MUGEN

I Mugen (termine che vuol dire Sogni e illusioni) muovono i loro primi passi intorno al 1978 quando alla high school Rakuyo-Kogyo’s di Kyoto fanno la loro conoscenza il chitarrista Katsuhiko Hayashi, il batterista Takashi Nakamura e il bassista Masaya Furuta. Amanti del progressive inglese, iniziano a suonare proponendo cover dei King Crimson, mentre l’anno seguente Akira Kato entra nel gruppo come bassista, la qual cosa comporta un po’ uno sconvolgimento di ruoli, visto che Furuta passa alla batteria, Nakamura alle parti vocali e alla chitarra acustica e Hayashi alle tastiere. Assestatasi in tal modo la line-up, i musicisti cominciano a scrivere delle composizioni influenzate dal progressive romantico di Genesis, England e Kayak, dando anche uno sguardo ai francesi Atoll, Sandrose, Pentacle e ai gruppi italiani, molto apprezzati da Hayashi.

Sul finire del 1979 registrano così un demo dal titolo Visual, cui seguirà un altro nastro, Luna e giullare, nel 1982; ma bisogna attendere il 1984 per l’esordio ufficiale su disco che avviene con lo splendido Sinfonia della luna, autoprodotto in un’edizione limitata di 800 copie. Nonostante questo numero esiguo, l’LP ottiene un buon successo tra gli appassionati e i Mugen diventano ben presto un gruppo di culto. Una nota a margine per quanto riguarda l’artwork: Hayashi è sempre stato affascinato dai pittori preraffaelliti e simbolisti e per questo ha puntato sempre, anche nei lavori successivi, su copertine raffiguranti dei quadri.

In effetti, è un buon momento per il prog giapponese, il numero di fan e di artisti emergenti è in netta crescita, e una dimostrazione arriva con il festival Progressive’s Battle Live del 1986, a cui partecipano Pageant, Outer Limits e Mugen, grandi promesse del rock romantico del Sol Levante. Questa kermesse permette ai gruppi di avere una certa visibilità e i Mugen riescono ad ottenere un contratto discografico, che viene loro offerto dalla Kings Records. Ma prima di procedere ad una nuova incisione si assiste ad una completa rivoluzione della formazione: fuori Furuta e Kato, dentro Ryuichi Nishida (batteria, ex Vienna), Ryuji Sasai (basso, ex Novela), Ikko Nakajima (chitarra, ex Pageant), Takashi Kawagushi (violino, ex Outer Limits) e Kazuhiro Miyatake (chitarra acustica e flauto, ex Pageant e Mr. Sirius). Da questa line-up “allargata” e caratterizzata da gente di una certa esperienza, nasce il nuovo album Leda et le cygne, che conferma tutte le buone impressioni che erano state date dal disco d’esordio.

Intanto le collaborazioni tra i vari gruppi nipponici cominciano ad aumentare e si deve, quindi, segnalare, la partecipazione di Hayashi a vari concerti dei Pageant. Ma i Mugen non sono nel dimenticatoio ed il tastierista è pronto con il nuovo album che esce all’inizio 1988 e si intitola The princess of Kingdom Gone, un altro buon lavoro romantico, nel quale suona anche il chitarrista Taku Fujii dei Magdalena. Nonostante le buone critiche, tuttavia, la band non riesce a continuare la propria attività e finisce con lo sciogliersi dopo la partecipazione al nuovo Progressive Battle Live che si tiene a maggio.

Hayashi si trasferisce a questo punto a Tokyo ed inizia a lavorare presso la Made In Japan Records come produttore e le distanze dal resto del gruppo sono troppo elevate per poter sperare di continuare l’avventura Mugen… Nonostante tutto, mantiene stretti rapporti con Ikkoh Nakajima col quale forma un nuovo gruppo dal nome Ie Rai Shan (Arrivo di una notte piena di fragranza), coinvolgendo Naomi Hokada (voce femminile) e Shinichiro Inoue (batteria, ex Magdalena), pubblicando anche un disco omonimo ed un live, quest’ultimo in edizione limitata di 300 copie. Dopo quest’esperienza, Hayashi decide di aprire il famoso negozio di dischi Garden Shed, punto di riferimento molto importante per gli amanti del progressive.

 

SINFONIA DELLA LUNA (1984)

L’esordio dei Mugen si apre con le note delicatissime della title-track, una suite di quasi diciannove minuti, dove le tastiere, a mo’ di orchestra, creano immediatamente romantiche suggestioni, con un sound al contempo epico ed elegante (piccola curiosità: nel decennio successivo, Fabio Zuffanti deciderà di aprire il primo album del suo progetto Hostsonaten con una breve cover di questo inizio di Sinfonia della luna). Dopo due minuti di lenta introduzione entra in gioco la voce, con la quale si punta su melodie ariose, molto belle, anche se l’idioma giapponese può rendere un po’ ostico l’ascolto a chi non è abituato ai cantanti del Sol Levante. Si prosegue così, con lunghi momenti senza batteria, in cui il legame con la musica classica è particolarmente evidente, ma anche con variazioni di tempo e di atmosfera dettate da una sezione ritmica sempre pronta a farsi valere, dove si possono stagliare anche fughe e solos meravigliosi dei tasti d’avorio, nonché delicate rifiniture di flauto e chitarra acustica. In alcuni momenti si possono poi notare coordinate care ad alcuni classici britannici, in particolar modo Genesis, Camel e Enid. Un biglietto da visita davvero niente male per una band ai suoi primi passi negli anni ’80. E il resto del disco segue queste coordinate, grazie al talento di Katsuhiko Hayashi, che con il suo parco tastiere (mellotron compreso) ed una fervida ispirazione regala altre composizioni di grande qualità. Alcuni brani sono molto brevi, ma c’è anche Ballo della Luna che supera abbondantemente i dieci minuti (prima parte con chitarra acustica e voce in primo piano, con tanto anche di intermezzo derivante dall’intensità di un mellotron crimsoniano; seconda con l’esplosione più sinfonica e con crescendo finale da brividi). Si tratta comunque sempre di un rock sinfonico tastieristico, a volte molto barocco e che solo di rado sembra indirizzarsi verso certe sonorità più vicine al new-prog inglese di quel periodo. L’unica eccezione è rappresentata dai due minuti della folk-ballad A parade of the wonderland.

LEDA ET LE CYGNE (1986)

Niente suite, brani più brevi e formazione rinnovata. Eppure Leda et le cygne riesce a mostrare perfetta continuità con l’album d’esordio. Ancora evidentissimi i richiami alla musica classica, già in primo piano nella title-track che apre l’album, che prosegue per oltre tre minuti con orchestrazioni intriganti, prima di virare verso un rock sinfonico che ricorda un po’ il Banco del Mutuo Soccorso. Hayashi è perciò ancora il protagonista principale e può mostrare il suo talento alle tastiere senza mai esagerare con i virtuosismi. Menzione a parte merita La rosa, malinconica, romantica e ancora classicheggiante, con chitarra acustica e violino che regalano poesia ed eleganza. Per il resto una serie di brani in quello che possiamo ormai individuare come un vero e proprio stile Mugen, tra solos banksiani e i soliti tappeti di tastiere quasi ad imitare un’orchestra, fino alla conclusione affidata a Pavane pour une infante défunte, rielaborazione della celebre opera di Ravel. In qualche occasione non convince troppo il drumming, con i timbri freddi degli anni ’80, ma in sostanza i Mugen riescono a sfornare un altro ottimo album.

 THE PRINCESS OF KINGDOM GONE (1988)

A posteriori si può dire che l’ultimo album uscito a nome Mugen è abbastanza sottovalutato. E’ vero che forse si riscontra un lieve calo qualitativo rispetto ai suoi predecessori, ma la carriera discografica della band nipponica si chiude all’insegna dell’omogeneità. Anche in The princess of Kingdom Gone, infatti, si denota quella verve sinfonica keyboards-oriented, che emerge grazie all’estro di Hayashi. La mini-suite di apertura, che dà il titolo al lavoro è emblematica in tal senso, con un andamento maestoso ed una non sopita vena genesisiana. Magari sono i successivi brani ad essere un po’ altalenanti e si possono ravvisare picchi di notevole bellezza (su tutti The Lady of Shalott e Trident rock, dal forte orientamento classicheggiante), così come qualche caduta di tono, derivante dal tentativo poco convincente di essere più diretti in alcuni frangenti. In realtà i Mugen danno il meglio di sé quando puntano su strutture più complesse, esibendo orchestrazioni altisonanti e passaggi strumentali influenzati da alcuni grandi dei seventies (Genesis, Camel, Enid, Renaissance, Banco). Cosa che è avvenuta pienamente nei primi due dischi e solo per ¾ di The princess of Kingdom Gone.


Peppe

novembre 2013

Ultimo aggiornamento (Giovedì 21 Novembre 2013 15:02)