Quattro chiacchiere con Aldo Tagliapietra da Felona e Sorona a L'Angelo Rinchiuso di Italo Testa/Silvio Leccia

Incontriamo un cordialissimo e disponibile Aldo Tagliapietra al Teatro Trianon – Napoli, durante il sound check in preparazione del concerto serale in ricordo di Francesco Di Giacomo (come riportato nel numero speciale). Ne approfittiamo per parlare dell’ultimo lavoro, del libro, de Le Orme e di Felona e Sorona visto il 40ennale appena passato. Insomma quattro chiacchere con un artista che esce dall’esperienza con Le Orme e realizza, in poco tempo, due album, un libro ed è lanciatissimo verso il futuro, con la voglia, la forza e la determinazione di un 18enne.

Parliamo dell’ultimo disco: Come mai sei tornato a scrivere una suite? E’ stata una scelta o il disco è nato spontaneamente così?

Forse entrambe le cose… Il disco precedente Nella pietra e nel vento è composto da pezzi separati. Il disco è piaciuto molto, però mi sono accorto che avevo “scontentato” gli integralisti del genere, e allora mi sono ripromesso di tenere presente la cosa per il disco successivo.
A livello compositivo non cambia molto: c’è un lavoro da fare in più sulle congiunzioni (tra le canzoni), e una certa coerenza nei testi.
Una suite, però, va sempre intesa come una piccola sfida e devo dire che quest’ultima è stata una sfida ancora maggiore perché da Le Orme ero reduce da 3 suite consecutive. In quel contesto, però, uno buttava lì un’idea, un altro ne buttava un’altra, poi quell’ idea suggerisce un’altra cosa, diventa tutto più facile.
Invece in questo disco, siccome ero responsabile in prima persona di tutto, ho dovuto lavorarci molto da solo, anche se ho avuto, sugli arrangiamenti, un aiuto straordinario da parte dei ragazzi.

I musicisti che adesso ti circondano hanno influito sul sound nella fase di composizione?

No, però loro sono dei ragazzi preparatissimi: basta dire una mezza parola e già capiscono su che terreno si devono muovere, hanno un background musicale notevolissimo, conoscono a menadito sia la musica classica che il progressivo.
Poiché questo disco è stato suonato dal vivo, come abbiamo sempre fatto con Le Orme, dal vivo in studio intendo, registrando prima la cosiddetta base, poi facendo qualche sovraincisione che può essere la voce o qualche altro strumento, il sound è quello creato insieme in studio. Un po’ diverso da come si fa adesso

Il contrario!

Oggi tutti i gruppi si scambiano file tramite computer..Negli anni ’80 si è cominciato ad usarlo per la musica leggera, per quella commerciale e da allora si è continuato su quella strada.
Con questo sistema è stato inventato un sound chiamato "radiofonico", un sound molto omogeneo, non dinamico. Nella musica progressiva, invece, c’è molta dinamica, perché ci sono dei pezzi suonati più piano altri più forte, come un po’ nella musica classica.
La differenza del progressivo rispetto alla musica commerciale è anche questa, oltre a tante cose, che riguarda i contenuti, gli arrangiamenti e la sperimentazione sonora.
Diciamo che la dinamica e il modo di registrare l’ho voluta conservare, visto che è una metodologia che ho contribuito anche io ad inventare.

Dal punto di vista dei testi c’è una grande serenità rispetto al passato e sembra che l’angelo sia rinchiuso nel presente dopo aver fatto un viaggio nel passato, dopo aver visto certe cose, come i pianeti. Pensi di essere arrivato ad un punto finale della carriera, oppure ci sono cose ancora in sospeso… è un punto di arrivo, questo? Oppure un punto per continuare?

C’è una specie di aforisma che recita e direi che in questo caso è valido più che mai. Infatti se tu mi chiedessi quale sia il disco più bello, io ti risponderei quello che devo fare… che è la verità, perché da quando ho finito L’angelo Rinchiuso, ho cominciato a lavorare, a trovare pezzi e sono a buon punto per il materiale del nuovo disco, anche se ci vorrà ancora un po’ di tempo.

Una rinnovata vena creativa...

Lavorare da solo, non all’interno di un gruppo come Le Orme, da una parte è difficoltoso, come ho sottolineato prima, dall’altra è più semplice. Difficoltoso perché ti devi addossare ogni responsabilità, sei in prima persona, devi lavorare di più perché devi trovare più materiale, fare una cernita, poi sai i testi al giorno d’oggi sono diventati importanti... bisogna sapere di cosa si parla, come lo si dice, e quindi diventa più impegnativo, più difficile…
Più facile perché da solo non ci sono le tipiche tensioni dovute a naturali diversità di opinione e di gusto compositivo come può accadere in un gruppo: il processo compositivo finisce nel momento in cui io sono soddisfatto di quanto realizzato.

Quindi anche più libero...

Più libero perché se voglio fare un tango, o un valzer nessuno può dirmi niente, prima, se volevo proporre un tango o un valzer con Michi Dei Rossi o gli altri, era dura…

Parliamo adesso del libro, scriverlo è stato difficile, doloroso?

Innanzitutto il libro non l'ho scritto io, gli autori sono Pesenti, Saccomanni e mia figlia che ha fatto un lavoro di ottimizzazione. In realtà io ho risposto a delle domande: ho fatto un trenta- quaranta ore di interviste, tramite skype e poi loro l'hanno steso.
Il libro è divertente, mi piace molto come è stato scritto. Anche perché per fare un libro bisogna saper scrivere, e io non lo avrei saputo fare. L'importante però è comunicare il senso, l'idea, l'atmosfera e poi il giornalista butta giù nella maniera più consona.

Come mai hai deciso di scrivere una autobiografia?

Come ho detto nel libro sono uno che non ha mai cercato ostinatamente le cose, è stato il destino che mi ha portato certe cose: diventare il bassista delle Orme, prima ero chitarrista, fare il cantante perché il primo cantante de Le Orme era uno che non cantava mai, che bluffava, e quindi una volta allontanato ho cominciato a cantare io.
E quindi mi sono sempre trovato in queste situazioni in cui mio malgrado ho dovuto fare delle cose.
L'unica cosa che invece ho cercato nella vita, che l'ho voluto fare ostinatamente, con testardaggine è stata quella di fare il musicista. Sai, mio padre aveva una piccola azienda di vetri e oggettistica varia in vetro, a Murano, e contava sulla mia disponibilità. Insomma mi aveva offerto una piccola fortuna ma io ho detto .
Ho preferito fare il vagabondo, senza rammarichi, perché sono contento di aver intrapreso questa strada che mi ha permesso di realizzarmi in tutti i sensi, sia dal punto di vista professionale che umano. Anzi soprattutto umano, io appunto nel libro cerco di mostrare e vedere l'aspetto umano anche quando scendo nel dettaglio dei musicisti: il mio rapporto con loro è innanzitutto umano e poi se sono anche tecnicamente bravi è il massimo. Anche perché io cerco di migliorarmi come uomo e quindi devo frequentare persone che possono darmi delle cose…

Toglici una curiosità sul tuo processo compositivo: quando scrivi, lo fai per te o per chi ti segue? Scrivi per una tua esigenza intima?

Sì è un’ esigenza. Io scrivo musica, canzoni, proprio come ho scritto in una canzone del ‘77, perché non so che fare. Quando mi alzo al mattino, dopo colazione, prendo la mia chitarra, lo faccio automaticamente, con piacere. Poi c'è da dire che non so far altro. Se mi chiedi di piantare un chiodo nel muro, come minimo o spaccherò il muro o un dito. E poi ripeto è un'esigenza mia perché una volta che ti metti lì e magari ti esce una bella melodia o un bel passaggio, hai una gratificazione come tua creazione… sì, ti da un senso di soddisfazione ecco.

Torniamo un attimo agli anni '70. Toglimi una curiosità, voi sentivate di far parte di quel movimento che ora noi chiamiamo Progressive?

No. Ma credo nessuno… addirittura pensa che agli inizi degli anni ‘70, il genere non si chiamava progressivo, si chiamava Pop, poi è nato il Pop romantico, il Pop sinfonico, ma il Progressive, come termine, penso si sia diffuso negli anni ‘90. I giornalisti, per scrivere, hanno bisogno di etichettare! Tra di noi lo chiamavamo "il genere".
Era il tipo di musica che volevano i giovani e quello che i giovani musicisti volevano proporre! Avevamo dalla nostra parte un pubblico, non era necessario, nel '71, avere promozione radiofonica o televisiva. Noi a parte "per voi giovani" non ne abbiamo fatte molte anche perché andavamo solo se ci facevano suonare dal vivo e poiché la maggior parte dei programmi erano in playback noi ci rifiutavamo di partecipare. Diciamo che allora potevamo permetterci di dire di no.

Non c'era, quindi la consapevolezza di far parte di una scena italiana che poi è stata riconosciuta anche da molti artisti stranieri come molto importante e creativa.

In quegli anni là no… noi facevamo quello che ci andava di fare. La scoperta della musica progressiva italiana è avvenuta dopo, anche se mi ricordo che nel' 72, quando cominciammo a frequentare Londra, siamo andati a casa di Keith Emerson per lasciargli una copia di Collage: lui la mise subito, e ha detto . Emerson rimase molto sorpreso, però il riconoscimento di quello che la scena italiana ha fatto è avvenuto dopo, credo a fine anni ‘80 e inizio anni ‘90. Poi noi nel '95-'96 abbiamo (ri)cominciato, con l'avvento di internet. Abbiamo fatto un sito, e in giro nel mondo hanno visto che Le Orme esistevano, e quindi abbiamo avuto richieste di andare a suonare all'estero, nei festival di musica progressiva, e quindi in queste occasioni abbiamo scoperto che il progressivo italiano era apprezzato.

Certo ci sono collezionisti in tutto il mondo che conoscono i gruppi anche più improbabili della scena italiana…

Sai il progressive italiano ha delle componenti in più. Uno di queste componenti è la lingua italiana. Sembrerà strano, ma al popolo progressivo internazionale, piace sentir cantare in italiano. Quando nel ‘96 siamo andati a Los Angeles, parlando con l'organizzatore, dissi , disse secco, alla fine però ho cantato Felona in inglese, che era il pezzo preferito di Peter Hammill!

Tornando alla promozione, però c'erano i festival, molti festival dal vivo..

Sì c'erano i festival, prevalentemente politici però! Noi quelli politici integralisti non li abbiamo mai fatti, non perché eravamo o di centro o di destra, non lo volevamo fare perché per noi la musica non andava strumentalizzata. Purtroppo anche oggi e in maniera ancora più subdola la musica è strumentalizzata. Se noti, la gran parte degli artisti che suonano ad esempio al primo maggio sono artisti da classifica.

Parliamo di Felona e Sorona, venivate dal successo commerciale di Gioco di Bimba, e dell'Uomo di Pezza, vi rendevate conto di stare a scrivere uno dei capolavori, un' opera immortale del progressive italiano?

No, il fatto che sia ancora venduto con le ultime ristampe, mi ha sorpreso non poco. Inizialmente avevamo dei pezzi separati, che era tutto materiale che avevo scritto io, e poi credo di aver buttato l'idea io, però non me lo ricordo, <> E' nata un po' così anche perché inizialmente noi italiani abbiamo guardato molto quello che facevano gli inglesi. Però poi abbiamo saputo inventare una strada nostra con un nostro sound. Così abbiamo iniziato a fondere le canzoni separate, e con l'aiuto in alcuni passaggi di Reverberi abbiamo realizzato la suite.

Se abbiamo ben capito, in Felona e Sorona il gruppo voleva l'intervento di Jackson, ma Reverberi decise che era meglio di no. Quanto pesava effettivamente il parere di Reverberi?

Allora, mettiamo le cose nella giusta prospettiva. Se noi eravamo coesi e dicevamo di voler David Jackson allora l'intervento ci sarebbe stato, soltanto che Reverberi aveva un gran peso, ci fidavamo molto di lui e aveva un forte ascendente su di noi. Reverberi è stato un personaggio, un’ Entità non indifferente! Fino a quando, con Smogmagica, questo ascendente è diventato un po' pesante… ecco perché poi abbiamo deciso di fare da noi, proprio perché la sua personalità era diventata ingombrante.

C'è qualche registrazione con Jackson?

No, non c’è nulla di quanto suonato dal grande sassofonista.

Invece l'idea dei pianeti? Leggenda vuole che Hammill c'entri, è così?

In quegli anni lì io facevo prevalentemente la musica e Tony i testi. L'idea è stata sua (di Tony) aveva carta bianca. Poi Tony, poiché voleva l'atmosfera, realizzava i testi sul lavoro praticamente finito, magari con una voce guida. Quindi il testo era sempre un lavoro da ultimo minuto, mutava, cambiava e veniva ispirato dalla musica già nella sua versione ormai finale, cambiando fino al momento della registrazione della parte vocale.

Ma come funzionava, ci spieghi meglio?

Io preparavo una ballata, cantando con parole senza senso in inglese, Tony si metteva lì a lavorare a cercare il testo, e devo dire che in quegli anni lì Tony ha scritto dei pezzi meravigliosi, perché ci sono alcuni pezzi come La mia bianca sposa, Frutto Acerbo, che sono poesie bellissime. Io ancora canto queste canzoni per me. Quindi lui era il paroliere del gruppo, io ero più il melodista.

Ma quando uscì Felona e Sorona avete avuto timore di avere un flop commerciale vista la diversità di struttura con i precedenti?

No no, noi eravamo talmente benvoluti che non avevamo questo timore, anche se il disco era nuovo e diverso. Ogni disco che facevamo vendevamo centinaia di migliaia di copie che a quei tempi era tantissimo. E quindi avevamo la tranquillità che qualsiasi cosa producevamo veniva recepita volentieri. L'unico flop de Le Orme è stato Florian. Florian è il disco che ha venduto meno di tutti, e che ci ha procurato anche il non rinnovo del contratto con la Polygram. Però a suo favore, è l’unico nostro disco per cui ci hanno dato il premio della critica discografica. Ma poi sono successe tante cose sbagliate. Alla fine degli anni ‘70 è cominciata ad arrivare la Disco Music, c'è stato un ricambio generazionale: tutti quelli che avevano i capelli lunghi, avevano cominciato a tagliarli e mettere su famiglia…

Tra i ‘70 e gli ‘80 quindi c'è stato un cambiamento…

E in questo passaggio anche noi come popolarità, importanza, siamo decaduti.
Il Prog, negli anni ’80, è stato spazzato via e improvvisamente tutti questi artisti (Orme, Osanna, PFM, Banco) con la loro musica, sono stati dimenticati. Tutti i gruppi Prog se volevano sopravvivere, sto parlando di sopravvivenza, hanno dovuto accettare dei compromessi: Il Banco è andato a San Remo con Paolo Pà, che è una canzone bellissima, però non era il progressivo di un tempo. Perché non potevi proporre una cosa progressiva neanche lontanamente. Quindi quanto fatto negli ‘80 sono stati dei compromessi perché altrimenti non staremo qui oggi!

Fu una traversata nel deserto…

Sì, ma è una cosa da piangere eh…

Meglio adesso che negli anni ‘80?

Sì, eh sì… Anche se le serate sono poche e le vendite ridottissime, ma… molto meglio! Negli anni ‘80 è stata una cosa scandalosa, sacrilega: non si possono ignorare, dimenticare, buttare nella spazzatura, di colpo, artisti che sono stati conosciuti e apprezzati fino a quel momento.

Colpa delle case discografiche?

Le case discografiche, negli anni ‘70 non avevano coscienza di quello che stavano facendo, quindi si affidavano molto agli artisti: se l'artista diceva che questo disco andava fatto in un certo modo, non facevano altro che acconsentire alla volontà dell’artista. Poi, però, le case discografiche sono diventate major, e quindi sono subentrati interessi aziendali e hanno cominciato a dettare legge. Poi hanno trovato questa nuova generazione di cantanti, che pur di diventare famosi avrebbero fatto qualunque cosa. Ho letto, in un'intervista, che per gestire le attività e l’immagine della Pausini, vengono impiegate una 50na di persone. Quando c'erano Le Orme eravamo noi e basta! Noi avevamo solo Reverberi che è come uno del gruppo! Questo ti fa capire la differenza di interessi messo in campo dalle case discografiche.

Ma ci furono alcuni gruppi inglesi come i Genesis o gli Yes che in quegli anni continuarono a fare la loro fortuna…

Allora tu stai parlando di inglesi: tu sai benissimo che l'Italia è un paese a parte. Devi considerare che gli inglesi vengono capiti in tutto il mondo e venduti in tutto il mondo: di conseguenza il calo eventuale di vendite non mette a repentaglio un contratto, come invece può succedere qui in Italia. Insomma una cosa è chiamarsi Peter Gabriel un'altra è chiamarsi Aldo Tagliapietra!

A proposito di oggi, tu ti interessi ancora di musica occidentale, di quello che c'è in giro adesso nel genere progressivo?

Vengo da una generazione che aveva una spinta interiore fuori dal normale, io vedo che le generazioni nuove non hanno questo: è come se avessero avuto tutto e non hanno voglia di fare, invece noi non avevamo niente e avevamo voglia di fare tutto. E' la motivazione che è cambiata. Oggi i ragazzi che suonano con me, hanno un gruppo che si chiama Former Life e fanno progressivo nuovo, diciamo. A me piace molto quello che fanno… infatti credo che nel prossimo disco farò un'ospitata: però sono pochissimi e hanno la vita dura, perché se ce ne abbiamo noi veterani di difficoltà, figurati un nome nuovo che cerca di farsi conoscere in un ambito che non sia quello del Pop, della musica commerciale!
E’ dura, perché fino agli anni '80, c'erano due mercati: quello Pop diciamo e quello più di qualità, adesso questo secondo mercato non c'è più, tutto si basa sulla commercialità. Ecco, che nascono i vari X-Factor, Amici e festival vari.

Hai saputo che c'è un gruppo (La Maschera di Cera) che ha riletto a suo modo Felona e Sorona?

Personalmente io di Felona e Sorona non ci sento niente dentro.
Però se Felona e Sorona è servito come ispirazione per questi giovani sono contento! Il nostro lavoro è quello di comunicare le cose… se abbiamo comunicato delle sensazioni, delle emozioni, io sono solamente felice ecco!
E' un buon disco di rock progressivo italiano, vecchia maniera, chiamiamolo così, ed è positivo che succedano queste cose, magari ne succedessero ancora!

Doverosamente parliamo di Francesco Di Giacomo. Lo conoscevi, personalmente?

Sì... sono andato al funerale…

Come lo conoscesti?

Mah…Noi ci conoscevamo dai tempi in cui loro si chiamavano “le Esperienze” e la PFM “I Quelli”…

... quindi scene diverse, perché la PFM di Milano...

... sì, loro a Roma, noi Venezia, succedeva che ci incontravamo, suonavamo molto spesso a Rimini, dove c’era l’Altro Mondo. C’erano dei locali specializzati e noi andavamo a dormire tutti al Gufo, che era il nostro ritrovo. Io di Francesco ho un ricordo chiarissimo di quando noi ci sedevamo sul patio dell’albergo e parlavamo di questo e di quest’altro. Poi ci siamo incontrati quarantamila volte: ogni volta che noi Orme venivamo a suonare a Roma, io lo chiamavo e dicevo e lui veniva subito.
C’è sempre stato un rapporto di stima e di amicizia anche se non giornaliera, e l’unica cosa che è mancata in tutti questi anni tra di noi è stata la collaborazione artistica, perché negli anni ‘70 ognuno era concentrato sul suo orticello e poi non andava nemmeno di moda quello che succede adesso.
Con Francesco avevamo la speranza ed il desiderio che avremmo fatto qualcosa insieme. Io lui e per esempio Bernardo Lanzetti [voce degli Acqua Fragile e della PFM di fine anni ’70, ndr], perché abbiamo fatto uno spettacolo insieme noi tre accompagnati da una band a Piacenza, e in quell’occasione lì ci hanno definito i tre tenori…diciamo si è accennato a qualcosa.

Era in cantiere…

Nemmeno, era nei sogni di tutti e tre, soltanto che poi per gli impegni dei vari gruppi non si è potuto far niente… io speravo.. non avevo perso le speranze, purtroppo invece è successo l’imprevedibile

Un’ultima domanda, che so essere nei pensieri di tutti i fan de Le Orme: ci sono delle possibilità di reunion con il resto del gruppo?

Anche per rispondere a questa domanda, ho accettato di far scrivere il libro. Nel libro ho spiegato chiaramente tutto quanto è successo e perché non è possibile una reunion: non sono io che ho posto la pietra tombale, ma gli altri!

Lasciamo Aldo al suo sound check e lo ringraziamo della sua disponibilità sperando di reincontrarsi presto per parlare del prossimo disco!

Ultimo aggiornamento (Lunedì 25 Maggio 2015 10:57)