro il loro scopo: mescolare tra loro stili molto diversi e farlo mantentendo una durata tutto sommato quasi da mini LP (33 minuti). E così troviamo i nostrani Rhapsody e Vision Divine mescolati agli olandesi Epica in appena tre minuti (non considerando l’intro dub) ricchi di cambi di ritmo e atmosfere. A parte l’aspetto goliardico, evidente soprattutto nel video, la struttura musicale dei Cyrax non è molto lontana da quanto proponevano i Labyrinth nell’EP Piece of time o in No Limits, ed infatti il gruppo di Olaf Thörsen torna spesso come punto di riferimento in episodi progressive metal più canonici (My Kingdom for a Horse e soprattutto l'highlight Last call). Ma è la vena sperimentale a colpire l’immaginazione dell’ascoltatore: The Moor Of Venice (sì, si parla di Yago) è violenta ed isterica nei suoi tempi dispari, Fight comincia come una ballatona power metal alla Doro ed invece si rivela un episodio che mescola progressioni alla Vision Divine con sprazzi melodici alla Dream Theater. Thunderlight è un bellissimo strumentale in cui ancora una volta si va a pescare nella storia del progressive metal con richiami ai soliti Labyrinth ma anche ai Time Machine e ai Malombra di Our Lady of the Bones. Solo la conclusiva Feel the essence of Blues sembra un po’ fuori posto ma, come spiegato dal gruppo stesso nell’intervista, doveva essere una bonus track, quindi con un profilo del tutto diverso dall’atmosfera del disco. In generale, il disco non è esente da ingenuità tipiche di un esordio, ma i margini per migliorare ancora e per ritagliarsi un posto nella scena progressive metal nazionale ci sono tutti.

Italo Testa

Ultimo aggiornamento (Lunedì 18 Maggio 2015 11:52)