Elisa Montaldo (tastiere), Fabio Gremo (basso), Giulio Canepa (chitarre), Paolo Tixi (Batteria) e dulcis in fundo Stefano “Lupo” Galifi  (voce) sono il Tempio delle Clessidre, che pazientemente e gentilmente si sono prestati a scambiare quattro chiacchiere con noi nel nostro salotto virtuale.

Il Tempio delle Clessidre è qualcosa di sfuggente: non una cover band (sebbene abbiano iniziato suonando Zarathustra del Museo Rosenbach), non un insieme di giovani, appunto,  per la presenza di Lupo, non un gruppo navigato vista la giovane età.

Insomma un qualcosa difficile da definire e per questo siamo particolarmente felici di aver avuto la possibilità di capire un po’ cosa c’è dietro questo loro primo successo. Ebbene sì, se qualcuno di voi ancora non conoscesse il loro omonimo primo lavoro, basti pensare che ha ricevuto consensi (anche di vendite) ovunque. Consensi che li hanno portati a suonare in manifestazioni molto importanti e anche internazionali, basti pensare al festival romano Progressivamente alla Casa del Jazz, ma anche con una puntatina in Corea (Seul). Per non parlare dell’invito a suonare al NearFest negli States nella prossima estate. Anche noi ne abbiamo parlato (recensione qui: http://www.rottersclub.net/index.php?option=com_content&view=article&id=464:il-tempio-delle-clessidre-il-tempio-delle-clessidre&catid=4:recensione-dischi&Itemid=12), ovviamente con la nostra notoria tempestività (con un anno di ritardo!!! J ), ma speriamo con questa intervista di farci perdonare. 

L’intervista cade in un momento di grazia quando il gruppo sta per pubblicare il suo primo live, relativo al concerto di Seul, e sta lavorando alacremente al secondo lavoro in studio, oltre a suonare con una frequenza notevole (relativamente ai parametri dell’ambiente ovviamente) un po’ in giro per il nord Italia (purtroppo niente Sud).

Non ci resta che lasciarvi leggere quanto ci hanno risposto; immaginateci stravaccati in un divano mentre beviamo qualche birra.

Nota tecnica: l’intervista è stata ottenuta telematicamente, tranne che per Lupo che ha avuto un’intervista telefonica. Proprio a causa di questa diversità del mezzo (e relativa sbobinatura della registrazione) l’intervista ha subito un ritardo notevole nella pubblicazione rispetto a quanto è stata fatta (inverno 2012). Inoltre la diversità del mezzo e del tono dell’intervista, ci hanno fatto decidere di pubblicare l’intervista di Stefano in separata sede. Ciò è solo per motivi di fruibilità di quanto detto più che per altre motivazioni. L’intervista a Lupo è pubblicata contestualmente alla presente e leggibile al seguente link: http://www.rottersclub.net/index.php?option=com_content&view=article&id=493:galifi-qlupoq&catid=8:interviste&Itemid=16

Un’ultima cosa: proprio mentre stavamo organizzando l’aggiornamento del Rotters’ Club con l’inserimento dell’intervista, è giunta un’importantissima notizia dal gruppo. Le strade del Tempio delle Clessidre e di Lupo si separano. Per ora ci limitiamo a dire che sono già iniziate le audizioni per trovare un nuovo cantante e a ricopiare il comunicato ufficiale diramato tramite il sito della band: “Il Tempio delle Clessidre e Stefano "Lupo" Galifi comunicano la decisione di separare le proprie strade artistiche. Paolo, Giulio, Elisa e Fabio ringraziano di cuore "Lupo" per l'impegno e la dedizione condivisi nei traguardi raggiunti e per le bellissime esperienze trascorse insieme. Teniamo a precisare che tutti gli impegni ufficiali attualmente concordati restano confermati. Vogliamo inoltre comunicare che ogni ulteriore notizia e aggiornamento saranno divulgati soltanto mediante questo sito ufficiale e tramite quello della Black Widow Records. Ogni dichiarazione espressa dai singoli membri del gruppo sarà da considerarsi a titolo puramente personale”. Vi terremo poi informati sugli sviluppi…

tempio intervista 1

 

Montag: So che ve lo aspettate e quindi ve lo chiedo: potreste raccontarci il  vostro incontro e da quali esperienze musicali passate provenite?

Elisa: suono in gruppi di vario genere dall'età di 14 anni. La mia passione più grande è sempre stata la musica: il primo "amore musicale" è stato Elton John, in seguito i Queen, l'hard rock e il metal. Casualmente nel '96 ascoltando In the court of the Crimson King sono rimasta folgorata: componevo già musica e mi sono resa conto che essa aveva molte cose in comune con il genere definito "progressive". Così iniziò la mia ricerca e il mio amore verso il prog. Dal 1999 al 2006 ho suonato in svariati gruppi in cui si suonavano  sia cover che musica inedita, cercando di non perdere di vista il mio sogno di proporre la mia musica ad un gruppo e creare un progetto con un'identità definita. Dall’incontro  con Stefano "Lupo" Galifi  e la conseguenza necessità della costruzione di una line-up solida (cosa non semplice e immediata) nasce Il Tempio delle Clessidre. Conoscevo già Paolo avendo suonato insieme in un altro progetto progressive; con Giulio eravamo stati amici d'infanzia e sapevo dei suoi progressi di musicista, ho proposto loro la cosa e ci siamo trovati bene sin da subito. Dapprima abbiamo lavorato sulla riproposizione di Zarathustra (peraltro uno dei miei dischi preferiti del genere), ma dopo qualche aggiustamento della formazione ben presto la voglia di esprimere le proprie idee si è fatta strada. Così grazie all'aiuto di Fabio e degli altri componenti della band, con cui si è instaurata un'alchimia particolare, sono riuscita a vedere il mio sogno realizzato e a condividerlo con loro. 

Fabio: prima di entrare nel Tempio suonavo (e suono tuttora) in un altro gruppo prog, i Daedalus, di stampo metal, nel quale scrivo la maggior parte di musica e testi. L'atteggiamento un po' "metallaro" che tengo durante i concerti viene anche da qui, mi è sempre piaciuto muovermi molto sul palco e quando ero ragazzino avevo subito il fascino di gruppi come Queen ed Iron Maiden, con una grande presenza scenica. Sono entrato nel Tempio nel marzo 2007, invitato da Lupo, con cui già ero in contatto per collaborazioni musicali di altro genere. Il provino consisteva nel brano Della Natura, tratto da Zarathustra, probabilmente la sezione più intricata dell'intero disco, proposto dagli altri "per mettermi alla prova", come loro stessi dichiararono.Conoscevo Elisa per la notorietà che già aveva nell'"underground" musicale genovese e mi piaceva l'idea di suonare con lei. Ci siamo trovati bene a vicenda ed abbiamo proseguito insieme, prima preparando tutto Zarathustra, poi lavorando sulle nostre idee originali.

Giulio: Sono cresciuto, fortunatamente, in una famiglia in cui la musica è sempre stata presente: il giradischi in casa nostra era sempre in funzione. Fra i vari dischi c'erano i Deep Purple, i Led Zeppelin, gli ELP, The Nice, gli Uriah Heep, i Jethro Tull, i Procol Harum, i Colosseum, i Cream, Jimi Hendrix, Santana, solo per citarne alcuni! Indubbiamente il mio animo rock ha avuto inizio molto presto! All'età di 12 anni ho cominciato a suonare la chitarra da autodidatta, successivamente ho intrapreso gli studi accademici diplomandomi al conservatorio di Genova. Nel frattempo ho continuato a suonare rock e mi sono avvicinato a diversi generi musicali (hard rock, ma non solo: acustico, blues, heavvy metal, rock progressivo, metal progressivo) suonando in diverse cover band genovesi. Qualche anno fa arrivò la proposta di Elisa, aveva bisogno di un chitarrista per il progetto de “Il Tempio delle Clessidre”... non ho potuto che accettare con entusiasmo!

Paolo: Tralasciando gli ascolti, come esperienze musicali vere e proprie provengo dai generi più disparati, avendo fin da piccolo voluto misurarmi con ogni tipo di linguaggio e musica che mi potesse mettere alla prova oltre che entusiasmarmi, anche se la mia preparazione non era (e probabilmente non è) ancora tale da poter dire di essere padrone di quei generi. Diciamo che ho unito l’utile al dilettevole, facendomi anche un po’ di cultura riguardo a scene che sicuramente alla mia età era difficile entrarne in contatto. Quindi sono passato dalle prime rock band al funky, dal garage/surf per arrivare a sonorità più zappiane, così come dall’ hard rock al progressive e proprio in questo periodo sto cercando di allargare i miei orizzonti/competenze con stili musicali più vicini al Jazz ed alla Fusion. L’incontro con Elisa all’età di 14/15 anni, in un gruppo progressive, avvenuto casualmente durante il mio girovagare tra un’esperienza e l’altra, mi ha poi permesso di tornare nella cerchia dei musicisti da lei “desiderati” per il progetto Tempio, e da quel giorno ad oggi direi che è stato un crescendo di traguardi raggiunti e di nuove aspettative che non mi fan certo pentire di quella scelta.

 

Montag:  Parliamo un po’ di voi, come avete scelto il vostro strumento?

Fabio: Ho iniziato i miei studi musicali con la chitarra classica, prima alle medie, poi in conservatorio (mi sono diplomato con il Maestro Angelo Gilardino). Durante i miei studi ero dedito ad ore di esercizi giornalieri, tra i quali le famigerate legature per la mano sinistra. Un giorno un mio amico mi mostrò un basso elettrico e subito pensai che con quelle corde così spesse gli esercizi sulle legature sarebbero stati più efficaci... me lo feci prestare e ne rimasi folgorato! Mi piacque a tal punto che ne comprai uno tutto mio (inizialmente a quattro corde) e non smisi più di suonarlo! Passai alle sei corde in seguito, cercando uno strumento che fosse più veloce da suonare (le corde sono più vicine rispetto ai modelli che ne hanno quattro) e desse maggiori possibilità espressive. Sono letteralmente rapito da quel suono caldo e morbido, avvolgente, che si sente vibrare fin dentro la pancia! Scusate, sento la necessità impellente di aggiungere che uno dei bassisti che più mi hanno colpito ed in qualche misura ispirato nel modo di suonare, stare sul palco e scrivere le linee di basso è senza dubbio il mitico Steve Harris degli Iron Maiden :-)

Elisa: Quando avevo 2 anni mi regalarono vari strumenti musicali giocattolo: quello che mi piaceva di più era il pianoforte. Alle elementari durante la ricreazione invece di giocare con gli altri bambini andavo nell'aula magna a "suonare" il vecchio pianoforte: il mio maestro convocò i miei genitori poiché si era accorto che dal nulla riuscivo a suonare semplici melodie che avevo ascoltato o che inventavo. Mi chiesero, così, se avessi voluto prendere lezioni di piano: ne fui entusiasta e  a 9 anni iniziali lo studio del pianoforte (da privatista per motivi logistici). Ho studiato pianoforte per 13 anni, in modo però leggero e con qualche interruzione, ripresi lo studio qualche anno fa ma purtroppo dovetti smettere per motivi familiari. All'età di 14 anni mi sono trovata in una cover band di coetanei e lì ho iniziato a suonare in un gruppo. La vena compositiva nel frattempo cresceva sempre più. Mi sono avvicinata ad altri strumenti più piccoli e pratici (chitarra, concertina, violino, flauto, ora la sega musicale) nel tentativo di sfruttare in modo divertente e per me "sperimentale" le pause pranzo di lavoro. Il pianoforte, però,  è e rimane lo strumento che uso per comporre: forse perché non è elettronico, ma appena riesco a trovare il tempo di suonarlo la mente si slega e con lei le dita riuscendo ad esprimere i pensieri e le emozioni che tengo chiuse nell'anima.

Paolo: Diciamo che neanche troppo piccolo, intorno ai 10 anni, ho iniziato, un po’ per caso,  a prendere lezioni di batteria pur essendo sempre stato innamorato della musica più dal punto di vista melodico ed armonico: infatti già da prima delle lezioni di batteria canticchiavo qualsiasi cosa e suonicchiavo la chitarra per conto mio. Tra le tante cose che si iniziano a fare un po’ per caso, la batteria è quella a cui sono rimasto più legato in quanto molto più libera rispetto ad altre attività e col tempo ci  ho preso gusto, ma senza questa casualità probabilmente avrei scelto un altro strumento. Suonando prestissimo con gente molto più grande e brava di me, pian piano è diventata una vera e propria droga, imparando ad apprezzarla sotto molti più punti di vista oltre a quello ritmico e di certo, ora,  non la cambierei con nessun altra cosa! Tra le mie preferenze musicali  e ispiratori musicali ci sono senz’altro ai primissimi posti i Beatles. Inoltre non posso non citare gli ottimi insegnanti che ho avuto, anche se, al di là dei grandi nomi milanesi tra cui Furian e Gualdi, menzione particolare va al mio primissimo insegnante, essendo stato fondamentale nella mia crescita ed innamoramento dello strumento: Valerio Caorsi!

Giulio: Il mio primo strumento è stata una tastiera a ventola (penso unico esemplare al mondo visto che non ne ho mai più visto una) ed avevo circa 4 anni. Mio padre mi diceva che tasti schiacciare e poi mi accompagnava con la chitarra. Sono pure andato a lezione di pianoforte per due anni, dai sei ai sette anni, ma non mi ricordo altro che la nota DO disegnata a forma di mela... Non ho più toccato nessuno strumento fino all'età di 12 anni quando per gioco con altri amici abbiamo deciso di formare un gruppo rock...io in casa avevo già chitarra elettrica e ampli di mio padre, non ho avuto alcun dubbio! Da quel giorno ho cominciato ad imparare gli accordi facendomi insegnare da mio padre. Il passo successivo è stato imparare le prime "svise" tirandole giù ad orecchio dal giradischi (ovviamente i 45 giri venivano fatti suonare a 33 per facilitare le cose!). A quindici anni ho deciso di andare a lezione di chitarra elettrica per migliorarmi ulteriormente ma i miei genitori mi consigliarono di fare prima qualche lezione di chitarra classica. Otto anni dopo mi sono ritrovato con il diploma di conservatorio! L'animo rock però non è mai tramontato, anzi, più studiavo e più avevo voglia di alzare a "manetta" l'ampli!

 

Montag: Da suonatore della domenica mi capita che a secondo dello strumento che imbraccio, Precision, Fretless o Rickenbacker, suono alla Waters o alla Squire… Ritenete che una cosa del genere possa succedere anche a voi professionisti? Uno specifico timbro vi fa suonare/comporre in un modo particolare?

Giulio: Sicuramente il timbro influenza il mio modo di suonare, non tanto però assumendo uno stile di qualcun'altro, ma, senza neanche accorgermene, adattandomi allo strumento e alle sue peculiarità. Spesso più che timbrica è la sensazione tattile che mi fa "cambiare stile", appena la mano sinistra tocca il manico e le corde incomincio a suonare ora più dolce e melodico, ora più staccato/ritmico, ora più "sguaiato/sporco", ecc...

Elisa: E’ vero, spesso non ci si pensa, ma il timbro di uno strumento richiama subito a ciò che ci piace,uno stile tipico di un musicista, un brano, addirittura un genere: per me, per esempio, il mellotron è un suono che subito mi fa ricordare i Genesis, i King Crimson e tutto il progressive. Quando suono l'emulatore del mellotron mi basta fare due accordi semplici per immergermi in quell'atmosfera magica: qualsiasi accordo "a caso" assume un carattere "prog". Certo, comporre è poi un lavoro diverso, ma effettivamente se uso quel timbro mi viene da comporre sequenze di accordi minori, dissonanze e note grevi. Un altro suono che mi "condiziona" è l'organo Hammond: il suo suono mi rimanda direttamente ai Deep Purple, agli Uriah Heep (ho iniziato a suonare l'organo con quella musica) o anche ad Emerson, per i timbri più percussivi. E’ vero, sovente il timbro di uno strumento può condizionare il nostro modo di suonare facendoci "imitare" i nostri idoli musicali. Nella fase della composizione cerco per quanto possibile di evitare questo effetto proprio per non cadere in cliché compositivi. Di fatto compongo principalmente con il pianoforte, questo talvolta limita un po' gli orizzonti trovando più difficile comporre brani veloci e "rock" con questo strumento.

Fabio: Personalmente mi lascio condurre dal timbro verso un tipo particolare di approccio, più che ad uno stile o ad un musicista in particolare. Ad esempio se lo strumento ha un suono caldo e morbido mi viene voglia di improvvisare linee melodiche lente e cantabili, per gustare meglio la pasta timbrica. Se il suono è invece tagliente e spinto sono portato verso ritmiche più veloci e serrate. Questo vale sia sul basso, sia sulla chitarra classica. Generalmente poi quando imbraccio un nuovo strumento mi perdo tantissimo nell'osservare (e toccare) i legni con cui lo strumento è costruito, soprattutto quando la verniciatura è a tampone, quindi leggera e non coprente, in modo da lasciar visibili le venature del legno.

Paolo: Sinceramente non mi pongo questo problema, a suonare sono sempre io ed io decido come deve suonare lo strumento e non viceversa, specialmente nell’improvvisazione è tutta una questione umorale, se dipendesse dallo strumento, una situazione improvvisata diventerebbe impossibile. Ovvio con una batteria di dimensioni enormi difficilmente riuscirò a suonare del Jazz soddisfacente, ma in realtà l’ho sempre fatto, quindi il problema non sussiste. Poi si può parlare di pezzi coi quali mi trovo più comodo o meno (ritengo molto importante un bello sgabello, per esempio), ma ciò non influisce sul playing.

 

Montag: Giusto per curiosità personale, che strumento (marca/modello) avete? Ci potreste raccontare come lo avete scelto e perché? 

Fabio: Suono un bel basso in mogano a sei corde con un magnifico manico in wengè e bubinga. Preferisco non fare pubblicità alla marca, almeno pubblicamente. L'ho scelto per le caratteristiche tecniche (il manico è sottile e veloce, il ponte è ripartito in sellette separate per ciascuna corda), la forma (sono dell'idea che uno strumento debba anche piacermi dal punto di vista estetico oltre che timbrico) e per il suono robusto con un attacco deciso. Se potessi permettermelo vorrei farmi costruire un basso analogo da un liutaio (verosimilmente dal caro amico Gianmaria Assandri, che ha la sua splendida bottega qui a Genova), perché lo strumento che possiedo presenta le inevitabili piccole imperfezioni tipiche degli strumenti di fabbricazione industriale.

Paolo: Purtroppo gli strumenti belli costano, ma poco importa, perché sono convinto che non è lo strumento che fa il musicista, ma il contrario: se so cosa voglio suonare mi adatto a qualsiasi cosa per rendere ciò che ho in testa, così come uno che non sa suonare può  avere uno strumento da migliaia di euro che non ci caverà mai niente di interessante o soddisfacente. Comunque, in caso di possibilità di scelta, è lo strumento che si deve adattare alle tue esigenze e non viceversa, anzi, ho una particolare diffidenza verso chi si interessa molto più allo strumento rispetto alla musica, testimoniata dall’aver conosciuto moltissime persone onniscienti sui cataloghi e spesso (non sempre) incapaci poi con lo strumento. Forse il fatto di non aver mai avuto uno strumento di livello ha comportato una capacità di adattamento forzato, ma ha anche confermato la mia tesi!

Elisa: Ho diverse tastiere, tutte prese d'occasione o di seconda mano per motivi economici, tranne la Nord Electro 3 che considero per me indispensabile per i suoi suoni. Possiedo un vecchio Hammond del '72, purtroppo senza Leslie e un Farfisa di fine anni '70 (entrambi messi in vendita per ripagarmi la Nord!), ho una Korg Triton LE, una vecchia master keyboard della Roland con un modulo JV1080 (vecchio ma valido con scheda di suoni vintage). Ho uno Steelphone a due oscillatori del '75, un vero gioiellino analogico (ma proprio per la sua età, inaffidabile dal vivo). Ho scelto questi strumenti più per necessità e convenienza mentre ho scelto la Nord perché poteva soddisfare le mie richieste di suoni fedeli d'organo, mellotron e vari sample vintage. Le tastiere sono importanti per i suoni, che per un tastierista (soprattutto prog) caratterizzano parte dello stile. E' più difficile trovarsi su uno strumento diverso in caso di concerti, non tanto per la meccanica (come può accadere per una batteria o un basso, ad esempio) bensì proprio per i suoni (capita che per un brano abbia un set di anche 25 suoni!). A parte questo trovo che il pianoforte acustico sia lo strumento insuperabile, perché mezzo di espressione come nessuna tastiera può essere. Solo con il pianoforte si può suonare con sentimento e sentire i tasti con la loro meccanica "vera" rispondere ora alla foga ora alla dolcezza. Uno strumento che mi piacerebbe avere e che non ho ancora acquistato per motivi economici è un Moog... :-)

Giulio: Ho comprato pochi mesi fa una PRS (Paul Red Smith) custom 24 una chitarra versatile con cui mi trovo benissimo! Penso che la PRS sia la chitarra ideale per me, ho provato diverse chitarre prima di sceglierla (Stratocaster, Ibanez 6 e 7 corde) fino a quando la mia mano si è appoggiata sulla sua tastiera: è stato subito amore!

 

Montag: Genova, grande Genova: a pensare l'elenco di tutti i grandi artisti che  provengono dalla vostra città sembrerebbe che sia più di un semplice caso. A volte mi viene proprio da pensare come mai sia sempre Napoli additata come città della canzone e non la vostra città. Avete mai riflettuto di quanta Genova c’è nella vostra musica?

Fabio: Genova è una città meravigliosa, densa di bellezza e malinconia. Tutto sembra richiamare il proverbiale ingegno della gente di una volta, l'operosità e la velata tristezza, se penso alla terra strozzata tra il mare e le colline, i vicoli angusti e brulicanti di vita, i palazzi e le casette in repentino accostamento. C'è poesia nell'aria, lo avverto e necessariamente ne subisco il fascino, tanto da voler dedicare una canzone ad uno degli scorci più tipici e pittoreschi, la nostra Boccadasse. C'è sempre stato molto fermento musicale in questa città, lo so dai racconti degli amici con qualche anno in più... c'erano concerti quasi tutte le sere nei numerosi locali, a Genova suonavano artisti eccellenti provenienti da tutto il mondo (Lupo ne avrebbe da raccontare, molto più di me)... Oggi invece vedo locali che chiudono, discussioni infinite per poter proporre qualche pezzo originale tra le mille cover-band, concerti sempre meno interessanti nei pochi spazi di respiro "internazionale"... dov'è finita la Genova di una volta?

Elisa: Genova ha un "carattere" musicale molto spiccato, brulica di musicisti (di professione e non) e vanta di un’attività invidiabile nel campo delle arti. Purtroppo le offerte e le opportunità non sono proporzionali alle sue potenzialità, i locali fanno poca musica live e, in tal caso, quasi sempre con gruppi cover o tributi commerciali. Ci sono qua e là alcune belle iniziative, sovente però sono scarsamente pubblicizzate. Ci sono alcuni storici negozi di dischi tra cui proprio la Black Widow, vero e proprio "punto d'incontro" dei musicisti e appassionati: negli ultimi anni proprio da loro sono stati organizzati eventi validissimi in ambiente progressive, grazie appunto alla passione che permette di superare le difficoltà che questa città pone. Come dice Fabio nel disco c'è addirittura un brano dedicato al rione di Boccadasse, composto da Fabio e implementato da me con alcuni tipici "rumori" del luogo: le onde del mare, il lavorare dei pescatori, una melodia eseguita dalle campane tipica della domenica mattina...tutto ciò per rendere fresca e viva l'aria che si respira qui cercando di portarla nella nostra musica. Un altro elemento tipicamente genovese presente nel disco è la voce di Max Manfredi: un’artista ormai conosciuto a livello internazionale che da sempre scrive in modo unico ed emozionante gli aspetti più ineffabili della nostra città, musicando le sue bellissime parole con un sapiente mix di suoni e generi, proprio come le spezie che si trovano al mercato orientale in centro città. Musica, colori, odori e immagini sono profondamente collegate nei nostri animi e credo che tutto questo traspaia dalle nostre composizioni e probabilmente crea un invisibile filo che lega tutte le persone che fanno musica a Genova.

Paolo: Genova è senz’altro una città affascinante e bellissima, piena di piccoli scorci impagabili e per motivi anche morfologici votata ad una forte aggregazione tra i propri abitanti e questo le ha permesso di diventare fonte di ispirazione, soprattutto per autori e cantautori (inutile fare esempi celebri, ma ci tengo a fare  il nome di Max Manfredi, che ritengo al giorno d’oggi, oltre che un’ottima persona, uno dei pochi cantautori validi rimasti a rappresentare la vecchia scuola cantautorale genovese capace di creare una speciale magia). Un altro fattore caratteristico genovese è la presenza costante di varie culture conseguente al facile approdo marittimo, ma purtroppo questo non si è mai trasformato in un sincretismo musicale, per fare un esempio esagerato in termini di varietà di popolazione, ma che può dar l’idea, tipo Cuba. Forse per le stesse ragioni geografiche la popolazione Genovese è molto chiusa, e questo si riflette sui rapporti sociali con le diverse etnie e sulla qualità della musica. Si è creata a mio modo di vedere (anche a causa, come dice Fabio, delle poche possibilità che la città offre a livello di opportunità di suonare e comunque di aggregazione tra musicisti) un po’ troppa mediocrità alimentata dal fatto che comunque le persone genovesi tendono a vedere Genova un po’ in maniera geocentrica, quindi se uno è bravo a Genova allora è il re del mondo.  Non so se io poi sia tanto diverso da questo tipo di persone (alla fine sono genovesissimo pure io), ma posso dire di aver potuto aprire i miei orizzonti musicali e non solo, uscendo da Genova, rimanendo qua non sarei mai cresciuto (o comunque il processo sarebbe stato decisamente rallentato) e non avrei mai scoperto persone e mondi fantastici che è possibile apprezzare solo togliendosi dallo stantio locale.

Giulio: Dopo aver letto le risposte di Fabio ed Elisa e soprattutto quella di Paolo che parla di "sincretismo musicale" penso non ci sia altro da aggiungere! ;-)

 

tempio intervista 2

Montag Domanda fastidiosa, ma dovuta. Nella tua esperienza, cara Elisa, pensi che essere donna ti abbia in qualche modo penalizzata/avvantaggiata nella realizzazione del tuo progetto artistico?

Elisa: Essere una tastierista donna nell'ambito della musica e in particolare del prog può avere pro e contro: la cosa che accade più spesso è che le persone che non sanno che suono le tastiere danno per scontato che io sia la cantante del gruppo; altre volte invece capita che ci siano pregiudizi (del tipo "è una donna, non può suonare prog è impossibile") e ciò mi crea un po' di fastidio. Quasi sempre questi pregiudizi sono poi seguiti da un ripensamento, ma non trovo giusto che si venga giudicati soltanto dall'aspetto esteriore (che può fuorviare perché molto curato, ma non con lo scopo di compensare qualche mancanza): certo so benissimo di non essere una musicista eccelsa, anzi, se potessi avrei cominciato a colmare le mie lacune da tempo. L'essere donna porta le persone a giudicare con più severità, come se essere donna dia in qualche modo qualche vantaggio che gli uomini non hanno. L'unico vantaggio può essere, nel mio caso, il fatto che ci siano pochissime donne che suonano prog e quindi possa "spiccare" per rarità. Inoltre tengo a precisare che la cura che ho dell'immagine e dell'estetica non è una civetteria o un mero tentativo di apparire, bensì una caratteristica propria della mia personalità (chi mi vede tutti i giorni in ufficio lo sa!), credo che esprimere il proprio mondo con la musica possa essere accompagnato dall'espressione estetica (mediante il proprio corpo e quello di chi accetta di fare da cavia!) accordata al senso della musica stessa. Essere donna mi permette di osare molto più degli uomini con trucco e make-up ed esprimere anche in questo modo i miei sogni e le mie visioni.

 

 

Montag Immagino che non viviate di prog visto purtroppo le vendite (a proposito ci potete dire come sta andando il vostro disco?). Ci raccontate come vivete la vostra vita da "precari" della musica?

Fabio: devo dire che con questa domanda tocchi un tasto dolente... Nessuno di noi vive di musica, abbiamo tutti un lavoro a tempo pieno (a parte Paolo che si è diplomato da poco all'accademia musicale) e quindi finiamo per dedicare alla musica il poco tempo libero. Questa è una situazione frustrante sia per la composizione, sia per la gestione dei contatti e l'organizzazione dei concerti. Ogni cosa si trascina lenta, tra mille interruzioni, con la fatica sulle spalle di una giornata trascorsa a sbrigare un lavoro che tipicamente non ha nulla a che fare con ciò che si vorrebbe veramente attuare, e a cui per giunta si dedicano le ore migliori e più cariche di energia. Credo che, salvo casi particolari, chi vive di musica oggigiorno come autore o musicista abbia fondamentalmente le spalle coperte in qualche modo, poiché è quasi impossibile mantenere un tenore di vita dignitoso con i soli introiti provenienti da dischi e concerti. Anche nella musica commerciale è difficilissimo, a meno che non si abbia la spinta di qualche grossa etichetta, figuriamoci in un genere d'élite come il prog-rock. Sono convinto che questo disagio, questo quotidiano tumulto interiore si rispecchi in qualche maniera nella nostra musica. Ritengo che l'unico modo per potersi definire veramente completo ed appagato come musicista sia potersi dedicare interamente alla propria musica, avere la serenità ed il tempo per lasciar fluire ciò che si sente nel proprio cuore, ciò che si "vive", in modo da trasmetterlo genuino e puro a chi ascolta, senza fretta, senza vincoli o costrizioni... purtroppo ho la spiacevole sensazione che questa condizione sia al giorno d'oggi irrimediabilmente utopica.

Paolo: Penso di essere un po’ inusuale rispetto alle altre situazioni del Tempio per vari motivi, in quanto dopo essermi diplomato nell’ Accademia del Suono di Milano,  sto provando a far diventare il musicista un lavoro, diciamo un lavoro divertente (purtroppo esistono situazioni dove il lavoro è suonare, ma è senz’altro peggio di molti altri lavori), ed anche se difficile, cerco di dare il massimo in ogni lavoro o progetto che intraprendo, con la speranza di ricevere presto dei frutti come sta succedendo col Tempio. Diciamo che di conseguenza anch’io come gli altri, non riesco a dedicarmi al 100% alla nostra musica, però il fatto che noi tutti abbiamo poco tempo lo giudico estremamente negativo, perché se avessimo molto più tempo credo saremmo ugualmente liberi di fare ciò che ci piace, ma le pubblicazioni e la dedizione nella ricerca sonora e concertistica sarebbero senz’altro maggiori e incrementerebbero senza dubbio la qualità della musica. Hai toccato il tasto vendite, che purtroppo è il tasto più dolente, non so come stiano andando, credo molto bene per il momento che vive l’industria discografica, ma diciamo che se fossimo 20 anni fa saremmo in tutt’altra situazione!

Elisa: Su questo argomento non posso che essere pessimista: diciamo che purtroppo anni fa ho dovuto smettere di studiare musica per andare a lavorare a causa di motivi familiari... questo ha causato in me una forte frustrazione e la visione del "lavoro" come un effetto che distrugge il fare musica. In gran parte è vero, poiché fino a dicembre avevo un orario di lavoro che non mi permetteva di avere nemmeno il minimo del tempo libero per poter suonare. Attualmente le cose sono migliorate di poco. Avere a malapena due ore a settimana (quando va bene) per suonare e comporre è totalmente negativo. Se avessi più tempo so quante cose che potrei fare, sono un fiume di idee e ciò che mi ha sempre danneggiato e posto limiti è stata proprio la mancanza di tempo per realizzarle. Certo, non avere vincoli discografici o scadenze, tipiche della "musica di professione" è positivo poiché si può agire secondo le proprie esigenze e tempi, ma direi che per quanto mi riguarda vivo piuttosto male questa continua lotta contro il tempo, che non mi permette di mantenermi in allenamento nell'esecuzione musicale, comporre quando sento l'ispirazione, studiare i brani con un po' di calma e dedizione. Tutto si fa di corsa e sacrificando la vita sociale e altri aspetti anche importanti. Per la musica questo ed altro, ne sono certa, ma non credo che si possa andare avanti così per molto, benché ci si creda con tutta l'anima. Perdonate il tono pessimista e cinico ma mi avete toccato sul vivo! ;-)

Giulio: Da adolescente il mio sogno era diventare musicista, lavorare facendo tantissimi concerti in giro per il mondo e vendere milioni di cd. Ora ho 32 anni e dove sono arrivato? Ho preso il mio pezzo di carta al conservatorio, faccio concerti in giro per il mondo e il cd del mio gruppo è stato venduto in migliaia di copie. Cosa manca? Mancano le parole lavorare, tantissimi concerti e milioni di cd... beh, questa sarebbe stata la perfezione però non mi lamento, ho raggiunto un bel traguardo! Ad ogni modo la speranza ce l'ho sempre visto la validità del nostro progetto e le persone che lo compongono! Che bello sarebbe diventare lavoratori del Tempio a "tempio" indeterminato! Se siamo riusciti a fare il primo disco vedendoci poco chissà cosa potremmo creare vedendoci di più!

 

Peppe:  Come è nata l'idea di ripresentare Zarathustra dal vivo? Che riscontri avete avuto? E alla fine cosa vi ha spinti a distaccarvi dalla semplice riproposizione di un'opera già esistente per scrivere e pubblicare materiale originale?

Elisa: Dall'incontro tra me e Lupo è spontaneamente nata l'idea di cominciare proprio da Zarathustra, l'anello di congiunzione tra le nostre vite musicali: per me uno dei migliori dischi di progressive italiano, per lui l'esperienza musicale più importante. E’ stato un duro lavoro, soprattutto per cercare di non allontanarci dal suono tipico del disco (difficile farlo con tastiere digitali, ma si fa quel che si può) mentre la voce di Stefano, immutata, è da pelle d'oca! Dopo aver suonato l'intero Zarathustra in un teatro genovese, il Tempio (anche la scelta del nome è ispirata dal capolavoro del Museo Rosenbach, da noi rivisto nel significato simbolico) attraversa fasi difficili di cambio formazione. L'obiettivo di creare e proporre musica inedita esiste per me già da prima, e con i ragazzi dell'attuale formazione si è finalmente compiuto. Formando una buona squadra di lavoro abbiamo intrapreso l'avventura di "raccontare" il nostro mondo musicale. Io tengo principalmente il "filo logico" del progetto, ma esso è condizionato e arricchito dalle idee di ognuno di noi. Le composizioni sono mie e di Fabio, lavoriamo sia per conto proprio che insieme (dipende dalle possibilità di tempo libero che abbiamo, come detto, quasi sempre scarse purtroppo) e portiamo in saletta le bozze per lavorarci tutti insieme. Per quanto mi riguarda ciò che mi spinge a fare musica propria è la voglia di esprimere il mio mondo e i miei pensieri con lo stile di musica che ho sempre amato: è un modo per donare qualcosa a chi ha piacere di riceverlo e di condividere con altre persone emozioni che difficilmente riescono ad essere espresse con le parole. Avere la possibilità di far ascoltare la nostra musica a un buon numero di persone è un sogno!

Fabio: Sono entrato nel gruppo dopo il primo memorabile concerto del 2007 in cui si è riproposto l'intero album Zarathustra dal vivo dopo oltre trent'anni. La cosa mi aveva già incuriosito a suo tempo e la possibilità di riproporla (come è stato l'anno seguente) è stata preziosa. Da subito però si avvertiva la necessità di comunicare il proprio pensiero tramite le nostre idee musicali, in modo tale che la sensibilità di ognuno avesse così modo di esprimersi liberamente. Abbiamo dunque imbastito il lavoro sui brani originali e l'affinamento del nostro stile è tuttora in corso d'opera. Suoniamo comunque volentieri Zarathustra dal vivo, perché è musica molto intensa e ci offre anch'essa la possibilità di esternare la nostra energia sul palco.

Paolo: Non ero nel gruppo in quel tempo. Il mio ingresso è coinciso poi con il concepimento e la pubblicazione del nostro primo lavoro discografico. Posso solo dire che ovviamente nei “provini” (anche se la situazione non era certo tipo casting, ma molto più “familiare”), oltre ai primi inediti, c’era stato anche qualche brano del lato A di Zarathustra, che ascoltandolo mi sono veramente entusiasmato (per ovvi motivi di età ero totalmente ignaro del disco dei Museo Rosenbach) e che suonarlo dal vivo è davvero eccitante!!!

Giulio: Quando sono entrato nel gruppo il Tempio aveva già eseguito dal vivo l'intero album quindi l'unica cosa che ho dovuto fare è stato quella di studiare il lato A di Zaratustra!

 

Montag: Da dove nasce il nome Tempio delle Clessidre? O meglio, so che è la sessione finale di Zaratustra ma oltre che al “senso di appartenenza” immagino che questo nome sia stato scelto per dare una precisa immagine mentale. Personalmente il tempio mi da una sensazione di protezione e custodia, mentre le clessidre indissolubilmente sono legate alla misura del tempo. Inoltre, le clessidre danno anche un senso di fragilità (per questo il tempio da un senso di protezione più che di venerazione). Mettendo tutto insieme sembrerebbe un nome legato all’impossibilità di controllare il tempo, all’inutile tentativo dell’uomo di controllare il tempo. C’ho beccato?

Elisa: Hai centrato in pieno il concetto del "nome legato all’impossibilità di controllare il tempo"!! E' proprio questo il pensiero portante della "traslitterazione" de "Il Tempio delle Clessidre". Innegabile l'associazione con il Museo Rosenbach nella figura di Lupo e quindi la "citazione" di una traccia di Zarathustra, ma qui l'immagine è una metafora appunto di un luogo, creato dall'uomo, concepito per "racchiudere il tempo", un luogo mentale, dove l'uomo si sente padrone di poter governare questa entità così sfuggente. E' di fatto un'illusione, e nei nostri brani analizziamo proprio questo stato dell'essere umano, la convinzione di essere "potente" e di poter gestire molti aspetti della realtà e l'impossibilità concreta di poterlo fare davvero. Il logo che ho elaborato riporta infatti alcuni simboli geometrici e strumenti di misurazione del tempo e dello spazio (le squadre che formano una clessidra, l'antica meridiana in pietra -il primo strumento conosciuto di misurazione del tempo- il cerchio inscritto in un quadrato), tutti con il centro coincidente al centro del simbolo dell'infinito, che fa perdere il valore di qualunque unità di misura, è stato studiato con questa idea. Anche la copertina è una metafora figurata del concetto, elaborata in alcuni particolari. E', se vogliamo, un tema già analizzato da molti prima, ma per quanto mi riguarda mi ha sempre affascinato fin dalla tenera età e mi ha ispirato a comporre testi e brani che raccontano di come vedo le emozioni, i conflitti interiori e l'incapacità di darsi risposte, dalle più semplici alle più complesse. 

Fabio Per quanto riguarda la tua interpretazione del nome del gruppo... mi piace moltissimo! Ho sempre pensato all'idea del tempio quale luogo in cui sentirsi protetti e rassicurati, avvertendone la forte carica emotiva, che sproni ad essere rispettosi, silenziosi ed attenti. La clessidra aggiunge quel senso di delicatezza ed ingegno che si esprime nei gesti, nella curiosità, nei pensieri... è un nome molto evocativo, che lega elementi creati dall'uomo ad altri che l'uomo stesso non può dominare... mi è piaciuto da subito!

 

Montag:  Parliamo del vostro primo disco. Cominciamo dalla grafica che so anch'essa opera vostra. Ci spiegate un po' il simbolismo che avete usato?

Elisa: La grafica è stata curata interamente da noi: abbiamo voluto una copertina disegnata a mano,  ho proposto il lavoro a Maurilio Tavormina, disegnatore di fumetti, ancora uno dei pochi a lavorare interamente a mano. Con lui ci siamo consultati (veniva in saletta e pazientemente ascoltava le nostre idee) e seguendo una traccia di un mio schizzo (da un'idea di Fabio e mia) abbiamo elaborato il disegno curandone i minimi particolari. Avevo chiesto a Maurilio di tenere tutti gli schizzi, le macchie di prove colori d'acquerello, gli scarabocchi... tutto: ecco, con quelli io e mio fratello Andrea abbiamo costruito il booklet! Elaborando le varie pennellate, i grafismi, scegliendo i colori in base al testo del brano su ogni pagina: abbiamo cercato di dare la giusta "atmosfera"cromatica ad ogni traccia... E così alcune macchie si trasformano in barchette per "boccadasse", lo "scolo" di acquerello grigio/viola diventa la nebbia (fisica e mentale) per "la stanza nascosta" e gli schizzi dell' "angelo ligneo" diventano un po' il simbolo ricorrente nel libretto, una sorta di espressione emotiva per mezzo di un oggetto volutamente impersonale. I testi sono stati scritti da me con un pennino e inchiostro color seppia, proprio per evidenziare il lato "artigianale" dell'opera (e perché no, il voluto uso dell'analogico laddove possibile), nel tentativo di rendere il disco più "caldo", vero...spero che ciò si riesca a recepire! E’ stato un lavoro faticoso e fatto nei ritagli di tempo, ma la soddisfazione di vedere il vinile con la copertina grande e l'interno in cartone poroso che sembra il disegno originale e manoscritto, è impagabile!

Fabio: Sulla copertina aggiungo solo che l'ambientazione vuole rinforzare il senso del tempo che scorre ciclicamente e che non si riesce completamente ad "afferrare" (sia fisicamente, ma anche nel senso di comprensione). I personaggi alati sono esseri senza identità, come facenti parte del flusso stesso del Tempo. La sabbia scorre attraverso la valle, come a rappresentare l'evoluzione di tutte le cose, ma poi viene raccolta e riportata all'origine, in un processo che non ha fine e in qualche modo "non ha tempo", come se cessasse di essere misurato.

 

Montag: Le composizioni sono nate in sequenza come nel disco (immagino di no...)? Quanto avete discusso per "assemblare" l'intera track-list? Qualcuno di voi si ricorda le alternative e le motivazioni per cui poi sono state scartate le altre ipotesi?

Fabio: Solitamente lavoriamo sui brani  man mano che le idee si concretizzano, quindi difficilmente seguiamo l'ordine che sarà poi adottato per l'album (sta accadendo anche per il secondo disco). La definizione della track-list è qualcosa di estremamente complesso e delicato e c'è voluto molto per ultimarla. Avevamo alcuni vincoli (ad esempio la volontà di non separare Datura e Faldistorum e di mettere Il Centro Sottile in chiusura), ma abbiamo cercato di mantenere l'alternanza dei pezzi il più possibile scorrevole e spontanea. Oltre a questo abbiamo dovuto rispettare la durata delle due facciate del vinile (problema che non avevo mai dovuto affrontare finora nelle registrazioni degli altri gruppi in cui suono)... è stato a suo modo avvincente!

Paolo: Io sono arrivato che le opere erano già state pressoché ultimate, a parte La Stanza Nascosta e Antidoto Mentale, aggiunte successivamente proprio per completare l’album in termini di varietà d’atmosfere. Al di là del mio lavoro sull’arrangiamento in assoluto ordine sparso, credo che anche i brani a suo tempo fossero stati proposti nell’ordine sparso in cui erano stati composti. In accordo con Fabio, la decisione della track-list è un momento molto delicato, può anche decretare il successo o il fallimento di un disco, infatti la nostra scelta è stata molto oculata, diciamo che il vincolo di rispettare le due facciate del vinile (cosa non facile, trattandosi comunque di brani di lunga durata) ci ha “facilitato” il lavoro eliminando automaticamente parecchie alternative.

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Montag: Per questo vi chiedevo della track-list, potendo in effetti decretare il successo o il fallimento di un’opera. 

Elisa: I brani sono stati concepiti nel corso del tempo, alcuni(come Danza Esoterica di Datura, Faldistorum e Il centro sottile) erano stati composti anche prima della nascita del Tempio. Non avendo molto tempo libero io e Fabio abbiamo dovuto lavorare alla composizione e stesura di base separatamente, concentrando poi le prove per gli arrangiamenti. Vedersi una volta alla settimana, di sera, non aiuta molto, per questo abbiamo impiegato parecchio tempo per portare a termine il progetto. Come detto dagli altri, la scelta della track-list è stata difficile per diversi motivi,per quanto mi riguarda sono piuttosto soddisfatta della scelta fatta. La bonus track, Antidoto mentale, è un brano volutamente staccato dal resto del disco, non presente sul vinile per motivi di tempo: siamo stati indecisi sull'inserimento o meno del brano (dal carattere commerciale, se vogliamo) e alla fine abbiamo optato per la sua presenza come bonus track.

 

Montag: Come ha già scritto un grande recensore competente e di fama su queste pagine (io, ovviamente :-) ) il momento più emozionale dell'album sembra essere la parte centrale. Voglio dire la parte più "intimista" è sicuramente  la successione Le due metà di una notte + la stanza nascosta + Danza esoterica di Datura + Faldistorum. Ci raccontate come sono nati questi pezzi(ma se volete, anche gli altri dell’album)?

Fabio: Dei quattro brani che hai citato l'unico composto da me è Le due metà di una notte, pertanto mi soffermo su questo brano: effettivamente è un pezzo molto intimo, che parte dalla suggestione di uno dei momenti del giorno che preferisco (la sera) e poi si apre in digressioni metaforiche che la personificano accompagnando l'ascoltatore verso le atmosfere notturne. Ho cercato di disegnare i colori di una notte fredda, ma al contempo illuminata da una luce dolce ed attraente. Il brano è diviso in due parti (come suggerisce il titolo), ma sotto diversi punti di vista: a parte l'accostamento tra la sezione cantata, più intima, e quella strumentale incalzante, c'è anche la contrapposizione tra due personaggi che s’incontrano e diventano i protagonisti della notte stessa, identificandosi in essa. Inoltre il testo è scritto metà da me (la prima strofa ed il primo ritornello) e metà da Elisa (la parte speculare)... e credo che si riesca a riconoscere la mano di entrambi. Lo abbiamo scritto in un momento particolare della nostra vita ed è per noi ricco di significato, nonostante non sia tecnicamente un testo autobiografico. Anche per questo motivo è un brano a cui tengo molto, forse il mio preferito nel disco.

Elisa: Anche per me il momento centrale del cd (senza nulla togliere alle altre tracce) è il più emozionante... credo sia una casualità, abbiamo cercato di inserire i brani in modo che il "mattone" dei due strumentali fosse debitamente staccato dalla traccia più lunga, Il centro sottile. Ascoltandole in quell'ordine effettivamente pare ci sia un progressivo "approfondimento" del linguaggio musicale, che sfocia nei due strumentali arrangiati quasi maniacalmente per riuscire ad esprimere proprio tutto un mondo senza più l'uso delle parole. I due strumentali erano nati qualche anno prima, ad esempio con Danza esoterica di Datura eravamo arrivati in finale del concorso Demetrialmente (mi pare nel 2006): allora il gruppo aveva il nome Hidebehind (non c'era ancora Lupo). Poco dopo nacque il seguito Faldistorum. Danza esoterica di Datura è l'espressione in musica di un mio viaggio a Triora, il cosiddetto "paese delle streghe", nell'entroterra di Imperia. Un luogo esoterico e carico di magia, di storia e leggende, impregnato di un'aria inquietante, cupa... un paese quasi del tutto disabitato, ora un po' commercializzato, tuttavia sincero nella sua semplicità. Rimasi profondamente colpita da alcuni particolari e dalla storia legata a quel luogo (che pare aver lasciato dei segni, astratti ma ben sensibili) e scrissi il brano strumentale con l'intenzione di raccontare le mie sensazioni mediante una sorta di danza esoterica che si sviluppa in diversi tempi. L'occulto mi ha sempre affascinato e mi piace, nel mio piccolo, ricercare un contatto tra soprannaturale e linguaggio musicale. Il rito che compiamo durante il concerto è proprio un tentativo di riprodurre scenicamente qualcosa che lega l'essere umano, in questo caso la donna, allo Spirito della Terra, e di lanciare un preciso messaggio: nella civiltà moderna la donna ha quasi totalmente perduto la sua forza e i suoi poteri legati alla Terra. La figura della strega per certi aspetti è quella della donna sensibile e magica, legata alla Terra, che possiede capacità di dialogo con essa e compie quello che agli occhi di altre persone sembra sovrannaturale. La musica cerca di portare l'ascoltatore in una sorta di estasi e di immergersi in una danza propiziatoria, dove l'essere umano riconosce di essere una parte della Natura e di poter vivere armoniosamente in essa assumendone anche i suoi poteri.

Discorso un po' contorto e se vogliamo spicciolo, che sarebbe necessario approfondire (e vorrei avere il tempo di studiare meglio l'argomento!). Faldistorum è il seguito e l'epilogo della Danza, in cui si ha la manifestazione di questo Spirito, che agli occhi di un essere umano è un essere oscuro, quasi bestiale, pagano. L'atmosfera è mistica: abbiamo ovviamente usato un linguaggio musicale occidentale e ho scelto l'organo liturgico come suono adatto ad esprimere questa atmosfera... la voce recitante di Max Manfredi narra con enfasi la fase finale del rito e gli arrangiamenti ora serrati ora aperti (gli accordi solenni di mellotron dovrebbero ispirare una "disciplina" per così dire "cosmica") danno un senso di instabilità indotta.

La stanza nascosta è un brano fortemente introspettivo che scrissi in un momento molto difficile della mia vita. Mediante metafore ho voluto esprimere il senso di inadeguatezza di una persona rispetto al microcosmo intorno a lei e allo stesso tempo del macrocosmo, ovvero l'universo: l'uomo spesso si pone domande a cui non può dare risposta, che vanno al di là delle attuali conoscenze scientifiche. In egual modo si pone domande sulla propria esistenza da un punto d'osservazione quindi totalmente diverso, incentrato su se stesso. Le due tipologie di domande hanno lo stesso peso nella mente umana, anzi la seconda sovente ha importanza maggiore: non riusciamo a trovare fuori dal nostro essere il mondo che vorremmo o che ci siamo illusi di conoscere. Ci rifugiamo dunque in una "stanza nascosta" che non sapevamo nemmeno esistesse, la quale sta dentro di noi, e dalla quale possiamo osservare tutto in modo diverso, trovando molte delle risposte che cercavamo. E' necessario in qualche modo tornare bambini per poter vedere, e proprio in quel momento ci si accorge di non aver mai voluto crescere. Questa stanza è a tratti un palliativo, a tratti l'unico mezzo che abbiamo per uscire da situazioni mentalmente nocive. L' ammettere di non poter sapere quello che desideriamo sapere (la "forma dell'ineffabile") ci porta automaticamente ad uno stato elevato e potenzialmente evolutivo. Il dolore umano è costante, ma "lucente", perché porta in qualche modo gioia, e "muto" poiché non condiviso da altre persone, solitario.

L'arrangiamento è acustico per dare rilievo all'intimità del testo. Voce e pianoforte dialogano insieme, proprio nel modo in cui è nata spontaneamente questa melodia, dando rilievo all'istintività. Il violoncello d'epoca (suonato dal bravissimo Antonio Fantinuoli) mi fa vibrare il sangue nelle vene ogni volta che l'ascolto, perché trema come una debole voce umana. Il finale è invece volutamente algido, elettronico, con tappeti di tastiere composti da note con frequenze molto basse, per dare un senso di "spazio siderale" nel quale il recitato di Lupo si perde solitario.

Paolo: Diciamo che sulle composizioni nessuno meglio dei compositori può raccontare l’emozione e la ricerca nel concepimento dell’opera. L’unica cosa che posso aggiungere è che, come dice Elisa, i due brani strumentali nacquero in una vecchia formazione, gli Hidebehind, nella quale io ero presente ed ho tenuto a mantenere le parti di batteria invariate, nonostante fossi molto giovane ed avessi decisamente un altro modo (sicuramente più scarso) di suonare, ritenendole ancora valide ed interessanti. Dal vivo la questione cambia e le parti sono a tratti decisamente diverse (ed in continua evoluzione). Ricordo ancora quando da un cd di Elisa composto da brani di solo pianoforte mi misi a “scrivere” (non sapevo scrivere allora) la mia parte, e di conseguenza una bella fetta di arrangiamento, del brano che sarebbe poi diventato Danza esoterica di Datura, e non nascondo che fu molto divertente, mi piace molto pensare parti ed arrangiamenti in brani dove in realtà il pezzo sembrerebbe fatto e finito, o cmq senza stesure già serrate e definite (credo che Elisa non pensava neppure potesse venir fuori un brano per un intera band da quelle sue piccole composizioni), stimola di più la fantasia e direi che i risultati sono stati soddisfacenti. Discorso un po’  diverso, ma comunque relativo alla creatività nel complesso, per Faldistorum, dove se non sbaglio Elisa ed il vecchio bassista del gruppo si presentarono con un’idea e da lì si sviluppò il brano in saletta. Tengo a precisare che entrambi i brani sono stati riveduti e corretti dal Tempio, l’unica parte rimasta totalmente invariata è stata la mia, che in quanto mia ho potuto ricopiare!

 

Montag: Il grande recensore di cui sopra, a cui io mi inchino e allaccio le scarpe ogni mattina, pur non essendone degno, ha sottolineato alcuni aspetti caratterizzanti delle vostre composizioni, che possono, a suo dire, rendere affaticante l'ascolto del vostro disco. Si riferisce ai due aspetti, timbrica (scelta ti pochi e ben riconoscibili timbri sulla chiave di violino) e ritmici (cambi di tempo spumeggianti, ma oltre che usati a volte sembrano essere abusati).  Avete l'opportunità di poter buttare a quel paese il malefico Montag: cosa gli rispondete?

Fabio: Caro Montag, la tentazione è forte, ma ricorrerò anche questa volta al mio proverbiale savoir faire ;) Effettivamente a volte si può riscontrare un uso particolarmente intricato di tempi e ritmiche, tanto che in alcuni casi non c'è una vera e propria scansione metrica, seppur irregolare, ma piuttosto un alternarsi di battute di metro differente, accostate apparentemente senza una precisa intenzione. Beh, posso garantire che l'intenzione c'è, fosse anche solo quella di stupire l'ascoltatore e rendere imprevedibile il fluire del brano. Nel mio caso, comunque, ho un modo di comporre che consiste nel lasciar scorrere le idee senza prefissarmi un qualche schema o costrutto metrico, armonico e melodico. Se in quel punto la mia sensibilità (ma anche semplicemente il mio gusto personale) mi suggerisce che ci vuole un ottavo in più, o una battuta da tredici sedicesimi, allora ecco che la tessitura si piega a questa intenzione, senza farmi problemi. Un simile comportamento in altri generi musicali sarebbe quantomeno fuori luogo, anche per questo adoro il prog! Per quanto riguarda le timbriche lascio rispondere Elisa, che nelle usuali poche parole ;) saprà dipanare egregiamente la questione.

Elisa: Sono d'accordo con Fabio, anche io compongo senza troppo pensare alla struttura, piuttosto ricerco un'armonia di base e dei suoni che aiutino a rendere "palpabile" l'atmosfera che vorrei raccontare in musica. Per gusto personale sono spesso portata a comporre brani con molteplici cambi di tempo, aperture armoniche o accordi "cupi", cerco nei miei limiti di essere "ordinata" in questo e di non esagerare o andare troppo fuori tema. Per quanto riguarda le timbriche, la scelta dei suoni è limitata alle tastiere e ai banchi di suoni in mio possesso, in ogni caso è indirizzata verso un'ambientazione per così dire "vintage", che riesca ad avvicinarsi al sound usato negli anni '70 perché è quello che preferisco, perché mi fa sognare e mi dà un senso di calore, di musica "viva". Inoltre penso che la voce di Lupo sia adatta proprio a quel tipo di sound. Dopo una stesura di arrangiamento sonoro di base, in sede di registrazione studio molto le timbriche, sovrapponendo più suoni e aggiungendo rumori ed effetti. Credo che nella musica del Tempio si possano riconoscere svariati "stilemi" o, se vogliamo dirlo in modo negativo, "cliché" che richiamano al progressive (italiano e non) degli anni '70, ma tengo a precisare che ciò non è un fatto studiato a tavolino e che spero risalti comunque un'identità inedita e originale. Magari è vero, i cambi di tempo sono sempre in agguato e il Mellotron è un po' come il prezzemolo... ma immaginate una fanatica del sound vintage che ha a disposizione quel suono così adorato e si trova a registrare il suo primo disco dopo quasi 10 anni di idee e tentativi... l'euforia è dirompente e si vorrebbe dire così tanto alle persone che vorranno ascoltare! :-)

 

Montag: Quanto avete impiegato a realizzare la vostra opera prima? E vi aspettavate il successo che sta avendo?

Fabio: Da quando è stata scritta la prima nota direi che ci sono voluti anni, sicuramente due, forse tre, dovendo accontentarsi del poco tempo libero: purtroppo c'è da fare i conti col fatto che la musica non è il nostro lavoro... per ora, mi piace aggiungere :) Credo che nessuno di noi si aspettasse questa meravigliosa risposta da parte di chi ci segue, ne siamo felicissimi!!

Elisa: Sottoscrivo in pieno la risposta di Fabio, stavo proprio scrivendo le stesse cose. Posso aggiungere che per me il sogno di realizzare un' "opera prima" del genere c'era da anni, e che da anni avevo un'idea di progetto ben precisa, che diluita e amalgamata con le diverse personalità, ha dato vita a "Il Tempio delle Clessidre". Non mi aspettavo di certo il successo che sta avendo e mi sembra ancora un sogno.

Paolo: D’accordo con chi ha precedentemente risposto, il lavoro è durato tra i due ed i tre anni: tempi molto lunghi, protratti anche dal mio sfortunato incidente (rottura del polso), che insomma per un batterista non è proprio il massimo. Il successo che stiamo ricevendo è sinceramente molto al di sopra delle aspettative, forse fin troppo, ma si sa, la difficoltà non sta tanto nel raggiungere un obbiettivo (ci sono un sacco di variabili da prendere in considerazione in un episodio isolato), ma è il confermarsi: le prove da superare iniziano proprio adesso, a cominciare coi live in attesa dei responsi riguardo la nostra pubblicazione ventura.

Giulio: Io sinceramente non mi sarei mai aspettato un successo del genere, ma sopratutto di vendere così tanti dischi! Questo ovviamente anche grazie alla Black Widow, che oltre ad essere una buona etichetta ha dalla sua quella di essere formata da Pino, Massimo ed Alberto, tre brave persone con cui si è instaurata anche una bella amicizia. Il secondo album sarà una bella sfida ma purtroppo il tempo che abbiamo è veramente poco rispetto a tutte le idee che ci vengono in mente quando siamo in saletta! L'ultima volta siamo stati 1/2 ora a perfezionare l'arrangiamento di 15 secondi di musica... che bello sperimentare tutte le possibilità!

 

Peppe – Montag: Come siete entrati in contatto con la Black Widow che ha poi pubblicato il disco, e come vi siete trovati con questa casa discografica(avete ricevuto pressioni "artistiche" di qualche tipo?)?

Elisa: Fin da ragazzina frequentavo il negozio della Black Widow in via Del Campo. Mi ero tuffata nella meravigliosa ricerca musicale costruendomi un bagaglio cultural-musicale in fatto di prog e affini. Ogni volta che entravo nel piccolo negozio c'era qualcosa di nuovo da ascoltare, qualche cliente o amico con cui discorrere di musica e imparare... un luogo affascinante come solo i negozi di dischi di una volta possono essere. Questo aspetto è rimasto immutato ancor oggi. Massimo, Pino e Alberto hanno seguito fin dall'inizio le mie "peripezie musicali" con interesse, d'altronde i gusti musicali sono quelli, e credo siano sempre stati interessati alla mia vena compositiva dark. Quando il progetto divenne più concreto si dimostrarono interessati nel produrre il disco. Ci hanno lasciato massima libertà  di scelta stilistica, seguendo comunque il processo lavorativo e dando consigli vari. La loro fiducia nei miei confronti e la musica che stavamo creando tutti insieme li ha convinti fin dall'inizio e per questo abbiamo potuto esprimerla come abbiamo voluto noi, compreso l'aspetto grafico del disco, come già detto. Credo che questo sia di fondamentale importanza per l'identità di un gruppo.

 

Montag: E' ineludibile il fascino dark - gotico del look di Elisa ma soprattutto di alcune vostre composizioni (soprattutto quelle di Elisa). Da dove nasce questa passione? Anche voi come il Gabriel degli anni 70, avete letto i manuali sulle macchine di tortura medioevali?

Elisa: Ebbene si, per quanto cerchi di contenermi, non riesco a nascondere il mio lato "gothic" ;-) Diciamo che sono appassionata di moda e make-up e che adoro le atmosfere cupe, gotiche e tipiche dei film di Tim Burton (il mio regista preferito). Fin da piccola sono stata attirata da letture del genere gotico e horror o fumetti sul soprannaturale e basati su leggende, come pure per il cinema. Mi piace sperimentare su me stessa trucchi e abbigliamento, nel tentativo di esprimere l'interiorità attraverso l'esteriorità, unendo la musica all'immagine,che ritengo importantissima soprattutto in sede di concerto dal vivo, dove ci si può permettere di esprimere anche con la scena.

Non è un modo per nascondersi bensì per aprirsi usando un linguaggio implicito, ma visibile.

Mi piace la musica oscura,che analizza temi esoterici, ispirata in tal senso: mi piace sognare favole e immagini apparentemente macabre ma cariche di romanticismo. Prediligo dunque questo tipo di atmosfera nella musica, sia in quella che ascolto che in quella che compongo. Con il Tempio tale "oscurità" è diluita dal connubio delle altre menti più "solari" della mia rendendo la nostra musica più varia e con alternanza di luci ed ombre che credo renda interessante e originale il tutto. Tuttavia non sono sempre così cupa: riesco anche ad essere luminosa e allegra, sia nell'aspetto che nella musica, quando è necessario. Non ho letto manuali di torture medievali, ma ho visitato vari musei sul tema in Italia e a Praga... Inoltre fin da piccola mi piace visitare antichi castelli in Sud Tirolo, luogo dove mi sento a mio agio e che mi affascina molto per la sua Natura così magica e la storia così legata ad essa.

 

Montag: A mio avviso uno dei problemi che soffrono le nuove composizioni è dovuto al fatto che i compositori invece di avere le orecchie piene di musica classica, jazz, rock oltre che delle istanze giovanili come accadeva negli anni 70, hanno le orecchie piene del prog già fatto. Come vi rapportate effettivamente a quanto già fatto? Il passato per voi è un peso? Avete una ricetta su come riuscire ad esprimersi senza cadere in prog - cliché?

Elisa: Trovo esatta questa osservazione, siamo ormai invasi da contaminazioni musicali di ogni tipo, positive e negative. Ascoltando principalmente progressive è innegabile che ci sia un condizionamento in tal senso, ma più che per via degli ascolti attuali, per quanto mi riguarda, "soffro" le influenze dei miei ascolti dell'adolescenza, ovvero quelli che hanno costituito la mia personale conoscenza musicale. Ci sono anche altri generi che mi hanno influenzato e continuano a farlo, ovvero la musica classica, la musica celtica, il folk, l'hard rock e a tratti il pop. Non credo che il passato sia un peso, se considerato tale: ovvero è la base, il cammino che ci ha portati ad essere artisticamente quello che siamo ora. Ognuno percorre la propria strada e se ciò viene fatto spontaneamente può essere slegato dalla musica ascoltata: certo, alcuni punti in comune ci saranno sicuramente per via dei gusti personali, ma credo che la cosa importante da non dimenticare mai sia focalizzare l'attenzione compositiva su ciò che si vuole esprimere, che è poi quel "quid" che dà quella sfumatura inconfondibile a un artista e a un gruppo. La cosa difficile a mio avviso è mettere d'accordo diverse persone nell'espressione di questo "mondo", il miscelare in modo giusto le varie personalità e trovare un'identità propria che possa in qualche modo far distinguere ogni gruppo dagli altri.

Paolo: Personalmente non ascolto progressive, ma anzi cerco di starmene ben alla larga, nel senso che non considero progressive le band legate al genere, ma coloro che realmente progrediscono, quindi mi riferisco ai King Crimson, piuttosto che agli Area, ai primi dischi dei Dream Theater (quando furono innovatori di un genere, prima del loro interminabile riciclaggio) e degli ELP. Oppure allargando un po’ i confini alcuni progetti di Mike Patton o l’estrema ricercatezza della World Music di Pat Metheny, per fare qualche esempio, al di là di colui che ritengo il più grande del ventesimo secolo, ovvero Frank Zappa. Legarsi al genere progressive, dissentendo col nome stesso, è come essere all’avanguardia in ambito tecnologico con la tecnologia degli anni ‘50, mi sembra un controsenso definirsi progressisti legandosi a musica trita e ritrita: credo che qualche passo in avanti sia stato fatto. Ciò poi non impedisce di fare musica fantastica senza per forza essere sperimentali, la genuinità sono convinto vinca sempre, infatti poi i miei ascolti e le mie preferenze svariano in maniera decisamente trasversale di continente in continente e di genere in genere. Cerco di conoscere il più possibile cosa c’è stato prima di me che ha cambiato la storia,  semplicemente il termine di “progressista” a volte sarebbe meglio fosse usato con un po’ più di attenzione.

Fabio: Prima di entrare nel Tempio conoscevo già alcuni gruppi fondamentali del progressive rock (ad esempio le Orme ed i Genesis), ma non posso dire di essere stato un esperto appassionato. Ho sempre ascoltato musica classica, rock ed heavy metal inglese, quindi inevitabilmente le mie principali ispirazioni vengono da lì. Col tempo ho conosciuto (anche grazie ad Elisa) altri capisaldi del prog rock e mi sono addentrato nel genere, apprezzando sempre più quelle sonorità. Devo ammettere comunque di non esserne un assiduo ascoltatore, forse anche per paura di ripetere inconsciamente gli stessi stilemi. Per lo stesso motivo evito in ogni caso di indugiare troppo a lungo su una certa tipologia di ascolti, cercando di variare il più possibile, nonostante i miei generi preferiti rimangano comunque quelli che suono.

Giulio: Penso che la forza del nostro gruppo sia l'eterogeneità. Io ho studi classici ma il mio animo è fortemente hard rock!

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Montag: Negli anni 70 la musica prog era una risposta delle istanze giovanili: il modo dei giovani di appropriarsi di spazi e definire la propria personalità, rivendicando una propria indipendenza culturale ma anche “logistica” rispetto alla generazione precedente. Certo poi divenne anche la tecnica di arrangiamento più in voga, al punto che si trovano canzoni popular totalmente rivestite degli stilemi della musica progressive, penso ad alcune cose dei Matia Bazar, o dei Pooh... o all’estero si trovano “sinfonismi” negli stessi Queen che mi sembra di capire voi apprezziate in particolar modo, ma anche in Elton John (il famigerato funerale di un amico…); insomma era nell'aria… La domanda bastarda, mi rendo conto, che mi viene è questa: ma se ora quelle istanze non ci sono più, il prog del 2012 è solo tecnica di arrangiamento? Cos’è per voi effettivamente il prog (in questo sarebbe molto bello capire Lupo come interpreta l’approccio alla musica, visto che ha vissuto quel periodo… ma ne parliamo a voce)?

Elisa Bella domandona! A parte che Elton John è stato il mio primo amore musicale, colui che ha dato inizio alla mia passione sfrenata per la musica e mi ha permesso di imparare a suonare "a orecchio". Anni fa, quando ancora non conoscevo il progressive, ascoltando alcuni suoi brani come Funeral for a friend, Goodbye yellow brick road, etc., apprezzavo in modo particolare i suoni e gli arrangiamenti, per cui per me il sound "progressive" è ciò che più si avvicina all'espressione del mio mondo interiore. Quindi usare quel linguaggio è per me istintivo, direi quasi una "vocazione". Come penso sia per chi ha creato il progressive come mezzo per esprimere ciò che con le parole o con il linguaggio musicale fino ad allora utilizzati non si riusciva. Al giorno d'oggi "progressive" è diventata un'etichetta per distinguere quella musica che assume struttura più complessa della semplice canzone, o che usa determinati suoni, o che rimanda in qualche modo a temi e disegni musicali del "prog" degli anni'70. Non è più una novità, dunque, e non è più sempre spontaneo. Per quanto mi riguarda faccio progressive come se stessi vivendo negli anni "giusti" per farlo, riconoscendo che non si può sperimentare come prima (Perché non si può sperimentare più? - NDM), ma che si può esprimere e ricercare nuovi modi per emozionare e raccontare i propri pensieri. Ciò potrebbe esser fatto suonando qualsiasi altro genere, è questione di inclinazione personale, credo, oltre che cultura ed esperienze personali. Per esempio trovo agio anche nell'ambito del folk o simile, virando per il lato dark e più "cattivo" dello stesso. Il modo di esprimere non è una scelta, per quanto mi riguarda, anche se ovviamente se si intraprende una strada è necessario essere coerenti e agire con intelligenza. In generale oggi "progressive" ha perduto il suo significato di "musica che progredisce" ed è diventato un aggettivo che descrive un genere musicale, o, come dici tu, una tecnica d'arrangiamento. All'interno di questa parola esiste una miriade di sfumature, perché di fatto la musica continua a stupire e a rinnovarsi grazie alle menti che evolvono e ai pensieri umani che creano musica.

Giulio: Per me il vero prog non esiste più e mai negli anni 70 avrebbero immaginato che nel 2012 ci sarebbe stata ancora gente che avrebbe "tentato" di suonare quel genere. Non esiste più perché manca tutto il contorno sociale e musicale caratteristico di quell'epoca: al giorno d'oggi si emula la musica di quegli anni... peccato, forse sarebbe  bastato definire il genere con un altro nome e nessuno avrebbe mai fatto queste considerazioni! Cosa ci faccio quindi in un gruppo "prog"? Beh secondo me noi non ricadiamo nell'errore dell'emulazione, ognuno di noi contamina le composizioni con il proprio bagaglio musicale portando nei brani quegli elementi che a me piacciono tanto: sorpresa, stupore e curiosità. Sorpresa, stupore e curiosità, guarda caso, sono proprio quegli ingredienti che tanti anni fa mi hanno fatto innamorare del prog. Ecco che cosa è l'essenza del prog per me!

Fabio: Sono felice di rispondere dopo Elisa e Giulio, perché hanno praticamente scritto quello che penso anche io. Ci tengo a fare un pizzico di benevola polemica: il termine "progressive rock" è essenzialmente una definizione data (tra l'altro praticamente a posteriori) ad un genere musicale che ha le ben note caratteristiche, sviluppatosi negli anni '70, ma con radici nella decade precedente e forse ancor prima. Pertanto non ha senso pretendere che chi suona quel genere musicale oggigiorno sia per cosi dire "progressivo", ovvero che inventi un nuovo genere musicale, con nuove sonorità, perché a quel punto non suonerebbe più "progressive rock", così come chi alleggerisce l'heavy metal non suona più heavy metal e chi arricchisce le sonorità del punk non suona più il punk... sembra una banalità, ma quante volte si legge nelle recensioni la solita solfa: "Voi non suonate progressive rock, perché non inventate niente"? Mah. Se l'avessero chiamato "pinco-rock" non ci sarebbe stato nessuno a questionare. Il prog-rock E' quel genere... e noi lo suoniamo. Tra l'altro, come dice Elisa con una purezza cristallina, noi lo suoniamo sentendoci un po' come se fossimo negli anni '70, perché ricerchiamo e sentiamo molto di quell'epoca, dallo spirito, al calore, al look, allo stile, all'intenzione, alla spensieratezza, alla voglia di esibirsi... personalmente, più scopro della musica di quel periodo e più vorrei esser nato vent'anni prima.

Paolo: Rispondo per ultimo riprendendo un po’ tutte le tesi esposte in precedenza. Mi sembrava di aver già accennato al riguardo nell’ambito dei nostri background, comunque reputavo il progressive come qualcosa che progrediva e come già detto da qualcuno è oramai diventata un’etichetta (successiva al periodo peraltro) per un tipo di sonorità, di strutture e di arrangiamenti ritmici (a mio parere non armonici) relativi agli anni ‘70. Credo che “sperimentale” sia ormai il termine usato per descrivere qualcosa di nuovo, anche perché usare progressive con quell’intento sarebbe un insulto, con tutta la ripetitività che lo permea. Detto ciò non credo che il Tempio delle Clessidre presuma una collocazione nell’ambito sperimentale, ma piuttosto tragga ispirazione e si avvicini al progressive inteso come se fosse rock, funky, soul, jazz, Punk ecc… e detto ciò mi rendo conto in questo istante che non sono più le band progressive a difettare nell’appellativo, ma forse errano coloro che fraintendono i due concetti, non constatando a distanza di più di 40 anni che l’etichetta è ormai scolpita nel genere. Ciò che conta poi nella musica a mio parere sono le canzoni, le melodie, quelle sono le caratteristiche vincenti nella musica, dal pop alla fusion più estrema, un arrangiamento sopraffine non salverà mai una canzone banale o semplicemente scarsa, come una bellissima composizione spesso non necessita di eccessive elaborazioni, è già nata bella ed anzi si corre il rischio di rovinarla. Chiudo comunque affermando di essere personalmente più attratto dalla musica sperimentale che dal progressive (che forse a questo punto possiamo  definire un tentativo sperimentale riuscito degli anni 70, tanto da conseguire il proprio appellativo), e forse Il Tempio delle Clessidre potrà giungere ad un compromesso che magari lo distanzierà un pochino dal punto di vista prettamente musicale (e questo potrebbe forse deludere gli appassionati di progressive in senso stretto), ma potrà magari caratterizzare di più il sound e chissà, trovare una collocazione a sé stante nell’elenco delle categorie musicali, i lavori procedono…

 

Montag: Ci descrivete meglio  il processo di composizione che utilizzate?

Elisa Dipende dai casi. Per quanto mi riguarda la musica nasce da un' ispirazione di base, un'idea che tento di esprimere liberando le dita sul pianoforte. Compongo quasi prettamente sul mio pianoforte, elaborando l'idea strumentale e la melodia della voce. Capita che abbia scritto un testo senza un'idea musicale precisa, per cui costruisco la canzone sulla base del testo. Capita anche che l'idea musicale sia la base di un testo costruito ad hoc. In entrambi i casi mi concentro molto sul legame tra testo e musica, come se l'una fosse lo specchio dell'altro. Registro una bozza rudimentale piano + voce e la presento in sala prove (o via mail), spiegando l'intenzione, soffermandomi sulle idee di arrangiamento ma lasciando abbastanza libero ognuno per lo sviluppo della propria parte. Questo aspetto permette più libertà ad ognuno, ma è di difficile gestione perché è più difficile far capire il filo logico o l'atmosfera che vorrei ricreare. Inoltre purtroppo per me non so (ancora) usare programmi di sound editing per cui spesso mi trovo a "mimare" con la voce (e talvolta i gesti!) i vari strumenti nel tentativo di spiegare come si potrebbe suonare quella parte... :-) In sala prove inoltre studio l'arrangiamento delle tastiere, quello per la versione live, successivamente mi soffermo sulla scelta dei suoni e, in sede di incisione, sovrappongo nuove parti (talvolta improvvisate) per completare l'arrangiamento. Non avendo tempo di vederci se non alle prove, dobbiamo riuscire a fare tutto "presto e bene", cosa non semplice soprattutto se si passano periodi difficili in cui manca l'ispirazione. Trovo che sia la parte più difficile del suonare in un gruppo, la più pericolosa in quanto frammentata, contrapposta alla necessità di tenere un filo logico per il disco. Componendo in due e quasi sempre separatamente (per il motivo di cui sopra) ciò è ulteriormente complicato. Per fortuna credo che il Tempio sia composto da musicisti intelligenti e talentuosi nel mettere il proprio stile e la propria personalità nella musica che facciamo.

Fabio: In genere mi vengono idee quando meno me lo aspetto, magari passeggio ed inizio a canticchiare una melodia. Mi accorgo immediatamente se è solo un passatempo o se se può diventare qualcosa di più importante, la registro sul telefono e poi me la canto in testa finché non mi rapisce. La trascrivo e la riascolto e quando giunge alla fine mi suggerisce automaticamente come continuare. Finché non scorre bene la modifico e la correggo, poi quando ne sono soddisfatto la presento al gruppo, con un arrangiamento embrionale per indicare il carattere del brano. Ci sono parti su cui sono pronto a lavorare con gli altri, anzi a volte li esorto a mettere del loro. A volte invece sono pienamente convinto di una soluzione, perché esprime completamente ciò che volevo esprimere, pertanto preferisco che rimanga come l'ho scritta. Mi riesce più semplice adattare il testo alla melodia, quindi una volta che ho l'idea musicale di base cerco le parole più adatte per completarla. Sono anche un "fanatico" della metrica, pertanto cerco di evitare che gli accenti delle parole cadano in modo errato e subiscano storpiature a favore della scansione musicale... piuttosto cerco dei sinonimi (di cui la nostra meravigliosa lingua è piena) o mi sforzo per dire la stessa cosa in un altro modo.

 

Peppe – Montag: Dalle risposte che avete dato, si evince che invece di godervi gli allori state "lavorando" a un secondo album. C'è qualcosa di già pronto, definito? Potete dirci che differenza c'è nell'affrontare un'opera prima e una "seconda"? Uscirà sempre per la Black Widow?

Fabio: Goderci gli allori è un lusso che non possiamo permetterci, purtroppo. Non abbiamo i mezzi per dedicarci serenamente alla musica, tutto è un tumulto, un rincorrere i sogni, scontrandosi con mille ostacoli. Pertanto occorre cercare di stare al passo, non perdere tempo. Abbiamo già completato la stesura di tutti i brani del nuovo disco, ora stiamo lavorando agli arrangiamenti. Ne abbiamo presentato uno dal vivo pochi giorni fa, è stato emozionante. Rispetto al primo disco abbiamo acquisito una certa malizia nell'affrontare alcuni aspetti, pertanto speriamo di impiegare meno tempo nei dettagli tecnici, concentrandoci di più sull'aspetto prettamente artistico. Sarà un altro lavoro massacrante, di certo, ma alla fine sarà bellissimo per noi chiudere gli occhi ed ascoltarlo. Anche il nostro secondo album uscirà con la Black Widow.

Elisa: Anche qui quoto in pieno Fabio, il primo disco è stato un lavoro lungo e difficile, il secondo sarà forse più snello per via dell'esperienza sul primo, ma comunque ostico se fatto, come siamo costretti a fare, nei ritagli di tempo. Ci sarà un tema concettuale portante che verrà espresso nei testi sotto diversi punti di vista. Avendo il primo disco avuto riscontro pressoché positivo sotto tutti i punti di vista, affrontare il secondo è difficoltoso perché ci si sente di non dover deludere le aspettative per cui bisogna muoversi con attenzione e curare ancora di più il lavoro. Personalmente avrei voluto essere in condizioni più agevoli per lavorare sul progetto e seguirlo meglio, ma è stato un anno difficile e con poco tempo per suonare: si fa quel che si può, e nel nostro caso anche quello che non si può, perché ci teniamo troppo! ;-)

Paolo: Non c’è nulla di più sbagliato di “godersi gli allori”, anche perché dipende dagli allori che una persona si pone, io piuttosto parlerei di godersi i consensi, non gli allori. Anzi,  è già passato più di un anno ed i lavori del nuovo disco saranno, purtroppo, abbastanza lunghi come nel precedente lavoro. Il tempo fugge e quindi bisogna sbrigarsi, prima di finire nel dimenticatoio! Ciò ovviamente non deve togliere spazio alla perizia e l’oculatezza con cui abbiamo intenzione di affrontare il nuovo lavoro, che dovrà essere superiore al primo sotto ogni punto di vista, perché le aspettative ed il successo vanno di pari passo, ma se tutti avremo la tenacia e la volontà di triplicare la fatica, i risultati sono certo che ci premieranno. I pezzi come ha detto Fabio sono stati ultimati (presto proporremo qualcosa dal vivo, uno già è stato presentato di recente) ed a mio modo di vedere come composizioni sono molto migliori del primo. Ora sta a tutta la band ricamare queste belle opere con la ricercatezza e la dedizione che meritano e sono certo che fatto questo nessuno rimarrà deluso!

 

Peppe: Parliamo dell’aspetto live della band. Pur constatando che riuscite a suonare con una certa frequenza rispetto ad altre prog band,  cosa pensate delle difficoltà di fare concerti con una certa costanza per chi propone prog?

Fabio: E’ vero, ultimamente abbiamo suonato con una certa frequenza, ma è un caso abbastanza fortuito... A volte per mesi non troviamo date e credo sia un problema piuttosto generalizzato e non ristretto a chi propone prog. I locali sono pochi, spesso non si conoscono se non nella propria città, ancora più frequentemente non garantiscono la copertura delle spese. Suonare poco è deleterio, perché toglie coesione, impatto scenico e fluidità.

Elisa: Penso che sia inevitabile, in Italia la cultura musicale è rara o comunque il "trend" proposto dai mass-media è forte promuovendo solo un certo genere di musica. I locali non vogliono rischiare facendo suonare gruppi che propongono un genere "non commerciale", le condizioni di cachet (quasi sempre ridotto a un rimborso spese) non permettono i gruppi di affidarsi all'attività musicale live, per cui è inevitabile avere un altro lavoro che faccia "sbarcare il lunario", riducendo le possibilità di suonare dal vivo solo nel weekend oltre alle limitazioni di cui sopra.

Paolo: Questa risposta è molto facile: storicamente il progressive è un genere di nicchia per eccellenza e credo, tranne negli anni d’oro, gli spazi per i generi di nicchia sono sempre stati un po’ limitati. Pertanto chi fa progressive sceglie in partenza di non avere grandissime affluenze e gradissimo mercato da ogni punto di vista, anche se la nostra esperienza in parte e fortunatamente sta un pochino smentendo questa teoria. La promozione sta anche nel cercare di sfruttare il più possibile le opportunità che ti vengono offerte con mentalità aperta e visione  più ad ampio raggio. Certo sta poi alle persone cercare queste occasioni, non farsele scappare e rischiare anche qualcosa pur di coglierle, altrimenti diventa un cane che si morde la coda! In questo senso la presenza di un “manager”, o comunque di qualcuno che si occupi del booking è ciò che a noi un po’ manca, quindi questa risposta diventa automaticamente un appello, perché qualche richiesta per suonare non ci manca, ma certo avere qualcuno che ti aiuti nell’organizzazione e nella gestione dei contatti sarebbe un'altra vita!

 

Montag: Rispetto agli "spazi vitali" c'è la teoria, nei vari forum, che le tribute/cover band tolgano spazio live a band con repertorio originale. Nella vostra esperienza, che ne pensate di questa ipotesi/costatazione? 

Elisa: Penso sia vero, come dice Fabio i locali sono più interessati ad assicurarsi l'affluenza di clienti piuttosto che rischiare proponendo gruppi di musica inedita o di generi non proprio commerciali. Per fortuna non sempre è così, inoltre ci sono diversi festival che riescono a dare visibilità ai gruppi che propongono musica inedita. Sta di fatto che si fa davvero fatica a proporsi nei music pub e simili.

Fabio: Non è una teoria, è esattamente ciò che accade. Girando per locali si nota come la stragrande maggioranza di essi abbia nella programmazione quasi esclusivamente gruppi cover o tributi. Chi li gestisce lo dice apertamente: "Così la gente canta ed è contenta"... chi se ne importa se si propongono sempre le stesse cose? Il problema è che a quanto pare il pubblico si accontenta, non è interessato a scoprire musica nuova, pertanto i locali non hanno necessità di "curiosare" nei repertori originali. Questo mi porta una profonda tristezza.

Paolo: La colpa non è sostanzialmente delle cover band, che in realtà non sono fautrici del danno alla musica live, ma approfittano delle “lacune” dei locali in termini di competenza e coraggio per trarne il loro profitto. Credo infatti che sia proprio il momento di crisi generale (ma non dal 2010, da 10-15 anni, se non di più, sono troppo giovane per essere preciso) a non permettere più ai locali di investire in qualcosa di più qualitativo e di livello. Con questa paura costante di non rientrare nelle spese, sono indotti ad investire su prodotti con poco rischio di fallimento; questa tendenza si è ormai radicata in molti gestori di locali, che quindi non vedono neanche più la musica originale come una possibilità di far musica, ma più come un estemporanea pazzia della quale non abusare, anche in casi di successo. Ci capitò giusto un annetto fa di tenere un concerto in un Live Pub genovese tipicamente per cover/tribute band e di ricevere un cachet irrisorio (superava di poco il rimborso spese, considerando dov’era il pub e la nostra provenienza è molto facile fare due conti) e loro tutti timorati presero pure la decisione di alzare anche il prezzo del biglietto d’ingresso rispetto all’usuale. L’affluenza fu poi entusiasmante, il locale stracolmo (e l’incasso credo di conseguenza) e noi realizzammo un concerto fra i migliori del nostro primo periodo, anche grazie ad amici che ci fecero il grande favore di aiutarci nei suoni, visto che il locale non metteva a disposizione neanche il fonico e noi non avevamo sicuramente cachet sufficiente per pagarlo. Risentendoci dopo un annetto circa, il gestore ancora contento dell’esito della serata precedente, ci chiese di tornare, ovviamente alle stesse condizioni della serata dell’anno prima. Noi, dopo aver fortunatamente tenuto concerti importanti in e fuori Italia, rispondemmo che le condizioni, senza eccessi, sarebbero però dovute un pochino cambiare. Le condizioni sono in effetti cambiate, in quanto lui è scomparso e non si è fatto più sentire. Questo fotografa un po’ la situazione e la gestione dei Live Pub, o meglio, dei “Tribute Band Pub”, ma per fortuna c’è anche qualche eccezione…che ovviamente conferma la regola!

Peppe: Avendo una certa esperienza  live  avete avuto sicuramente contatti con altri artisti "giovani". C'è qualcuno di loro che vi ha particolarmente colpiti?

Fabio: Solitamente non riesco a godermi molto i concerti altrui, perché mi viene sempre voglia di suonare. Tra i gruppi con cui ultimamente abbiamo condiviso il palco ho apprezzato il concerto dell'Accordo dei Contrari.

Paolo: Fai bene a virgolettarlo, perché di artisti giovani con i quali condividere il palco non ne ho conosciuti molti, cmq confermo l’Accordo dei Contrari come una band meritevole di attenzione, oltre che essere ragazzi molto simpatici.

Elisa: "giovani" tra virgolette in effetti è azzeccato, nel nostro genere l'età media di chi suona è piuttosto alta ;-) Ultimamente, per esempio, abbiamo condiviso un concerto con l'Accordo dei Contrari i quali mi hanno colpito molto sia per la loro bravura e la musica davvero validissima, sia per la loro simpatia e disponibilità; abbiamo condiviso pensieri e opinioni di chi fa musica per passione ed è stato molto interessante! Credo che noi gruppi emergenti dovremmo più spesso conversare e confrontarci per poter unire le forze e aiutarci a vicenda nella tortuosa strada per la notorietà (utopia?). :-)

 

Montag: Com’è stata l’esperienza di Seul? Com’è nato il contatto per fare questo concerto? Uscirà materiale live, sapete dirci quando? E alla fine, com’è Seul?

Fabio: L'esperienza di Seul è stata una delle più importanti ed entusiasmanti della mia vita. Tre giorni immersi in un mondo così particolare, a contatto con persone che ci seguivano ed aiutavano, con moltissima passione per la musica... e per la nostra in particolare. E' stato magnifico. Il concerto è stato possibile grazie alla nostra etichetta, che da anni collabora con gli organizzatori del concerto. Per quanto abbiamo potuto vedere della città, Seul mi è piaciuta: accosta parti estremamente moderne ed "europee" a scorci poetici tradizionali, davvero pittoreschi. Ho apprezzato moltissimo anche il cibo, Giulio ed io facevamo spesso a gara con le bacchette!

Paolo: Il contatto, come ha detto Fabio, è stato possibile grazie alla collaborazione tra Black Widow e la Si-Wan Records, che oltre al live ed al DVD hanno anche ristampato credo 500 copie in edizione Coreana del nostro disco. L’esperienza è stata fantastica e credo di esser l’unico (oltre al grande Pino di BW) a poter raccontare qualcosa in più della Seoul-by-night.  L’organizzatore mi ha incatenato al resto della band per paura che combinassi dei macelli e compromettessi la riuscita del concerto, cercando di impaurirmi con racconti di gente pericolosa (forse non conosce i vicoli di Genova!), altrimenti sarei stato in giro sempre giorno e notte. L’ultima sera, però, dopo il concerto, mi hanno concesso il via libera con tanto di accompagnatori dello staff, così ho potuto conoscere un po’ le attitudini di Seoul. Non dimentichiamo che è la seconda città più popolosa al mondo con 26 milioni di abitanti e questo è stato confermato dal fatto che passate le sei del mattino c’era ancora una movida tale da far sembrare che la serata fosse appena iniziata. Mi è apparsa, per il poco che comunque anch’io ho potuto apprezzare, una città vivissima (non può essere altrimenti), ricchissima di giovani che hanno voglia di vivere e divertirsi, molto ospitali e simpatici. Io e Pino ci siamo pure dilettati ad intrattenere qualche relazione in lingua coreana, ma con scarsi risultati: la lingua è difficilissima e anche l’inglese non è poi così comune! Abbiamo addirittura trovato un pub in stile americano (nel quale sono voluto entrare a tutti i costi perché aveva una foto dei Beatles come insegna e mentre ci fermavamo abbiamo subito riconosciuto la voce di Geddy Lee in un brano che stava andando) dove passavano brani a richiesta Rock & Metal ed avevano appesi sui muri molti vinili, tra i quali anche dischi di progressive!!! Non ricordo con precisione i gruppi, mi pare ci fosse anche qualcosa di italiano, chiedere a Pino per delucidazioni. Morale della favola, diciamo che il viaggio di ritorno non l’ho passato propriamente in poltrona, ma sono contento così!

Elisa: Per noi l'esperienza di Seoul è stata meravigliosa, una specie di sogno. Certo non è stato semplice sotto diversi punti di vista: è stata la nostra prima esperienza musicale all'estero e abbiamo dovuto darci molto da fare per essere all'altezza della situazione. Ma la gioia di sentire il pubblico partecipare e applaudire dopo i nostri brani è stata immensa... e ancora più incredibile è stato il dopo concerto, quando entrando nella hall abbiamo trovato una moltitudine di persone diligentemente in fila a farsi autografare vinili, cd e poster, da noi! Ho avuto un'ottima impressione del popolo coreano, Seoul è una metropoli fantastica, per quel poco che ho potuto vedere è un mix di antico e moderno, tradizionale e anticonformista, la cultura è in primo piano e la gestione logistica è molto ben avviata. Per strada si riesce a camminare ordinatamente nonostante la folla, le persone si dimostrano cordiali con chi chiede informazioni. Nota dolente sul cibo: io che odio l'aglio ho avuto non pochi problemi a digerire le strane pietanze letteralmente invase dall'infausto vegetale! Ma è stata anche quella una bella esperienza, dopotutto, provare cose nuove è sempre bello.

 

Peppe: E per suonare al NearFest? Come avete avuto queste opportunità?

Fabio: Ci hanno invitato, avevamo contattato l'organizzazione l'anno scorso ed il nostro disco era piaciuto molto.

Elisa: Avevano il nostro album ed è piaciuto loro moltissimo, a tal punto da volerci invitare al festival! Sarà un altro sogno, il nostro "sogno americano". Di sicuro impegnativo anch'esso, al di là delle aspettative, ma siamo eccitatissimi all'idea di suonare al NearFest e vogliamo dare il meglio di noi!!

 

Montag: Leggendo alcuni commenti su forum specializzati, ergono critiche sulla necessità di suonare ancora Zarathustra. Da quanto detto, a me sembrerebbe che Zarathustra per voi sia stata una gran palestra, e che suonarne estratti è un divertimento. Insomma, Zarathustra per voi è un peso di cui liberarvi per poter suonare il nuovo repertorio, o una scelta ben precisa?

Fabio: Sarei curioso di leggere questi commenti, per capirne il senso... ad ogni modo studiare Zarathustra in modo coerente è stato un inferno, data la difficoltà di esecuzione, ma ora che la sappiamo suonare ci divertiamo a proporla, soprattutto quando possiamo estrapolarne delle sezioni. L'abbiamo eseguita interamente alcune volte, sarà contenuta nel nostro live a Seul, ma d'ora in poi dobbiamo necessariamente concentrarci sui nostri brani e sul nuovo disco, per costruire sempre più la nostra identità. Probabilmente manterremo alcuni estratti da Zarathustra, ma la priorità è il Tempio delle Clessidre.

Giulio: Dopo un bel po’ di concerti Zarathustra è diventata un divertimento ma comunque troppo lunga. I medley che ultimamente facciamo mi sembra che rendano molto ma sopratutto ci danno la possibilità di suonare i nostri pezzi. So che alcuni vengono a sentirci solo per Zarathustra... dovranno rassegnarsi: noi non siamo il Museo 2!

Elisa: Abbiamo scelto di iniziare con Zarathustra data la peculiarità di avere in line-up il cantante originale: è stato un lungo lavoro, emozionante per me in quanto è uno dei miei dischi prog preferiti di sempre. Come dicono Fabio e Giulio suonarlo adesso è anche divertente ed esaltante, il pubblico lo conosce e l'impatto della voce immutata di Stefano è forte. A parte tutto ciò penso che Il Tempio delle Clessidre abbia una strada a sé stante: Zarathustra sarebbe un peso se il pubblico fosse interessato solo a quello, noi speriamo di no e vogliamo puntare sulla nostra musica e sulla nostra identità.

Paolo: Sicuramente suonare Zarathustra è un divertimento, a rari tratti noioso, ma in molti momenti è anche esaltante, in quanto è un ottimo disco. Capisco l’obiezione dei forum, ma molta gente viene spesso ANCHE per ascoltare la riproposizione dal vivo di un disco che in versione live non ha praticamente mai visto la luce e, oltre ad averci dato un po’ di slancio ed  averci permesso di avere fin da subito un po’ più di repertorio, Lupo tiene ancora molto a presentarla sui palchi, se non altro per dimostrare ancora di poter toccare i picchi del passato! Come risposta definitiva alle discussioni sui forum, legandomi alla risposta di Giulio, dico che la nostra intenzione rimane quella di staccarci sempre di più da Zarathustra e puntare tutto sulla nostra musica. Magari la terremo come bonus per eventi particolari (vedi Corea) nelle quali è espressamente richiesta l’esecuzione dell’opera del Museo Rosenbach, ma noi siamo Il Tempio delle Clessidre ed al di là del cantante, vogliamo aver sempre meno da spartire con pezzi di storia che però non ci appartengono.

 

Montag: Ho notato una certa "intenzione" di teatralità nel vostro spettacolo. Mi è sembrato di capire che quando mettete le maschere, la vostra intenzione è quella di scomparire, spersonalizzarvi in maniera da far passare solo il messaggio musicale. Almeno è quello che capii nel concerto romano. Io sulla maschera avrei un parere diverso e mi piacerebbe confrontarmi con voi. Se si indossa un elemento distintivo, che il pubblico non ha (la maschera) l'effetto che si ottiene, non è quello di "scomparire" ma al contrario di "esaltare" la presenza dei musicisti. Le persone saranno oltremodo "distratte" dalla vostra presenza sul palco più che ascoltare la musica. Potreste commentare questo mio appunto e spiegarci il perché e il vostro punto di vista sulle maschere?

 

Elisa: Trovo giusta la tua visione dell'elemento maschera come strumento di "distinzione" rispetto agli altri. Nel nostro caso in effetti la scelta può essere ambivalente: da un lato l'inserimento di un qualcosa che "faccia spettacolo", che colpisca visivamente per dare un tocco in più ai brani strumentali che sono già di per sé teatrali nell'intento. Dall'altro lato mettendoci la maschera annulliamo di fatto le nostre espressioni facciali, proprio perché ho pensato a questi due brani (Danza Esoterica di Datura e Faldistorum - NdM) come a un linguaggio non del tutto umano,come se fossero stati ispirati da qualcosa fuori dalla mia/nostra mente. Dunque le nostre personalità (di conseguenza le nostre espressioni del viso) non devono condizionare né interferire nel messaggio che esprimiamo in quel momento. Ho scelto infatti maschere "neutre", senza espressione, che rendano inquietante e inespressivo il viso di chi le indossa. Allo stesso tempo questo elemento scenico attira l'attenzione del pubblico, rende più intrigante il momento. Inoltre in fotografia rendono molto! ;-) Il tutto però non è studiato, ma spontaneo: oltre alla musica mi diletto nel disegno, nel make-up e mi piace tentare di esprimere un'idea o un'atmosfera con diversi mezzi artistici:se avessimo più mezzi realizzerei altre idee strampalate! I ragazzi, Stefano, e al Progfest di La Spezia anche Max Manfredi, si sono prestati a questo intento scenico e speriamo che ciò sia stato apprezzato: in quanto donna sono particolarmente attenta al look (a volte esagerando) e secondo me l'impatto visivo di un gruppo sul palco è fondamentale, non tanto dal punto di vista estetico quanto da quello artistico. Facciamo musica nella quale le immagini e le visioni sono parte integrante delle emozioni che essa cerca di dare: in certi accordi io vedo colori, sfumature e chiaroscuri. In tutti questi moti noi cerchiamo di presentarci sul palco con abiti in qualche modo "evocativi", senza esagerare ma curati nei particolari. Ognuno di noi poi mette la propria personalità "live": Fabio la sua esuberanza, Paolo la potenza e grinta, Lupo la voglia irrefrenabile di cantare, Giulio la gioia di suonare per le persone e io le visioni che vivo nella musica che suono. Il concerto non deve essere, a mio avviso, una dimostrazione di bravura (anche perché ne abbiamo di strada da fare ed ogni volta impariamo dai nostri errori), non essendo professionisti non possiamo basare tutto sull'esecuzione:il concerto deve essere un'esperienza nella quale noi trasmettiamo al pubblico quanta passione mettiamo in quello che stiamo facendo, e quanto siamo contenti di condividerlo con chi ascolta!

Fabio: Se ci fosse tempo per preparare uno spettacolo che desse molto spazio anche alla scena ed alla nostra interazione con essa sarebbe favoloso, mi diverto tantissimo ad esempio quando eseguiamo Datura, perché suono qualche nota con la tastiera, interagisco con Giulio come se sostenessimo un "duello" ed abbiamo le maschere che ci danno una specie di energia soprannaturale. Il senso è quello: siamo sempre noi, ma investiti di un qualche incarico speciale.

 

Montag: Ho notato che spesso negli incontri importanti dei concerti progressive, il pubblico è ordinatamente seduto e ascolta attento. Ma questo pubblico attento, ingessato che non butta a quel paese ma neppure urla la sua gioia nell'ascoltarvi, non vi rompe le scatole? Non vi priva di quell'energia necessaria per rendere al massimo?

Fabio: Non posso certo zittire la mia quota di metallaro, pertanto vi confesso che ADORO il pubblico SOTTO IL PALCO!!! Anzi, dirò di più: chi preferisce un'esecuzione impeccabile ad un concerto emozionale non è il mio compagno di viaggio ideale.

Giulio: Il mio concerto ideale? Tutti in piedi belli schiacciati! Poi magri qualche metro più in là c'è una persona ogni metro... ma chissenefrega! Sapere che anche il pubblico è coinvolto fisicamente in qualche modo mi dà molto di più, è più condiviso! Certo anche il pubblico seduto e attento è piacevole, sapere che non vogliono distrarsi per godere fino in fondo della musica è una bella cosa! Ah, dimenticavo! C'è un altro pubblico che mi piace! Quello che abbiamo avuto modo di conoscere in Corea! Durante il concerto tutti in religioso silenzio poi appena finiva il brano scoppiava un boato di ovazione "tipo stadio"! Poi incredibilmente appena percepivano stesse per cominciare un altro brano ritornavano tutti contemporaneamente in silenzio, incredibili! :)

Elisa: Anche io preferisco il pubblico caldo, in piedi e schiacciato davanti al palco! Senza dubbio, dà una carica enorme a chi sta suonando sul palco e ci si diverte tutti quanti. E’ altresì piacevole suonare davanti a un pubblico attento e disciplinato, magari in un locale piccolo e intimo, in cui anche noi siamo stretti su un palco raccolto... dipende dai casi, ma mi unisco senza dubbio alle preferenze di Giulio e Fabio,è troppo esaltante e, lasciatemi sognare: il non plus ultra per un musicista ad un concerto secondo me è vedere e sentire il pubblico partecipare cantando le proprie canzoni! :-D

Paolo: Mi unisco ai tre ragazzi, senz’altro le gente in piedi provoca qualcosa nel musicista (soprattutto per chi “ scorrazza” sul palco) che non è paragonabile a suonare davanti a delle poltrone, anche se come ha detto Giulio il pubblico coreano ha dimostrato una disciplina tutta propria, in grado di fondere ed infondere entusiasmo ed attenzione! Certo il musicista comunque deve essere bravo a trovare le motivazioni di fare un bel concerto dentro di sé, perché in ogni evento lo spettacolo deve essere degno e possibilmente al 110%, anche solo per rispetto del palco che ti sta ospitando, qualunque sia l’accoglienza ed il calore durante lo show, anche se è impossibile negare che un pubblico esaltato esalta anche il musicista, le sue motivazioni e le sue capacità! Dal mio punto di vista la differenza non sta tanto sul fatto di stare seduti o in piedi, ma nel vedere se uno si sta godendo la musica o è lì immobile a valutare la prestazione. Ecco le persone così credo dovrebbero stare quanto meno lontani dal palco, in piedi, seduti, come vogliono, ma non in prima fila, perché negli occhi del pubblico è bello vedere entusiasmo, ammirazione, coinvolgimento, rapimento, anche da sedute. Il pubblico passivo, quello pseudo critico con lo sguardo di sfida, come dire “vediamo se sei bravo come dicono, ma secondo me adesso sbagli”, preferisco non vederlo negli occhi durante lo spettacolo, anche perché se proprio è un critico, dovrebbe sapere che in zona mixer si sente meglio e non è necessario stare nelle prime file  ed inoltre  in questi casi lì il fatto che uno sia nel pubblico e gli altri sul palco è già la risposta alla sfida!

Fabio: Paolo ha ragione, le prime file sono per gli entusiasti :) La gente che viene ai concerti sperando di cogliere gli errori mi fa solo pena. Aggiungo solo una cosa, allacciandomi al discorso di Paolo: quando suono dal vivo do sempre il massimo, anche se il luogo è praticamente vuoto. Chi c'è si merita di godere di tutta la nostra energia musicale!

 

Montag:Leggendo le vostre risposte, i risultati ottenuti, e paragonando con altre realtà parimenti meritevoli, mi viene da dire che vi è andata molto bene. Vendere migliaia di copie del primo lavoro, mentre altri ne vendono centinaia, già è tutto dire. Molti, compreso il sottoscritto, ritengono, che parte della colpa di questi numeri esigui, sia la mancanza di marketing, spazi di visibilità, concerti ecc. (l’altra parte, sta nel downloading illegale ovviamente). Anche se quando ci sono i numeri, e voi lo dimostrate, qualcuno riesce ad avere risultati migliori. Avete qualche idea su come migliorare la situazione, generale, del panorama progressive italiano?  Siete preoccupati dal fatto che l’età media degli spettatori è oltre i 40 anni?

Fabio: La promozione è importantissima, soprattutto nei canali giusti. In questo la Black Widow ci ha aiutato di sicuro, ma ci siamo dati da fare tantissimo anche da soli, inviando presentazioni, musica, gestendo i contatti e cercando concerti. Di sicuro, come sempre, i risultati migliori si ottengono quando si può investire di più. Purtroppo la pubblicità costa e se potessimo permetterci una campagna promozionale in grande stile avremmo raggiunto sicuramente un pubblico enorme. Pensate solo a quanto possa fare anche un solo semplice passaggio televisivo, magari durante il telegiornale (o nella rubrica di Vincenzo Mollica)... istantaneamente ci conoscerebbe la stragrande maggioranza degli italiani... Credo che sia sbagliato limitare il target agli appassionati di prog, poiché abbiamo più volte constatato che la nostra musica può piacere anche a chi non sa nemmeno cosa sia il prog... forse questo è uno degli aspetti che hanno contribuito a vendere qualche copia in più. Certo resta il fatto che l'età media ai concerti sia quella che indichi, perché forse la promozione rimane comunque settoriale.

Elisa: Di sicuro la promozione fatta dalla Black Widow ha portato grossi risultati, unita al nostro sforzo per raggiungere più sentieri possibili per farci conoscere perché vorremmo per lo meno tentare di oltrepassare quei luoghi comuni che decretano il prog un genere per pochi e non di semplice ascolto. E’ vero, non è un genere semplice per chi non è avvezzo, ma nelle occasioni in cui abbiamo suonato davanti a un pubblico di non intenditori in molti sono rimasti colpiti positivamente e hanno acquistato il cd. Per cui io credo che se i vari mass media, promotori, locali, etc. dessero qualche possibilità in più ai generi "di nicchia" come il progressive, può anche essere che la risposta del pubblico di massa sia comunque positiva e magari inaspettata... sarò ottimista,ma mi piace pensare in questo modo.

Paolo: Credo che la domanda vada letta al contrario, nel senso che ritengo il download la distruzione dell’operato di un artista, al quale viene letteralmente rubata la propria opera non ricevendo alcuna ricompensa e, visto che si buttano via tanti soldi, non vedo perché il musicista in quanto benefattore dello spirito debba addirittura regalare la propria arte. La musica non morirà mai, ma andando avanti così morirà il musicista in quanto il suo reddito sarà pari a zero e di conseguenza non potrà più far musica. Se invece questo non accadesse, ci sarebbe un giro economico decisamente maggiore e ciò permetterebbe molta più visibilità e spazi, in quanto se un prodotto chiama soldi ed interesse è ovvio che gli venga concessa visibilità in maniera direttamente proporzionale. Ma la musica ora non chiama soldi (basti pensare che l’intero mercato discografico italiano fattura circa quanto una sola ipercoop), quasi sembra diventato sgradito chiedere soldi per far musica, la fruizione deve essere gratuita e le opportunità di suonare accolte come grazia ricevuta. Finche andrà avanti questa cultura del non rispetto, vedo difficili possibilità di miglioramento. Se poi un giorno la visibilità e lo stato sociale del musicista si eleveranno un pochino, anche l’età media del pubblico comincerà a calare, ne sono certo, ma ora è impossibile e solo le persone di una certa epoca hanno ancora il rispetto e la coscienza di retribuire chi si occupa di arte.

 tempio intervista 5

Montag: Abbiamo parlato a lungo di molte cose sicuramente non vi abbiamo chiesto quello che volevate dire. Avete qualche commento per salutare i lettori del Rotters’ ed eventualmente integrare quanto già detto?

Fabio: Nessuna delle risposte date ci è stata estorta con la forza o con la frode, è tutta farina del nostro mulino, anzi, del nostro tempio ;) E' stato divertente interagire in questo modo un po' insolito e creativo, i discorsi usciti ci hanno fatto riflettere.

Elisa: Vorrei dire molte altre cose, ma penso di essere già stata abbastanza prolissa per cui vorrei soltanto ringraziare voi e le persone che leggono e si interessano ai pensieri di chi, come noi, fa musica per passione e cerca di esprimere un proprio concetto. Ringrazio coloro che comprano dischi, frequentano concerti, perché tutti insieme possiamo essere la linfa che continua a far vivere l'Arte e la Musica e che dà stimoli a coloro che la vivono e la donano al mondo con tanto impegno e dedizione. Lunga vita alla Musica e, ovviamente, al prog!! :-)

Paolo: E’ stata senz’altro un intervista interessante e ricca di contenuti riguardo temi magari un po’ insoliti rispetto alle solite banalità. Per i ringraziamenti mi unisco ad Elisa, credo abbia espresso in modo perfetto quali sono le persone da ringraziare e perché vanno ringraziate.

 

Montag: Aggiungo io: NON MASTERIZZATE, NON SCARICATE, farete solo si che ragazzi sensibili e intelligenti come quelli che avete avuto pazienza di leggere e ascoltare finora restino chiusi e imprigionati in un mondo ormai cieco e sordo nei confronti di qualsiasi opera dell’ingegno che non si possa usare su un cellulare.

Montag e Peppe

Foto: Geppo

settembre 2012

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Elisa Montaldo (tastiere), Fabio Gremo (basso), Giulio Canepa (chitarre), Paolo Tixi (Batteria) e dulcis in fundo Stefano “Lupo” Galifi  (voce) sono il Tempio delle Clessidre, che pazientemente e gentilmente si sono prestati a scambiare quattro chiacchiere con noi nel nostro salotto virtuale.

Il Tempio delle Clessidre è qualcosa di sfuggente: non una cover band (sebbene abbiano iniziato suonando Zarathustra del Museo Rosenbach), non un insieme di giovani, appunto,  per la presenza di Lupo, non un gruppo navigato vista la giovane età.

Insomma un qualcosa difficile da definire e per questo siamo particolarmente felici di aver avuto la possibilità di capire un po’ cosa c’è dietro questo loro primo successo. Ebbene sì, se qualcuno di voi ancora non conoscesse il loro omonimo primo lavoro, basti pensare che ha ricevuto consensi (anche di vendite) ovunque. Consensi che li hanno portati a suonare in manifestazioni molto importanti e anche internazionali, basti pensare al festival romano Progressivamente alla Casa del Jazz, ma anche con una puntatina in Corea (Seul). Per non parlare dell’invito a suonare al NearFest negli States nella prossima estate. Anche noi ne abbiamo parlato (INSERISCI LINK), ovviamente con la nostra notoria tempestività (con un anno di ritardo!!! J ), ma speriamo con questa intervista di farci perdonare.

 

L’intervista cade in un momento di grazia quando il gruppo sta per pubblicare il suo primo live, relativo al concerto di Seul, e sta lavorando alacremente al secondo lavoro in studio, oltre a suonare con una frequenza notevole (relativamente ai parametri dell’ambiente ovviamente) un po’ in giro per il nord Italia (purtroppo niente Sud).

 

Non ci resta che lasciarvi leggere quanto ci hanno risposto; immaginateci stravaccati in un divano mentre beviamo qualche birra.

 

Nota tecnica: l’intervista è stata ottenuta telematicamente, tranne che per Lupo che ha avuto un’intervista telefonica. Proprio a causa di questa diversità del mezzo (e relativa sbobinatura della registrazione) l’intervista ha subito un ritardo notevole nella pubblicazione rispetto a quanto è stata fatta (inverno 2012). Inoltre la diversità del mezzo e del tono dell’intervista, ci hanno fatto decidere di pubblicare l’intervista di Stefano in separata sede. Ciò è solo per motivi di fruibilità di quanto detto più che per altre motivazioni. L’intervista a Lupo è pubblicata contestualmente alla presente e leggibile al ling ---- (inserisci link).

 

Un’ultima cosa: proprio mentre stavamo organizzando l’aggiornamento del Rotters’ Club con l’inserimento dell’intervista, è giunta un’importantissima notizia dal gruppo. Le strade del Tempio delle Clessidre e di Lupo si separano. Per ora ci limitiamo a dire che sono già iniziate le audizioni per trovare un nuovo cantante e a ricopiare il comunicato ufficiale diramato tramite il sito della band: Il Tempio delle Clessidre e Stefano "Lupo" Galifi comunicano la decisione di separare le proprie strade artistiche. Paolo, Giulio, Elisa e Fabio ringraziano di cuore "Lupo" per l'impegno e la dedizione condivisi nei traguardi raggiunti e per le bellissime esperienze trascorse insieme. Teniamo a precisare che tutti gli impegni ufficiali attualmente concordati restano confermati. Vogliamo inoltre comunicare che ogni ulteriore notizia e aggiornamento saranno divulgati soltanto mediante questo sito ufficiale e tramite quello della Black Widow Records. Ogni dichiarazione espressa dai singoli membri del gruppo sarà da considerarsi a titolo puramente personale”. Vi terremo poi informati sugli sviluppi…

 

 

Montag: So che ve lo aspettate e quindi ve lo chiedo: potreste raccontarci il  vostro incontro e da quali esperienze musicali passate provenite?

 

Elisa: suono in gruppi di vario genere dall'età di 14 anni. La mia passione più grande è sempre stata la musica: il primo "amore musicale" è stato Elton John, in seguito i Queen, l'hard rock e il metal. Casualmente nel '96 ascoltando "In the court of the Crimson King" sono rimasta folgorata: componevo già musica e mi sono resa conto che essa aveva molte cose in comune con il genere definito "progressive". Così iniziò la mia ricerca e il mio amore verso il prog. Dal 1999 al 2006 ho suonato in svariati gruppi in cui si suonavano  sia cover che musica inedita, cercando di non perdere di vista il mio sogno di proporre la mia musica ad un gruppo e creare un progetto con un'identità definita.

Dall’incontro  con Stefano "Lupo" Galifi  e la conseguenza necessità della costruzione di una line-up solida (cosa non semplice e immediata) nasce Il Tempio delle Clessidre. Conoscevo già Paolo avendo suonato insieme in un altro progetto progressive; con Giulio eravamo stati amici d'infanzia e sapevo dei suoi progressi di musicista, ho proposto loro la cosa e ci siamo trovati bene sin da subito. Dapprima abbiamo lavorato sulla riproposizione di "Zarathustra" (peraltro uno dei miei dischi preferiti del genere), ma dopo qualche aggiustamento della formazione ben presto la voglia di esprimere le proprie idee si è fatta strada.

Così grazie all'aiuto di Fabio e degli altri componenti della band, con cui si è instaurata un'alchimia particolare, sono riuscita a vedere il mio sogno realizzato e a condividerlo con loro.

 

 

Fabio: prima di entrare nel Tempio suonavo (e suono tuttora) in un altro gruppo prog, i Daedalus, di stampo metal, nel quale scrivo la maggior parte di musica e testi. L'atteggiamento un po' "metallaro" che tengo durante i concerti viene anche da qui, mi è sempre piaciuto muovermi molto sul palco e quando ero ragazzino avevo subito il fascino di gruppi come Queen ed Iron Maiden, con una grande presenza scenica.

Sono entrato nel Tempio nel marzo 2007, invitato da Lupo, con cui già ero in contatto per collaborazioni musicali di altro genere. Il provino consisteva nel brano "Della Natura", tratto da Zarathustra, probabilmente la sezione più intricata dell'intero disco, proposto dagli altri "per mettermi alla prova", come loro stessi dichiararono.

Conoscevo Elisa per la notorietà che già aveva nell'"underground" musicale genovese e mi piaceva l'idea di suonare con lei.

Ci siamo trovati bene a vicenda ed abbiamo proseguito insieme, prima preparando tutto Zarathustra, poi lavorando sulle nostre idee originali.

 

Giulio: Sono cresciuto, fortunatamente, in una famiglia in cui la musica è sempre stata presente: il giradischi in casa nostra era sempre in funzione. Fra i vari dischi c'erano i Deep Purple, i Led Zeppelin, gli ELP, The Nice, gli Uriah Heep, i Jethro Tull, i Procol Harum, i Coloseum, i Cream, Jimi Hendrix, Santana, solo per citarne alcuni! Indubbiamente il mio animo rock ha avuto inizio molto presto!

All'età di 12 anni ho cominciato a suonare la chitarra da autodidatta, successivamente ho intrapreso gli studi accademici diplomandomi al conservatorio di Genova.

Nel frattempo ho continuato a suonare rock e mi sono avvicinato a diversi generi musicali (hard rock, ma non solo: acustico, blues, heavvy metal, rock progressivo, metal progressivo) suonando in diverse cover band genovesi.

Qualche anno fa arrivò la proposta di Elisa, aveva bisogno di un chitarrista per il progetto de “Il Tempio delle Clessidre”... non ho potuto che accettare con entusiasmo!

 

Paolo: Tralasciando gli ascolti, come esperienze musicali vere e proprie provengo dai generi più disparati, avendo fin da piccolo voluto misurarmi con ogni tipo di linguaggio e musica che mi potesse mettere alla prova oltre che entusiasmarmi, anche se la mia preparazione non era (e probabilmente non è) ancora tale da poter dire di essere padrone di quei generi. Diciamo che ho unito l’utile al dilettevole, facendomi anche un po’ di cultura riguardo a scene che sicuramente alla mia età era difficile entrarne in contatto. Quindi sono passato dalle prime rock band al funky, dal garage/surf per arrivare a sonorità più zappiane, così come dall’ hard rock al progressive e proprio in questo periodo sto cercando di allargare i miei orizzonti/competenze con stili musicali più vicini al Jazz ed alla Fusion.

L’incontro con Elisa all’età di 14/15 anni, in un gruppo progressive, avvenuto casualmente durante il mio girovagare tra un’esperienza e l’altra, mi ha poi permesso di tornare nella cerchia dei musicisti da lei “desiderati” per il progetto Tempio, e da quel giorno ad oggi direi che è stato un crescendo di traguardi raggiunti e di nuove aspettative che non mi fan certo pentire di quella scelta.

 

Montag:  Parliamo un po’ di voi, come avete scelto il vostro strumento?

 

Fabio: Ho iniziato i miei studi musicali con la chitarra classica, prima alle medie, poi in conservatorio (mi sono diplomato con il Maestro Angelo Gilardino).

Durante i miei studi ero dedito ad ore di esercizi giornalieri, tra i quali le famigerate legature per la mano sinistra. Un giorno un mio amico mi mostrò un basso elettrico e subito pensai che con quelle corde così spesse gli esercizi sulle legature sarebbero stati più efficaci... me lo feci prestare e ne rimasi folgorato! Mi piacque a tal punto che ne comprai uno tutto mio (inizialmente a quattro corde) e non smisi più di suonarlo! Passai alle sei corde in seguito, cercando uno strumento che fosse più veloce da suonare (le corde sono più vicine rispetto ai modelli che ne hanno quattro) e desse maggiori possibilità espressive. Sono letteralmente rapito da quel suono caldo e morbido, avvolgente, che si sente vibrare fin dentro la pancia!

Scusate, sento la necessità impellente di aggiungere che uno dei bassisti che più mi hanno colpito ed in qualche misura ispirato nel modo di suonare, stare sul palco e scrivere le linee di basso è senza dubbio il mitico Steve Harris degli Iron Maiden :-)

 

Elisa: Quando avevo 2 anni mi regalarono vari strumenti musicali giocattolo: quello che mi piaceva di più era il pianoforte. Alle elementari durante la ricreazione invece di giocare con gli altri bambini andavo nell'aula magna a "suonare" il vecchio pianoforte: il mio maestro convocò i miei genitori poiché si era accorto che dal nulla riuscivo a suonare semplici melodie che avevo ascoltato o che inventavo. Mi chiesero, così, se avessi voluto prendere lezioni di piano: ne fui entusiasta e  a 9 anni iniziali lo studio del pianoforte (da privatista per motivi logistici). Ho studiato pianoforte per 13 anni, in modo però leggero e con qualche interruzione, ripresi lo studio qualche anno fa ma purtroppo dovetti smettere per motivi familiari. All'età di 14 anni mi sono trovata in una cover band di coetanei e lì ho iniziato a suonare in un gruppo. La vena compositiva nel frattempo cresceva sempre più. Mi sono avvicinata ad altri strumenti più piccoli e pratici (chitarra, concertina, violino, flauto, ora la sega musicale) nel tentativo di sfruttare in modo divertente e per me "sperimentale" le pause pranzo di lavoro.

Il pianoforte, però,  è e rimane lo strumento che uso per comporre: forse perché non è elettronico, ma appena riesco a trovare il tempo di suonarlo la mente si slega e con lei le dita riuscendo ad esprimere i pensieri e le emozioni che tengo chiuse nell'anima.

 

Paolo: Diciamo che neanche troppo piccolo, intorno ai 10 anni, ho iniziato, un po’ per caso,  a prendere lezioni di batteria pur essendo sempre stato innamorato della musica più dal punto di vista melodico ed armonico: infatti già da prima delle lezioni di batteria canticchiavo qualsiasi cosa e suonicchiavo la chitarra per conto mio. Tra le tante cose che si iniziano a fare un po’ per caso, la batteria è quella a cui sono rimasto più legato in quanto molto più libera rispetto ad altre attività e col tempo ci  ho preso gusto, ma senza questa casualità probabilmente avrei scelto un altro strumento. Suonando prestissimo con gente molto più grande e brava di me, pian piano è diventata una vera e propria droga, imparando ad apprezzarla sotto molti più punti di vista oltre a quello ritmico e di certo, ora,  non la cambierei con nessun altra cosa!

Tra le mie preferenze musicali  e ispiratori musicali ci sono senz’altro ai primissimi posti i Beatles. Inoltre non posso non citare gli ottimi insegnanti che ho avuto, anche se, al di là dei grandi nomi milanesi tra cui Furian e Gualdi, menzione particolare va al mio primissimo insegnante, essendo stato fondamentale nella mia crescita ed innamoramento dello strumento: Valerio Caorsi!

Giulio: Il mio primo strumento è stata una tastiera a ventola (penso unico esemplare al mondo visto che non ne ho mai più visto una) ed avevo circa 4 anni. Mio padre mi diceva che tasti schiacciare e poi mi accompagnava con la chitarra.

Sono pure andato a lezione di pianoforte per due anni, dai sei ai sette anni, ma non mi ricordo altro che la nota DO disegnata a forma di mela...

Non ho più toccato nessuno strumento fino all'età di 12 anni quando per gioco con altri amici abbiamo deciso di formare un gruppo rock...io in casa avevo già chitarra elettrica e ampli di mio padre, non ho avuto alcun dubbio!

Da quel giorno ho cominciato ad imparare gli accordi facendomi insegnare da mio padre. Il passo successivo è stato imparare le prime "svise" tirandole giù ad orecchio dal giradischi (ovviamente i 45 giri venivano fatti suonare a 33 per facilitare le cose!).

A quindici anni ho deciso di andare a lezione di chitarra elettrica per migliorarmi ulteriormente ma i miei genitori mi consigliarono di fare prima qualche lezione di chitarra classica. Otto anni dopo mi sono ritrovato con il diploma di conservatorio!

L'animo rock però non è mai tramontato, anzi, più studiavo e più avevo voglia di alzare a "manetta" l'ampli!

 

 

Montag: Da suonatore della domenica mi capita che a secondo dello strumento che imbraccio, Precision, Fretless o Rickenbacker, suono alla Waters o alla Squire… Ritenete che una cosa del genere possa succedere anche a voi professionisti? Uno specifico timbro vi fa suonare/comporre in un modo particolare?

 

Giulio: Sicuramente il timbro influenza il mio modo di suonare, non tanto però assumendo uno stile di qualcun'altro, ma, senza neanche accorgermene, adattandomi allo strumento e alle sue peculiarità. Spesso più che timbrica è la sensazione tattile che mi fa "cambiare stile", appena la mano sinistra tocca il manico e le corde incomincio a suonare ora più dolce e melodico, ora più staccato/ritmico, ora più "sguaiato/sporco", ecc...

 

Elisa: E’ vero, spesso non ci si pensa, ma il timbro di uno strumento richiama subito a ciò che ci piace,uno stile tipico di un musicista, un brano, addirittura un genere: per me, per esempio, il mellotron è un suono che subito mi fa ricordare i Genesis, i King Crimson e tutto il progressive. Quando suono l'emulatore del mellotron mi basta fare due accordi semplici per immergermi in quell'atmosfera magica: qualsiasi accordo "a caso" assume un carattere "prog". Certo, comporre è poi un lavoro diverso, ma effettivamente se uso quel timbro mi viene da comporre sequenze di accordi minori, dissonanze e note grevi. Un altro suono che mi "condiziona" è l'organo Hammond: il suo suono mi rimanda direttamente ai Deep Purple, agli Uriah Heep (ho iniziato a suonare l'organo con quella musica) o anche ad Emerson, per i timbri più percussivi. E’ vero, sovente il timbro di uno strumento può condizionare il nostro modo di suonare facendoci "imitare" i nostri idoli musicali.

Nella fase della composizione cerco per quanto possibile di evitare questo effetto proprio per non cadere in cliché compositivi. Di fatto compongo principalmente con il pianoforte, questo talvolta limita un po' gli orizzonti trovando più difficile comporre brani veloci e "rock" con questo strumento.

 

Fabio: Personalmente mi lascio condurre dal timbro verso un tipo particolare di approccio, più che ad uno stile o ad un musicista in particolare. Ad esempio se lo strumento ha un suono caldo e morbido mi viene voglia di improvvisare linee melodiche lente e cantabili, per gustare meglio la pasta timbrica. Se il suono è invece tagliente e spinto sono portato verso ritmiche più veloci e serrate. Questo vale sia sul basso, sia sulla chitarra classica. Generalmente poi quando imbraccio un nuovo strumento mi perdo tantissimo nell'osservare (e toccare) i legni con cui lo strumento è costruito, soprattutto quando la verniciatura è a tampone, quindi leggera e non coprente, in modo da lasciar visibili le venature del legno.

 

Paolo: Sinceramente non mi pongo questo problema, a suonare sono sempre io ed io decido come deve suonare lo strumento e non viceversa, specialmente nell’improvvisazione è tutta una questione umorale, se dipendesse dallo strumento, una situazione improvvisata diventerebbe impossibile. Ovvio con una batteria di dimensioni enormi difficilmente riuscirò a suonare del Jazz soddisfacente, ma in realtà l’ho sempre fatto, quindi il problema non sussiste. Poi si può parlare di pezzi coi quali mi trovo più comodo o meno (ritengo molto importante un bello sgabello, per esempio), ma ciò non influisce sul playing.

 

Montag: Giusto per curiosità personale, che strumento (marca/modello) avete? Ci potreste raccontare come lo avete scelto e perché? 

 

Fabio: Suono un bel basso in mogano a sei corde con un magnifico manico in wengè e bubinga. Preferisco non fare pubblicità alla marca, almeno pubblicamente. L'ho scelto per le caratteristiche tecniche (il manico è sottile e veloce, il ponte è ripartito in sellette separate per ciascuna corda), la forma (sono dell'idea che uno strumento debba anche piacermi dal punto di vista estetico oltre che timbrico) e per il suono robusto con un attacco deciso.

Se potessi permettermelo vorrei farmi costruire un basso analogo da un liutaio (verosimilmente dal caro amico Gianmaria Assandri, che ha la sua splendida bottega qui a Genova), perché lo strumento che possiedo presenta le inevitabili piccole imperfezioni tipiche degli strumenti di fabbricazione industriale.

 

Paolo: Purtroppo gli strumenti belli costano, ma poco importa, perché sono convinto che non è lo strumento che fa il musicista, ma il contrario: se so cosa voglio suonare mi adatto a qualsiasi cosa per rendere ciò che ho in testa, così come uno che non sa suonare può  avere uno strumento da migliaia di euro che non ci caverà mai niente di interessante o soddisfacente. Comunque, in caso di possibilità di scelta, è lo strumento che si deve adattare alle tue esigenze e non viceversa, anzi, ho una particolare diffidenza verso chi si interessa molto più allo strumento rispetto alla musica, testimoniata dall’aver conosciuto moltissime persone onniscienti sui cataloghi e spesso (non sempre) incapaci poi con lo strumento. Forse il fatto di non aver mai avuto uno strumento di livello ha comportato una capacità di adattamento forzato, ma ha anche confermato la mia tesi!

 

Elisa: Ho diverse tastiere, tutte prese d'occasione o di seconda mano per motivi economici, tranne la Nord Electro 3 che considero per me indispensabile per i suoi suoni. Possiedo un vecchio Hammond del '72, purtroppo senza Leslie e un Farfisa di fine anni '70 (entrambi messi in vendita per ripagarmi la Nord!), ho una Korg Triton LE, una vecchia master keyboard della Roland con un modulo JV1080 (vecchio ma valido con scheda di suoni vintage). Ho uno Steelphone a due oscillatori del '75, un vero gioiellino analogico (ma proprio per la sua età, inaffidabile dal vivo). Ho scelto questi strumenti più per necessità e convenienza mentre ho scelto la Nord perché poteva soddisfare le mie richieste di suoni fedeli d'organo, mellotron e vari sample vintage. Le tastiere sono importanti per i suoni, che per un tastierista (soprattutto prog) caratterizzano parte dello stile. E' più difficile trovarsi su uno strumento diverso in caso di concerti, non tanto per la meccanica (come può accadere per una batteria o un basso, ad esempio) bensì proprio per i suoni (capita che per un brano abbia un set di anche 25 suoni!). A parte questo trovo che il pianoforte acustico sia lo strumento insuperabile, perché mezzo di espressione come nessuna tastiera può essere. Solo con il pianoforte si può suonare con sentimento e sentire i tasti con la loro meccanica "vera" rispondere ora alla foga ora alla dolcezza. Uno strumento che mi piacerebbe avere e che non ho ancora acquistato per motivi economici è un Moog... :-)

 

Giulio: Ho comprato pochi mesi fa una PRS (Paul Red Smith) custom 24 una chitarra versatile con cui mi trovo benissimo! Penso che la PRS sia la chitarra ideale per me, ho provato diverse chitarre prima di sceglierla (Stratocaster, Ibanez 6 e 7 corde) fino a quando la mia mano si è appoggiata sulla sua tastiera: è stato subito amore!

 

Montag: Genova, grande Genova: a pensare l'elenco di tutti i grandi artisti che  provengono dalla vostra città sembrerebbe che sia più di un semplice caso. A volte mi viene proprio da pensare come mai sia sempre Napoli additata come città della canzone e non la vostra città. Avete mai riflettuto di quanta Genova c’è nella vostra musica?

 

Fabio: Genova è una città meravigliosa, densa di bellezza e malinconia. Tutto sembra richiamare il proverbiale ingegno della gente di una volta, l'operosità e la velata tristezza, se penso alla terra strozzata tra il mare e le colline, i vicoli angusti e brulicanti di vita, i palazzi e le casette in repentino accostamento. C'è poesia nell'aria, lo avverto e necessariamente ne subisco il fascino, tanto da voler dedicare una canzone ad uno degli scorci più tipici e pittoreschi, la nostra Boccadasse.

C'è sempre stato molto fermento musicale in questa città, lo so dai racconti degli amici con qualche anno in più... c'erano concerti quasi tutte le sere nei numerosi locali, a Genova suonavano artisti eccellenti provenienti da tutto il mondo (Lupo ne avrebbe da raccontare, molto più di me)... Oggi invece vedo locali che chiudono, discussioni infinite per poter proporre qualche pezzo originale tra le mille cover-band, concerti sempre meno interessanti nei pochi spazi di respiro "internazionale"... dov'è finita la Genova di una volta?

 

Elisa: Genova ha un "carattere" musicale molto spiccato, brulica di musicisti (di professione e non) e vanta di un’attività invidiabile nel campo delle arti. Purtroppo le offerte e le opportunità non sono proporzionali alle sue potenzialità, i locali fanno poca musica live e, in tal caso, quasi sempre con gruppi cover o tributi commerciali. Ci sono qua e là alcune belle iniziative, sovente però sono scarsamente pubblicizzate.

Ci sono alcuni storici negozi di dischi tra cui proprio la Black Widow vero e proprio "punto d'incontro" dei musicisti e appassionati: negli ultimi anni proprio da loro sono stati organizzati eventi validissimi in ambiente progressive, grazie appunto alla passione che permette di superare le difficoltà che questa città pone.

Come dice Fabio nel disco c'è addirittura un brano dedicato al rione di Boccadasse, composto da Fabio e implementato da me con alcuni tipici "rumori" del luogo: le onde del mare, il lavorare dei pescatori, una melodia eseguita dalle campane tipica della domenica mattina...tutto ciò per rendere fresca e viva l'aria che si respira qui cercando di portarla nella nostra musica. Un altro elemento tipicamente genovese presente nel disco è la voce di Max Manfredi: un’artista ormai conosciuto a livello internazionale che da sempre scrive in modo unico ed emozionante gli aspetti più ineffabili della nostra città, musicando le sue bellissime parole con un sapiente mix di suoni e generi, proprio come le spezie che si trovano al mercato orientale in centro città. Musica, colori, odori e immagini sono profondamente collegate nei nostri animi e credo che tutto questo traspaia dalle nostre composizioni e probabilmente crea un invisibile filo che lega tutte le persone che fanno musica a Genova.

 

Paolo: Genova è senz’altro una città affascinante e bellissima, piena di piccoli scorci impagabili e per motivi anche morfologici votata ad una forte aggregazione tra i propri abitanti e questo le ha permesso di diventare fonte di ispirazione, soprattutto per autori e cantautori (inutile fare esempi celebri, ma ci tengo a fare  il nome di Max Manfredi, che ritengo al giorno d’oggi, oltre che un’ottima persona, uno dei pochi cantautori validi rimasti a rappresentare la vecchia scuola cantautorale genovese capace di creare una speciale magia). Un altro fattore caratteristico genovese è la presenza costante di varie culture conseguente al facile approdo marittimo, ma purtroppo questo non si è mai trasformato in un sincretismo musicale, per fare un esempio esagerato in termini di varietà di popolazione, ma che può dar l’idea, tipo Cuba. Forse per le stesse ragioni geografiche la popolazione Genovese è molto chiusa, e questo si riflette sui rapporti sociali con le diverse etnie e sulla qualità della musica. Si è creata a mio modo di vedere (anche a causa, come dice Fabio, delle poche possibilità che la città offre a livello di opportunità di suonare e comunque di aggregazione tra musicisti) un po’ troppa mediocrità alimentata dal fatto che comunque le persone genovesi tendono a vedere Genova un po’ in maniera geocentrica, quindi se uno è bravo a Genova allora è il re del mondo.  Non so se io poi sia tanto diverso da questo tipo di persone (alla fine sono genovesissimo pure io), ma posso dire di aver potuto aprire i miei orizzonti musicali e non solo, uscendo da Genova, rimanendo qua non sarei mai cresciuto (o comunque il processo sarebbe stato decisamente rallentato) e non avrei mai scoperto persone e mondi fantastici che è possibile apprezzare solo togliendosi dallo stantio locale.

 

Giulio: Dopo aver letto le risposte di Fabio ed Elisa e soprattutto quella di Paolo che parla di "sincretismo musicale" penso non ci sia altro da aggiungere! ;-)

 

Montag Domanda fastidiosa, ma dovuta. Nella tua esperienza, cara Elisa, pensi che essere donna ti abbia in qualche modo penalizzata/avvantaggiata nella realizzazione del tuo progetto artistico?

 

Elisa: Essere una tastierista donna nell'ambito della musica e in particolare del prog può avere pro e contro: la cosa che accade più spesso è che le persone che non sanno che suono le tastiere danno per scontato che io sia la cantante del gruppo; altre volte invece capita che ci siano pregiudizi (del tipo "è una donna, non può suonare prog è impossibile") e ciò mi crea un po' di fastidio. Quasi sempre questi pregiudizi sono poi seguiti da un ripensamento, ma non trovo giusto che si venga giudicati soltanto dall'aspetto esteriore (che può fuorviare perché molto curato, ma non con lo scopo di compensare qualche mancanza): certo so benissimo di non essere una musicista eccelsa, anzi, se potessi avrei cominciato a colmare le mie lacune da tempo. L'essere donna porta le persone a giudicare con più severità, come se essere donna dia in qualche modo qualche vantaggio che gli uomini non hanno. L'unico vantaggio può essere, nel mio caso, il fatto che ci siano pochissime donne che suonano prog e quindi possa "spiccare" per rarità. Inoltre tengo a precisare che la cura che ho dell'immagine e dell'estetica non è una civetteria o un mero tentativo di apparire, bensì una caratteristica propria della mia personalità (chi mi vede tutti i giorni in ufficio lo sa!), credo che esprimere il proprio mondo con la musica possa essere accompagnato dall'espressione estetica (mediante il proprio corpo e quello di chi accetta di fare da cavia!) accordata al senso della musica stessa. Essere donna mi permette di osare molto più degli uomini con trucco e make-up ed esprimere anche in questo modo i miei sogni e le mie visioni.

 

 

Montag Immagino che non viviate di prog visto purtroppo le vendite (a proposito ci potete dire come sta andando il vostro disco?). Ci raccontate come vivete la vostra vita da "precari" della musica?

 

Fabio: devo dire che con questa domanda tocchi un tasto dolente... Nessuno di noi vive di musica, abbiamo tutti un lavoro a tempo pieno (a parte Paolo che si è diplomato da poco all'accademia musicale) e quindi finiamo per dedicare alla musica il poco tempo libero. Questa è una situazione frustrante sia per la composizione, sia per la gestione dei contatti e l'organizzazione dei concerti. Ogni cosa si trascina lenta, tra mille interruzioni, con la fatica sulle spalle di una giornata trascorsa a sbrigare un lavoro che tipicamente non ha nulla a che fare con ciò che si vorrebbe veramente attuare, e a cui per giunta si dedicano le ore migliori e più cariche di energia. Credo che, salvo casi particolari, chi vive di musica oggigiorno come autore o musicista abbia fondamentalmente le spalle coperte in qualche modo, poiché è quasi impossibile mantenere un tenore di vita dignitoso con i soli introiti provenienti da dischi e concerti. Anche nella musica commerciale è difficilissimo, a meno che non si abbia la spinta di qualche grossa etichetta, figuriamoci in un genere d'élite come il prog-rock.

Sono convinto che questo disagio, questo quotidiano tumulto interiore si rispecchi in qualche maniera nella nostra musica. Ritengo che l'unico modo per potersi definire veramente completo ed appagato come musicista sia potersi dedicare interamente alla propria musica, avere la serenità ed il tempo per lasciar fluire ciò che si sente nel proprio cuore, ciò che si "vive", in modo da trasmetterlo genuino e puro a chi ascolta, senza fretta, senza vincoli o costrizioni... purtroppo ho la spiacevole sensazione che questa condizione sia al giorno d'oggi irrimediabilmente utopica.

 

Paolo: Penso di essere un po’ inusuale rispetto alle altre situazioni del Tempio per vari motivi, in quanto dopo essermi diplomato nell’ Accademia del Suono di Milano,  sto provando a far diventare il musicista un lavoro, diciamo un lavoro divertente (purtroppo esistono situazioni dove il lavoro è suonare, ma è senz’altro peggio di molti altri lavori), ed anche se difficile, cerco di dare il massimo in ogni lavoro o progetto che intraprendo, con la speranza di ricevere presto dei frutti come sta succedendo col Tempio. Diciamo che di conseguenza anch’io come gli altri, non riesco a dedicarmi al 100% alla nostra musica, però il fatto che noi tutti abbiamo poco tempo lo giudico estremamente negativo, perché se avessimo molto più tempo credo saremmo ugualmente liberi di fare ciò che ci piace, ma le pubblicazioni e la dedizione nella ricerca sonora e concertistica sarebbero senz’altro maggiori e incrementerebbero senza dubbio la qualità della musica. Hai toccato il tasto vendite, che purtroppo è il tasto più dolente, non so come stiano andando, credo molto bene per il momento che vive l’industria discografica, ma diciamo che se fossimo 20 anni fa saremmo in tutt’altra situazione!

 

Elisa: Su questo argomento non posso che essere pessimista: diciamo che purtroppo anni fa ho dovuto smettere di studiare musica per andare a lavorare a causa di motivi familiari... questo ha causato in me una forte frustrazione e la visione del "lavoro" come un effetto che distrugge il fare musica. In gran parte è vero, poiché fino a dicembre avevo un orario di lavoro che non mi permetteva di avere nemmeno il minimo del tempo libero per poter suonare. Attualmente le cose sono migliorate di poco. Avere a malapena due ore a settimana (quando va bene) per suonare e comporre è totalmente negativo. Se avessi più tempo so quante cose che potrei fare, sono un fiume di idee e ciò che mi ha sempre danneggiato e posto limiti è stata proprio la mancanza di tempo per realizzarle.

Certo, non avere vincoli discografici o scadenze, tipiche della "musica di professione" è positivo poiché si può agire secondo le proprie esigenze e tempi, ma direi che per quanto mi riguarda vivo piuttosto male questa continua lotta contro il tempo, che non mi permette di mantenermi in allenamento nell'esecuzione musicale, comporre quando sento l'ispirazione, studiare i brani con un po' di calma e dedizione. Tutto si fa di corsa e sacrificando la vita sociale e altri aspetti anche importanti. Per la musica questo ed altro, ne sono certa, ma non credo che si possa andare avanti così per molto, benché ci si creda con tutta l'anima. Perdonate il tono pessimista e cinico ma mi avete toccato sul vivo! ;-)

 

Giulio: Da adolescente il mio sogno era diventare musicista, lavorare facendo tantissimi concerti in giro per il mondo e vendere milioni di cd. Ora ho 32 anni e dove sono arrivato? Ho preso il mio pezzo di carta al conservatorio, faccio concerti in giro per il mondo e il cd del mio gruppo è stato venduto in migliaia di copie. Cosa manca? Mancano le parole lavorare, tantissimi concerti e milioni di cd... beh, questa sarebbe stata la perfezione però non mi lamento, ho raggiunto un bel traguardo!

Ad ogni modo la speranza ce l'ho sempre visto la validità del nostro progetto e le persone che lo compongono! Che bello sarebbe diventare lavoratori del Tempio a "tempio" indeterminato!

Se siamo riusciti a fare il primo disco vedendoci poco chissà cosa potremmo creare vedendoci di più!

 

 

Peppe:  Come è nata l'idea di ripresentare Zarathustra dal vivo? Che riscontri avete avuto? E alla fine cosa vi ha spinti a distaccarvi dalla semplice riproposizione di un'opera già esistente per scrivere e pubblicare materiale originale?

 

Elisa: Dall'incontro tra me e Lupo è spontaneamente nata l'idea di cominciare proprio da Zarathustra, l'anello di congiunzione tra le nostre vite musicali: per me uno dei migliori dischi di progressive italiano, per lui l'esperienza musicale più importante. E’ stato un duro lavoro, soprattutto per cercare di non allontanarci dal suono tipico del disco (difficile farlo con tastiere digitali, ma si fa quel che si può) mentre la voce di Stefano, immutata, è da pelle d'oca! Dopo aver suonato l'intero Zarathustra in un teatro genovese, il Tempio (anche la scelta del nome è ispirata dal capolavoro del Museo Rosenbach, da noi rivisto nel significato simbolico) attraversa fasi difficili di cambio formazione.

L'obiettivo di creare e proporre musica inedita esiste per me già da prima, e con i ragazzi dell'attuale formazione si è finalmente compiuto. Formando una buona squadra di lavoro abbiamo intrapreso l'avventura di "raccontare" il nostro mondo musicale. Io tengo principalmente il "filo logico" del progetto, ma esso è condizionato e arricchito dalle idee di ognuno di noi. Le composizioni sono mie e di Fabio, lavoriamo sia per conto proprio che insieme (dipende dalle possibilità di tempo libero che abbiamo, come detto, quasi sempre scarse purtroppo) e portiamo in saletta le bozze per lavorarci tutti insieme.

Per quanto mi riguarda ciò che mi spinge a fare musica propria è la voglia di esprimere il mio mondo e i miei pensieri con lo stile di musica che ho sempre amato: è un modo per donare qualcosa a chi ha piacere di riceverlo e di condividere con altre persone emozioni che difficilmente riescono ad essere espresse con le parole. Avere la possibilità di far ascoltare la nostra musica a un buon numero di persone è un sogno!

 

Fabio: Sono entrato nel gruppo dopo il primo memorabile concerto del 2007 in cui si è riproposto l'intero album Zarathustra dal vivo dopo oltre trent'anni. La cosa mi aveva già incuriosito a suo tempo e la possibilità di riproporla (come è stato l'anno seguente) è stata preziosa. Da subito però si avvertiva la necessità di comunicare il proprio pensiero tramite le nostre idee musicali, in modo tale che la sensibilità di ognuno avesse così modo di esprimersi liberamente. Abbiamo dunque imbastito il lavoro sui brani originali e l'affinamento del nostro stile è tuttora in corso d'opera. Suoniamo comunque volentieri Zarathustra dal vivo, perché è musica molto intensa e ci offre anch'essa la possibilità di esternare la nostra energia sul palco.

 

Paolo: Non ero nel gruppo in quel tempo. Il mio ingresso è coinciso poi con il concepimento e la pubblicazione del nostro primo lavoro discografico. Posso solo dire che ovviamente nei “provini” (anche se la situazione non era certo tipo casting, ma molto più “familiare”), oltre ai primi inediti, c’era stato anche qualche brano del lato A di Zarathustra, che ascoltandolo mi sono veramente entusiasmato (per ovvi motivi di età ero totalmente ignaro del disco dei Museo Rosenbach) e che suonarlo dal vivo è davvero eccitante!!!

 

Giulio: Quando sono entrato nel gruppo il Tempio aveva già eseguito dal vivo l'intero album quindi l'unica cosa che ho dovuto fare è stato quella di studiare il lato A di Zaratustra!

 

Montag: Da dove nasce il nome Tempio delle Clessidre? O meglio, so che è la sessione finale di Zaratustra ma oltre che al “senso di appartenenza” immagino che questo nome sia stato scelto per dare una precisa immagine mentale. Personalmente il tempio mi da una sensazione di protezione e custodia, mentre le clessidre indissolubilmente sono legate alla misura del tempo. Inoltre, le clessidre danno anche un senso di fragilità (per questo il tempio da un senso di protezione più che di venerazione). Mettendo tutto insieme sembrerebbe un nome legato all’impossibilità di controllare il tempo, all’inutile tentativo dell’uomo di controllare il tempo. C’ho beccato?

 

Elisa: Hai centrato in pieno il concetto del "nome legato all’impossibilità di controllare il tempo"!! E' proprio questo il pensiero portante della "traslitterazione" de "Il Tempio delle Clessidre". Innegabile l'associazione con il Museo Rosenbach nella figura di Lupo e quindi la "citazione" di una traccia di "Zarathustra", ma qui l'immagine è una metafora appunto di un luogo, creato dall'uomo, concepito per "racchiudere il tempo", un luogo mentale, dove l'uomo si sente padrone di poter governare questa entità così sfuggente. E' di fatto un'illusione, e nei nostri brani analizziamo proprio questo stato dell'essere umano, la convinzione di essere "potente" e di poter gestire molti aspetti della realtà e l'impossibilità concreta di poterlo fare davvero. Il logo che ho elaborato riporta infatti alcuni simboli geometrici e strumenti di misurazione del tempo e dello spazio (le squadre che formano una clessidra, l'antica meridiana in pietra -il primo strumento conosciuto di misurazione del tempo- il cerchio inscritto in un quadrato), tutti con il centro coincidente al centro del simbolo dell'infinito, che fa perdere il valore di qualunque unità di misura, è stato studiato con questa idea. Anche la copertina è una metafora figurata del concetto, elaborata in alcuni particolari.

E', se vogliamo, un tema già analizzato da molti prima, ma per quanto mi riguarda mi ha sempre affascinato fin dalla tenera età e mi ha ispirato a comporre testi e brani che raccontano di come vedo le emozioni, i conflitti interiori e l'incapacità di darsi risposte, dalle più semplici alle più complesse.

 

Fabio Per quanto riguarda la tua interpretazione del nome del gruppo... mi piace moltissimo! Ho sempre pensato all'idea del tempio quale luogo in cui sentirsi protetti e rassicurati, avvertendone la forte carica emotiva, che sproni ad essere rispettosi, silenziosi ed attenti. La clessidra aggiunge quel senso di delicatezza ed ingegno che si esprime nei gesti, nella curiosità, nei pensieri... è un nome molto evocativo, che lega elementi creati dall'uomo ad altri che l'uomo stesso non può dominare... mi è piaciuto da subito!

 

Montag:  Parliamo del vostro primo disco. Cominciamo dalla grafica che so anch'essa opera vostra. Ci spiegate un po' il simbolismo che avete usato?

 

Elisa: La grafica è stata curata interamente da noi: abbiamo voluto una copertina disegnata a mano,  ho proposto il lavoro a Maurilio Tavormina, disegnatore di fumetti, ancora uno dei pochi a lavorare interamente a mano. Con lui ci siamo consultati (veniva in saletta e pazientemente ascoltava le nostre idee) e seguendo una traccia di un mio schizzo (da un'idea di Fabio e mia) abbiamo elaborato il disegno curandone i minimi particolari. Avevo chiesto a Maurilio di tenere tutti gli schizzi, le macchie di prove colori d'acquerello, gli scarabocchi... tutto: ecco, con quelli io e mio fratello Andrea abbiamo costruito il booklet! Elaborando le varie pennellate, i grafismi, scegliendo i colori in base al testo del brano su ogni pagina: abbiamo cercato di dare la giusta "atmosfera"cromatica ad ogni traccia... E così alcune macchie si trasformano in barchette per "boccadasse", lo "scolo" di acquerello grigio/viola diventa la nebbia (fisica e mentale) per "la stanza nascosta" e gli schizzi dell' "angelo ligneo" diventano un po' il simbolo ricorrente nel libretto, una sorta di espressione emotiva per mezzo di un oggetto volutamente impersonale. I testi sono stati scritti da me con un pennino e inchiostro color seppia, proprio per evidenziare il lato "artigianale" dell'opera (e perché no, il voluto uso dell'analogico laddove possibile), nel tentativo di rendere il disco più "caldo", vero...spero che ciò si riesca a recepire! E’ stato un lavoro faticoso e fatto nei ritagli di tempo, ma la soddisfazione di vedere il vinile con la copertina grande e l'interno in cartone poroso che sembra il disegno originale e manoscritto, è impagabile!

 

Fabio: Sulla copertina aggiungo solo che l'ambientazione vuole rinforzare il senso del tempo che scorre ciclicamente e che non si riesce completamente ad "afferrare" (sia fisicamente, ma anche nel senso di comprensione). I personaggi alati sono esseri senza identità, come facenti parte del flusso stesso del Tempo. La sabbia scorre attraverso la valle, come a rappresentare l'evoluzione di tutte le cose, ma poi viene raccolta e riportata all'origine, in un processo che non ha fine e in qualche modo "non ha tempo", come se cessasse di essere misurato.

 

Montag: Le composizioni sono nate in sequenza come nel disco (immagino di no...)? Quanto avete discusso per "assemblare" l'intera track-list? Qualcuno di voi si ricorda le alternative e le motivazioni per cui poi sono state scartate le altre ipotesi?

 

Fabio: Solitamente lavoriamo sui brani  man mano che le idee si concretizzano, quindi difficilmente seguiamo l'ordine che sarà poi adottato per l'album (sta accadendo anche per il secondo disco). La definizione della track-list è qualcosa di estremamente complesso e delicato e c'è voluto molto per ultimarla. Avevamo alcuni vincoli (ad esempio la volontà di non separare Datura e Faldistorum e di mettere Il Centro Sottile in chiusura), ma abbiamo cercato di mantenere l'alternanza dei pezzi il più possibile scorrevole e spontanea. Oltre a questo abbiamo dovuto rispettare la durata delle due facciate del vinile (problema che non avevo mai dovuto affrontare finora nelle registrazioni degli altri gruppi in cui suono)... è stato a suo modo avvincente!

 

Paolo: Io sono arrivato che le opere erano già state pressoché ultimate, a parte La Stanza Nascosta e Antidoto Mentale, aggiunte successivamente proprio per completare l’album in termini di varietà d’atmosfere. Al di là del mio lavoro sull’arrangiamento in assoluto ordine sparso, credo che anche i brani a suo tempo fossero stati proposti nell’ordine sparso in cui erano stati composti. In accordo con Fabio, la decisione della track-list è un momento molto delicato, può anche decretare il successo o il fallimento di un disco, infatti la nostra scelta è stata molto oculata, diciamo che il vincolo di rispettare le due facciate del vinile (cosa non facile, trattandosi comunque di brani di lunga durata) ci ha “facilitato” il lavoro eliminando automaticamente parecchie alternative.

Montag: Per questo vi chiedevo della track-list, potendo in effetti decretare il successo o il fallimento di un’opera. J

 

Elisa: I brani sono stati concepiti nel corso del tempo, alcuni(come Danza Esoterica di Datura, Faldistorum e Il centro sottile) erano stati composti anche prima della nascita del Tempio. Non avendo molto tempo libero io e Fabio abbiamo dovuto lavorare alla composizione e stesura di base separatamente, concentrando poi le prove per gli arrangiamenti. Vedersi una volta alla settimana, di sera, non aiuta molto, per questo abbiamo impiegato parecchio tempo per portare a termine il progetto. Come detto dagli altri, la scelta della track-list è stata difficile per diversi motivi,per quanto mi riguarda sono piuttosto soddisfatta della scelta fatta. La bonus track, "Antidoto mentale", è un brano volutamente staccato dal resto del disco, non presente sul vinile per motivi di tempo: siamo stati indecisi sull'inserimento o meno del brano (dal carattere commerciale, se vogliamo) e alla fine abbiamo optato per la sua presenza come bonus track.

 

Montag: Come ha già scritto un grande recensore competente e di fama su queste pagine (io, ovviamente :-) ) il momento più emozionale dell'album sembra essere la parte centrale. Voglio dire la parte più "intimista" è sicuramente  la successione Le due metà di una notte + la stanza nascosta + Danza esoterica di Datura + Faldistorum.

Ci raccontate come sono nati questi pezzi(ma se volete, anche gli altri dell’album)?

 

Fabio: Dei quattro brani che hai citato l'unico composto da me è Le due metà di una notte, pertanto mi soffermo su questo brano: effettivamente è un pezzo molto intimo, che parte dalla suggestione di uno dei momenti del giorno che preferisco (la sera) e poi si apre in digressioni metaforiche che la personificano accompagnando l'ascoltatore verso le atmosfere notturne. Ho cercato di disegnare i colori di una notte fredda, ma al contempo illuminata da una luce dolce ed attraente. Il brano è diviso in due parti (come suggerisce il titolo), ma sotto diversi punti di vista: a parte l'accostamento tra la sezione cantata, più intima, e quella strumentale incalzante, c'è anche la contrapposizione tra due personaggi che s’incontrano e diventano i protagonisti della notte stessa, identificandosi in essa. Inoltre il testo è scritto metà da me (la prima strofa ed il primo ritornello) e metà da Elisa (la parte speculare)... e credo che si riesca a riconoscere la mano di entrambi. Lo abbiamo scritto in un momento particolare della nostra vita ed è per noi ricco di significato, nonostante non sia tecnicamente un testo autobiografico. Anche per questo motivo è un brano a cui tengo molto, forse il mio preferito nel disco.

 

Elisa: Anche per me il momento centrale del cd (senza nulla togliere alle altre tracce) è il più emozionante... credo sia una casualità, abbiamo cercato di inserire i brani in modo che il "mattone" dei due strumentali fosse debitamente staccato dalla traccia più lunga, "il centro sottile". Ascoltandole in quell'ordine effettivamente pare ci sia un progressivo "approfondimento" del linguaggio musicale, che sfocia nei due strumentali arrangiati quasi maniacalmente per riuscire ad esprimere proprio tutto un mondo senza più l'uso delle parole. I due strumentali erano nati qualche anno prima, ad esempio con "Danza esoterica di Datura" eravamo arrivati in finale del concorso Demetrialmente (mi pare nel 2006): allora il gruppo aveva il nome Hidebehind (non c'era ancora Lupo). Poco dopo nacque il seguito "Faldistorum". "Danza esoterica di Datura" è l'espressione in musica di un mio viaggio a Triora, il cosiddetto "paese delle streghe", nell'entroterra di Imperia. Un luogo esoterico e carico di magia, di storia e leggende, impregnato di un'aria inquietante, cupa... un paese quasi del tutto disabitato, ora un po' commercializzato, tuttavia sincero nella sua semplicità. Rimasi profondamente colpita da alcuni particolari e dalla storia legata a quel luogo (che pare aver lasciato dei segni, astratti ma ben sensibili) e scrissi il brano strumentale con l'intenzione di raccontare le mie sensazioni mediante una sorta di danza esoterica che si sviluppa in diversi tempi. L'occulto mi ha sempre affascinato e mi piace, nel mio piccolo, ricercare un contatto tra soprannaturale e linguaggio musicale. Il rito che compiamo durante il concerto è proprio un tentativo di riprodurre scenicamente qualcosa che lega l'essere umano, in questo caso la donna, allo Spirito della Terra, e di lanciare un preciso messaggio: nella civiltà moderna la donna ha quasi totalmente perduto la sua forza e i suoi poteri legati alla Terra. La figura della strega per certi aspetti è quella della donna sensibile e magica, legata alla Terra, che possiede capacità di dialogo con essa e compie quello che agli occhi di altre persone sembra sovrannaturale. La musica cerca di portare l'ascoltatore in una sorta di estasi e di immergersi in una danza propiziatoria, dove l'essere umano riconosce di essere una parte della Natura e di poter vivere armoniosamente in essa assumendone anche i suoi poteri.

Discorso un po' contorto e se vogliamo spicciolo, che sarebbe necessario approfondire (e vorrei avere il tempo di studiare meglio l'argomento!). "Faldistorum" è il seguito e l'epilogo della danza, in cui si ha la manifestazione di questo Spirito, che agli occhi di un essere umano è un essere oscuro, quasi bestiale, pagano. L'atmosfera è mistica: abbiamo ovviamente usato un linguaggio musicale occidentale e ho scelto l'organo liturgico come suono adatto ad esprimere questa atmosfera...la voce recitante di Max Manfredi narra con enfasi la fase finale del rito e gli arrangiamenti ora serrati ora aperti (gli accordi solenni di mellotron dovrebbero ispirare una "disciplina" per così dire "cosmica") danno un senso di instabilità indotta.

"La stanza nascosta" è un brano fortemente introspettivo che scrissi in un momento molto difficile della mia vita. Mediante metafore ho voluto esprimere il senso di inadeguatezza di una persona rispetto al microcosmo intorno a lei e allo stesso tempo del macrocosmo, ovvero l'universo: l'uomo spesso si pone domande a cui non può dare risposta, che vanno al di là delle attuali conoscenze scientifiche. In egual modo si pone domande sulla propria esistenza da un punto d'osservazione quindi totalmente diverso, incentrato su se stesso. Le due tipologie di domande hanno lo stesso peso nella mente umana, anzi la seconda sovente ha importanza maggiore: non riusciamo a trovare fuori dal nostro essere il mondo che vorremmo o che ci siamo illusi di conoscere. Ci rifugiamo dunque in una "stanza nascosta" che non sapevamo nemmeno esistesse, la quale sta dentro di noi, e dalla quale possiamo osservare tutto in modo diverso, trovando molte delle risposte che cercavamo. E' necessario in qualche modo tornare bambini per poter vedere, e proprio in quel momento ci si accorge di non aver mai voluto crescere. Questa stanza è a tratti un palliativo, a tratti l'unico mezzo che abbiamo per uscire da situazioni mentalmente nocive. L' ammettere di non poter sapere quello che desideriamo sapere (la "forma dell'ineffabile") ci porta automaticamente ad uno stato elevato e potenzialmente evolutivo. Il dolore umano è costante, ma "lucente", perché porta in qualche modo gioia, e "muto" poiché non condiviso da altre persone, solitario.

L'arrangiamento è acustico per dare rilievo all'intimità del testo. Voce e pianoforte dialogano insieme, proprio nel modo in cui è nata spontaneamente questa melodia, dando rilievo all'istintività. Il violoncello d'epoca (suonato dal bravissimo Antonio Fantinuoli) mi fa vibrare il sangue nelle vene ogni volta che l'ascolto, perché trema come una debole voce umana. Il finale è invece volutamente algido, elettronico, con tappeti di tastiere composti da note con frequenze molto basse, per dare un senso di "spazio siderale" nel quale il recitato di Lupo si perde solitario.

 

Paolo: Diciamo che sulle composizioni nessuno meglio dei compositori può raccontare l’emozione e la ricerca nel concepimento dell’opera. L’unica cosa che posso aggiungere è che, come dice Elisa, i due brani strumentali nacquero in una vecchia formazione, gli Hidebehind, nella quale io ero presente ed ho tenuto a mantenere le parti di batteria invariate, nonostante fossi molto giovane ed avessi decisamente un altro modo (sicuramente più scarso) di suonare, ritenendole ancora valide ed interessanti. Dal vivo la questione cambia e le parti sono a tratti decisamente diverse (ed in continua evoluzione). Ricordo ancora quando da un cd di Elisa composto da brani di solo pianoforte mi misi a “scrivere” (non sapevo scrivere allora) la mia parte, e di conseguenza una bella fetta di arrangiamento, del brano che sarebbe poi diventato “Danza esoterica di Datura”, e non nascondo che fu molto divertente, mi piace molto pensare parti ed arrangiamenti in brani dove in realtà il pezzo sembrerebbe fatto e finito, o cmq senza stesure già serrate e definite (credo che Elisa non pensava neppure potesse venir fuori un brano per un intera band da quelle sue piccole composizioni), stimola di più la fantasia e direi che i risultati sono stati soddisfacenti. Discorso un po’  diverso, ma comunque relativo alla creatività nel complesso, per “Faldistorum”, dove se non sbaglio Elisa ed il vecchio bassista del gruppo si presentarono con un’idea e da lì si sviluppò il brano in saletta. Tengo a precisare che entrambi i brani sono stati riveduti e corretti dal Tempio, l’unica parte rimasta totalmente invariata è stata la mia, che in quanto mia ho potuto ricopiare!

 

Montag: Il grande recensore di cui sopra, a cui io mi inchino e allaccio le scarpe ogni mattina, pur non essendone degno, ha sottolineato alcuni aspetti caratterizzanti delle vostre composizioni, che possono, a suo dire, rendere affaticante l'ascolto del vostro disco. Si riferisce ai due aspetti, timbrica (scelta ti pochi e ben riconoscibili timbri sulla chiave di violino) e ritmici (cambi di tempo spumeggianti, ma oltre che usati a volte sembrano essere abusati).  Avete l'opportunità di poter buttare a quel paese il malefico Montag: cosa gli rispondete?

 

Fabio: Caro Montag, la tentazione è forte, ma ricorrerò anche questa volta al mio proverbiale savoir faire ;) Effettivamente a volte si può riscontrare un uso particolarmente intricato di tempi e ritmiche, tanto che in alcuni casi non c'è una vera e propria scansione metrica, seppur irregolare, ma piuttosto un alternarsi di battute di metro differente, accostate apparentemente senza una precisa intenzione. Beh, posso garantire che l'intenzione c'è, fosse anche solo quella di stupire l'ascoltatore e rendere imprevedibile il fluire del brano. Nel mio caso, comunque, ho un modo di comporre che consiste nel lasciar scorrere le idee senza prefissarmi un qualche schema o costrutto metrico, armonico e melodico. Se in quel punto la mia sensibilità (ma anche semplicemente il mio gusto personale) mi suggerisce che ci vuole un ottavo in più, o una battuta da tredici sedicesimi, allora ecco che la tessitura si piega a questa intenzione, senza farmi problemi. Un simile comportamento in altri generi musicali sarebbe quantomeno fuori luogo, anche per questo adoro il prog! Per quanto riguarda le timbriche lascio rispondere Elisa, che nelle usuali poche parole ;) saprà dipanare egregiamente la questione.

 

Elisa: Sono d'accordo con Fabio, anche io compongo senza troppo pensare alla struttura, piuttosto ricerco un'armonia di base e dei suoni che aiutino a rendere "palpabile" l'atmosfera che vorrei raccontare in musica. Per gusto personale sono spesso portata a comporre brani con molteplici cambi di tempo, aperture armoniche o accordi "cupi", cerco nei miei limiti di essere "ordinata" in questo e di non esagerare o andare troppo fuori tema.

Per quanto riguarda le timbriche, la scelta dei suoni è limitata alle tastiere e ai banchi di suoni in mio possesso, in ogni caso è indirizzata verso un'ambientazione per così dire "vintage", che riesca ad avvicinarsi al sound usato negli anni '70 perché è quello che preferisco, perché mi fa sognare e mi dà un senso di calore, di musica "viva". Inoltre penso che la voce di Lupo sia adatta proprio a quel tipo di sound. Dopo una stesura di arrangiamento sonoro di base, in sede di registrazione studio molto le timbriche, sovrapponendo più suoni e aggiungendo rumori ed effetti. Credo che nella musica del Tempio si possano riconoscere svariati "stilemi" o, se vogliamo dirlo in modo negativo, "cliché" che richiamano al progressive (italiano e non) degli anni '70, ma tengo a precisare che ciò non è un fatto studiato a tavolino e che spero risalti comunque un'identità inedita e originale.

Magari è vero, i cambi di tempo sono sempre in agguato e il Mellotron è un po' come il prezzemolo... ma immaginate una fanatica del sound vintage che ha a disposizione quel suono così adorato e si trova a registrare il suo primo disco dopo quasi 10 anni di idee e tentativi... l'euforia è dirompente e si vorrebbe dire così tanto alle persone che vorranno ascoltare! :-)

 

Montag: Quanto avete impiegato a realizzare la vostra opera prima? E vi aspettavate il successo che sta avendo?

 

Fabio: Da quando è stata scritta la prima nota direi che ci sono voluti anni, sicuramente due, forse tre, dovendo accontentarsi del poco tempo libero: purtroppo c'è da fare i conti col fatto che la musica non è il nostro lavoro... per ora, mi piace aggiungere :) Credo che nessuno di noi si aspettasse questa meravigliosa risposta da parte di chi ci segue, ne siamo felicissimi!!

 

Elisa: Sottoscrivo in pieno la risposta di Fabio, stavo proprio scrivendo le stesse cose. Posso aggiungere che per me il sogno di realizzare un' "opera prima" del genere c'era da anni, e che da anni avevo un'idea di progetto ben precisa, che diluita e amalgamata con le diverse personalità, ha dato vita a "Il Tempio delle Clessidre". Non mi aspettavo di certo il successo che sta avendo e mi sembra ancora un sogno.

 

Paolo: D’accordo con chi ha precedentemente risposto, il lavoro è durato tra i due ed i tre anni: tempi molto lunghi, protratti anche dal mio sfortunato incidente (rottura del polso), che insomma per un batterista non è proprio il massimo. Il successo che stiamo ricevendo è sinceramente molto al di sopra delle aspettative, forse fin troppo, ma si sa, la difficoltà non sta tanto nel raggiungere un obbiettivo (ci sono un sacco di variabili da prendere in considerazione in un episodio isolato), ma è il confermarsi: le prove da superare iniziano proprio adesso, a cominciare coi live in attesa dei responsi riguardo la nostra pubblicazione ventura.

 

Giulio: Io sinceramente non mi sarei mai aspettato un successo del genere, ma sopratutto di vendere così tanti dischi! Questo ovviamente anche grazie alla Blac Widow, che oltre ad essere una buona etichetta ha dalla sua quella di essere formata da Pino, Massimo ed Alberto, tre brave persone con cui si è instaurata anche una bella amicizia. Il secondo album sarà una bella sfida ma purtroppo il tempo che abbiamo è veramente poco rispetto a tutte le idee che ci vengono in mente quando siamo in saletta! L'ultima volta siamo stati 1/2 ora a perfezionare l'arrangiamento di 15 secondi di musica... che bello sperimentare tutte le possibilità!

 

Peppe – Montag: Come siete entrati in contatto con la Black Widow che ha poi pubblicato il disco, e come vi siete trovati con questa casa discografica(avete ricevuto pressioni "artistiche" di qualche tipo?)?

 

Elisa: Fin da ragazzina frequentavo il negozio della Black Widow in via Del Campo. Mi ero tuffata nella meravigliosa ricerca musicale costruendomi un bagaglio cultural-musicale in fatto di prog e affini. Ogni volta che entravo nel piccolo negozio c'era qualcosa di nuovo da ascoltare, qualche cliente o amico con cui discorrere di musica e imparare... un luogo affascinante come solo i negozi di dischi di una volta possono essere. Questo aspetto è rimasto immutato ancor oggi. Massimo, Pino e Alberto hanno seguito fin dall'inizio le mie "peripezie musicali" con interesse, d'altronde i gusti musicali sono quelli, e credo siano sempre stati interessati alla mia vena compositiva dark. Quando il progetto divenne più concreto si dimostrarono interessati nel produrre il disco. Ci hanno lasciato massima libertà  di scelta stilistica, seguendo comunque il processo lavorativo e dando consigli vari. La loro fiducia nei miei confronti e la musica che stavamo creando tutti insieme li ha convinti fin dall'inizio e per questo abbiamo potuto esprimerla come abbiamo voluto noi, compreso l'aspetto grafico del disco, come già detto. Credo che questo sia di fondamentale importanza per l'identità di un gruppo.

 

Montag: E' ineludibile il fascino dark - gotico del look di Elisa ma soprattutto di alcune vostre composizioni (soprattutto quelle di Elisa). Da dove nasce questa passione? Anche voi come il Gabriel degli anni 70, avete letto i manuali sulle macchine di tortura medioevali?

 

Elisa: Ebbene si, per quanto cerchi di contenermi, non riesco a nascondere il mio lato "gothic" ;-) Diciamo che sono appassionata di moda e make-up e che adoro le atmosfere cupe, gotiche e tipiche dei film di Tim Burton (il mio regista preferito). Fin da piccola sono stata attirata da letture del genere gotico e horror o fumetti sul soprannaturale e basati su leggende, come pure per il cinema. Mi piace sperimentare su me stessa trucchi e abbigliamento, nel tentativo di esprimere l'interiorità attraverso l'esteriorità, unendo la musica all'immagine,che ritengo importantissima soprattutto in sede di concerto dal vivo, dove ci si può permettere di esprimere anche con la scena.

Non è un modo per nascondersi bensì per aprirsi usando un linguaggio implicito, ma visibile.

Mi piace la musica oscura,che analizza temi esoterici, ispirata in tal senso: mi piace sognare favole e immagini apparentemente macabre ma cariche di romanticismo. Prediligo dunque questo tipo di atmosfera nella musica, sia in quella che ascolto che in quella che compongo. Con il Tempio tale "oscurità" è diluita dal connubio delle altre menti più "solari" della mia rendendo la nostra musica più varia e con alternanza di luci ed ombre che credo renda interessante e originale il tutto. Tuttavia non sono sempre così cupa: riesco anche ad essere luminosa e allegra, sia nell'aspetto che nella musica, quando è necessario. Non ho letto manuali di torture medievali, ma ho visitato vari musei sul tema in Italia e a Praga... Inoltre fin da piccola mi piace visitare antichi castelli in Sud Tirolo, luogo dove mi sento a mio agio e che mi affascina molto per la sua Natura così magica e la storia così legata ad essa.

 

Montag: A mio avviso uno dei problemi che soffrono le nuove composizioni è dovuto al fatto che i compositori invece di avere le orecchie piene di musica classica, jazz, rock oltre che delle istanze giovanili come accadeva negli anni 70, hanno le orecchie piene del prog già fatto. Come vi rapportate effettivamente a quanto già fatto? Il passato per voi è un peso? Avete una ricetta su come riuscire ad esprimersi senza cadere in prog - cliché?

 

Elisa: Trovo esatta questa osservazione, siamo ormai invasi da contaminazioni musicali di ogni tipo, positive e negative. Ascoltando principalmente progressive è innegabile che ci sia un condizionamento in tal senso, ma più che per via degli ascolti attuali, per quanto mi riguarda, "soffro" le influenze dei miei ascolti dell'adolescenza, ovvero quelli che hanno costituito la mia personale conoscenza musicale. Ci sono anche altri generi che mi hanno influenzato e continuano a farlo, ovvero la musica classica, la musica celtica, il folk, l'hard rock e a tratti il pop. Non credo che il passato sia un peso, se considerato tale: ovvero è la base, il cammino che ci ha portati ad essere artisticamente quello che siamo ora. Ognuno percorre la propria strada e se ciò viene fatto spontaneamente può essere slegato dalla musica ascoltata: certo, alcuni punti in comune ci saranno sicuramente per via dei gusti personali, ma credo che la cosa importante da non dimenticare mai sia focalizzare l'attenzione compositiva su ciò che si vuole esprimere, che è poi quel "quid" che dà quella sfumatura inconfondibile a un artista e a un gruppo. La cosa difficile a mio avviso è mettere d'accordo diverse persone nell'espressione di questo "mondo", il miscelare in modo giusto le varie personalità e trovare un'identità propria che possa in qualche modo far distinguere ogni gruppo dagli altri.

 

Paolo: Personalmente non ascolto progressive, ma anzi cerco di starmene ben alla larga, nel senso che non considero progressive le band legate al genere, ma coloro che realmente progrediscono, quindi mi riferisco ai King Crimson, piuttosto che agli Area, ai primi dischi dei Dream Theater (quando furono innovatori di un genere, prima del loro interminabile riciclaggio) e degli ELP. Oppure allargando un po’ i confini alcuni progetti di Mike Patton o l’estrema ricercatezza della World Music di Pat Metheny, per fare qualche esempio, al di là di colui che ritengo il più grande del ventesimo secolo, ovvero Frank Zappa. Legarsi al genere progressive, dissentendo col nome stesso, è come essere all’avanguardia in ambito tecnologico con la tecnologia degli anni ‘50, mi sembra un controsenso definirsi progressisti legandosi a musica trita e ritrita: credo che qualche passo in avanti sia stato fatto. Ciò poi non impedisce di fare musica fantastica senza per forza essere sperimentali, la genuinità sono convinto vinca sempre, infatti poi i miei ascolti e le mie preferenze svariano in maniera decisamente trasversale di continente in continente e di genere in genere. Cerco di conoscere il più possibile cosa c’è stato prima di me che ha cambiato la storia,  semplicemente il termine di “progressista” a volte sarebbe meglio fosse usato con un po’ più di attenzione.

Fabio: Prima di entrare nel Tempio conoscevo già alcuni gruppi fondamentali del progressive rock (ad esempio le Orme ed i Genesis), ma non posso dire di essere stato un esperto appassionato. Ho sempre ascoltato musica classica, rock ed heavy metal inglese, quindi inevitabilmente le mie principali ispirazioni vengono da lì. Col tempo ho conosciuto (anche grazie ad Elisa) altri capisaldi del prog rock e mi sono addentrato nel genere, apprezzando sempre più quelle sonorità. Devo ammettere comunque di non esserne un assiduo ascoltatore, forse anche per paura di ripetere inconsciamente gli stessi stilemi. Per lo stesso motivo evito in ogni caso di indugiare troppo a lungo su una certa tipologia di ascolti, cercando di variare il più possibile, nonostante i miei generi preferiti rimangano comunque quelli che suono.

 

Giulio: Penso che la forza del nostro gruppo sia l'eterogeneità. Io ho studi classici ma il mio animo è fortemente hard rock!

 

Montag: Negli anni 70 la musica prog era una risposta delle istanze giovanili: il modo dei giovani di appropriarsi di spazi e definire la propria personalità, rivendicando una propria indipendenza culturale ma anche “logistica” rispetto alla generazione precedente.

Certo poi divenne anche la tecnica di arrangiamento più in voga, al punto che si trovano canzoni popular totalmente rivestite degli stilemi della musica progressive, penso ad alcune cose dei Matia Bazar, o dei Pooh... o all’estero si trovano “sinfonismi” negli stessi Queen che mi sembra di capire voi apprezziate in particolar modo, ma anche in Elton John (il famigerato funerale di un amico…); insomma era nell'aria…

La domanda bastarda, mi rendo conto, che mi viene è questa: ma se ora quelle istanze non ci sono più, il prog del 2012 è solo tecnica di arrangiamento? Cos’è per voi effettivamente il prog (in questo sarebbe molto bello capire Lupo come interpreta l’approccio alla musica, visto che ha vissuto quel periodo… ma ne parliamo a voce)?

 

Elisa Bella domandona! A parte che Elton John è stato il mio primo amore musicale, colui che ha dato inizio alla mia passione sfrenata per la musica e mi ha permesso di imparare a suonare "a orecchio". Anni fa, quando ancora non conoscevo il progressive, ascoltando alcuni suoi brani come "Funeral for a friend", "Goodbye yellow brick road", etc., apprezzavo in modo particolare i suoni e gli arrangiamenti, per cui per me il sound "progressive" è ciò che più si avvicina all'espressione del mio mondo interiore. Quindi usare quel linguaggio è per me istintivo, direi quasi una "vocazione". Come penso sia per chi ha creato il progressive come mezzo per esprimere ciò che con le parole o con il linguaggio musicale fino ad allora utilizzati non si riusciva. Al giorno d'oggi "progressive" è diventata un'etichetta per distinguere quella musica che assume struttura più complessa della semplice canzone, o che usa determinati suoni, o che rimanda in qualche modo a temi e disegni musicali del "prog" degli anni'70. Non è più una novità, dunque, e non è più sempre spontaneo. Per quanto mi riguarda faccio progressive come se stessi vivendo negli anni "giusti" per farlo, riconoscendo che non si può sperimentare come prima (Perché non si può sperimentare più? - NDM), ma che si può esprimere e ricercare nuovi modi per emozionare e raccontare i propri pensieri. Ciò potrebbe esser fatto suonando qualsiasi altro genere, è questione di inclinazione personale, credo, oltre che cultura ed esperienze personali. Per esempio trovo agio anche nell'ambito del folk o simile, virando per il lato dark e più "cattivo" dello stesso. Il modo di esprimere non è una scelta, per quanto mi riguarda, anche se ovviamente se si intraprende una strada è necessario essere coerenti e agire con intelligenza. In generale oggi "progressive" ha perduto il suo significato di "musica che progredisce" ed è diventato un aggettivo che descrive un genere musicale, o, come dici tu, una tecnica d'arrangiamento. All'interno di questa parola esiste una miriade di sfumature, perché di fatto la musica continua a stupire e a rinnovarsi grazie alle menti che evolvono e ai pensieri umani che creano musica.

 

Giulio: Per me il vero prog non esiste più e mai negli anni 70 avrebbero immaginato che nel 2012 ci sarebbe stata ancora gente che avrebbe "tentato" di suonare quel genere. Non esiste più perché manca tutto il contorno sociale e musicale caratteristico di quell'epoca: al giorno d'oggi si emula la musica di quegli anni... peccato, forse sarebbe  bastato definire il genere con un altro nome e nessuno avrebbe mai fatto queste considerazioni! Cosa ci faccio quindi in un gruppo "prog"? Beh secondo me noi non ricadiamo nell'errore dell'emulazione, ognuno di noi contamina le composizioni con il proprio bagaglio musicale portando nei brani quegli elementi che a me piacciono tanto: sorpresa, stupore e curiosità. Sorpresa, stupore e curiosità, guarda caso, sono proprio quegli ingredienti che tanti anni fa mi hanno fatto innamorare del prog. Ecco che cosa è l'essenza del prog per me!

 

Fabio: Sono felice di rispondere dopo Elisa e Giulio, perché hanno praticamente scritto quello che penso anche io. Ci tengo a fare un pizzico di benevola polemica: il termine "progressive rock" è essenzialmente una definizione data (tra l'altro praticamente a posteriori) ad un genere musicale che ha le ben note caratteristiche, sviluppatosi negli anni '70, ma con radici nella decade precedente e forse ancor prima. Pertanto non ha senso pretendere che chi suona quel genere musicale oggigiorno sia per cosi dire "progressivo", ovvero che inventi un nuovo genere musicale, con nuove sonorità, perché a quel punto non suonerebbe più "progressive rock", così come chi alleggerisce l'heavy metal non suona più heavy metal e chi arricchisce le sonorità del punk non suona più il punk... sembra una banalità, ma quante volte si legge nelle recensioni la solita solfa: "Voi non suonate progressive rock, perché non inventate niente"? Mah. Se l'avessero chiamato "pinco-rock" non ci sarebbe stato nessuno a questionare. Il prog-rock E' quel genere... e noi lo suoniamo. Tra l'altro, come dice Elisa con una purezza cristallina, noi lo suoniamo sentendoci un po' come se fossimo negli anni '70, perché ricerchiamo e sentiamo molto di quell'epoca, dallo spirito, al calore, al look, allo stile, all'intenzione, alla spensieratezza, alla voglia di esibirsi... personalmente, più scopro della musica di quel periodo e più vorrei esser nato vent'anni prima.

 

Paolo: Rispondo per ultimo riprendendo un po’ tutte le tesi esposte in precedenza. Mi sembrava di aver già accennato al riguardo nell’ambito dei nostri background, comunque reputavo il progressive come qualcosa che progrediva e come già detto da qualcuno è oramai diventata un’etichetta (successiva al periodo peraltro) per un tipo di sonorità, di strutture e di arrangiamenti ritmici (a mio parere non armonici) relativi agli anni ‘70. Credo che “sperimentale” sia ormai il termine usato per descrivere qualcosa di nuovo, anche perché usare progressive con quell’intento sarebbe un insulto, con tutta la ripetitività che lo permea. Detto ciò non credo che il Tempio delle Clessidre presuma una collocazione nell’ambito sperimentale, ma piuttosto tragga ispirazione e si avvicini al progressive inteso come se fosse rock, funky, soul, jazz, Punk ecc… e detto ciò mi rendo conto in questo istante che non sono più le band progressive a difettare nell’appellativo, ma forse errano coloro che fraintendono i due concetti, non constatando a distanza di più di 40 anni che l’etichetta è ormai scolpita nel genere. Ciò che conta poi nella musica a mio parere sono le canzoni, le melodie, quelle sono le caratteristiche vincenti nella musica, dal pop alla fusion più estrema, un arrangiamento sopraffine non salverà mai una canzone banale o semplicemente scarsa, come una bellissima composizione spesso non necessita di eccessive elaborazioni, è già nata bella ed anzi si corre il rischio di rovinarla. Chiudo comunque affermando di essere personalmente più attratto dalla musica sperimentale che dal progressive (che forse a questo punto possiamo  definire un tentativo sperimentale riuscito degli anni 70, tanto da conseguire il proprio appellativo), e forse Il Tempio delle Clessidre potrà giungere ad un compromesso che magari lo distanzierà un pochino dal punto di vista prettamente musicale (e questo potrebbe forse deludere gli appassionati di progressive in senso stretto), ma potrà magari caratterizzare di più il sound e chissà, trovare una collocazione a sé stante nell’elenco delle categorie musicali, i lavori procedono…

 

Montag: Ci descrivete meglio  il processo di composizione che utilizzate?

 

Elisa Dipende dai casi. Per quanto mi riguarda la musica nasce da un' ispirazione di base, un'idea che tento di esprimere liberando le dita sul pianoforte. Compongo quasi prettamente sul mio pianoforte, elaborando l'idea strumentale e la melodia della voce. Capita che abbia scritto un testo senza un'idea musicale precisa, per cui costruisco la canzone sulla base del testo. Capita anche che l'idea musicale sia la base di un testo costruito ad hoc. In entrambi i casi mi concentro molto sul legame tra testo e musica, come se l'una fosse lo specchio dell'altro.

Registro una bozza rudimentale piano + voce e la presento in sala prove (o via mail), spiegando l'intenzione, soffermandomi sulle idee di arrangiamento ma lasciando abbastanza libero ognuno per lo sviluppo della propria parte. Questo aspetto permette più libertà ad ognuno, ma è di difficile gestione perché è più difficile far capire il filo logico o l'atmosfera che vorrei ricreare. Inoltre purtroppo per me non so (ancora) usare programmi di sound editing per cui spesso mi trovo a "mimare" con la voce (e talvolta i gesti!) i vari strumenti nel tentativo di spiegare come si potrebbe suonare quella parte... :-)

In sala prove inoltre studio l'arrangiamento delle tastiere, quello per la versione live, successivamente mi soffermo sulla scelta dei suoni e, in sede di incisione, sovrappongo nuove parti (talvolta improvvisate) per completare l'arrangiamento. Non avendo tempo di vederci se non alle prove, dobbiamo riuscire a fare tutto "presto e bene", cosa non semplice soprattutto se si passano periodi difficili in cui manca l'ispirazione. Trovo che sia la parte più difficile del suonare in un gruppo, la più pericolosa in quanto frammentata, contrapposta alla necessità di tenere un filo logico per il disco. Componendo in due e quasi sempre separatamente (per il motivo di cui sopra) ciò è ulteriormente complicato. Per fortuna credo che il Tempio sia composto da musicisti intelligenti e talentuosi nel mettere il proprio stile e la propria personalità nella musica che facciamo.

 

Fabio: In genere mi vengono idee quando meno me lo aspetto, magari passeggio ed inizio a canticchiare una melodia. Mi accorgo immediatamente se è solo un passatempo o se se può diventare qualcosa di più importante, la registro sul telefono e poi me la canto in testa finché non mi rapisce. La trascrivo e la riascolto e quando giunge alla fine mi suggerisce automaticamente come continuare. Finché non scorre bene la modifico e la correggo, poi quando ne sono soddisfatto la presento al gruppo, con un arrangiamento embrionale per indicare il carattere del brano. Ci sono parti su cui sono pronto a lavorare con gli altri, anzi a volte li esorto a mettere del loro. A volte invece sono pienamente convinto di una soluzione, perché esprime completamente ciò che volevo esprimere, pertanto preferisco che rimanga come l'ho scritta.

Mi riesce più semplice adattare il testo alla melodia, quindi una volta che ho l'idea musicale di base cerco le parole più adatte per completarla. Sono anche un "fanatico" della metrica, pertanto cerco di evitare che gli accenti delle parole cadano in modo errato e subiscano storpiature a favore della scansione musicale... piuttosto cerco dei sinonimi (di cui la nostra meravigliosa lingua è piena) o mi sforzo per dire la stessa cosa in un altro modo.

 

Peppe – Montag: Dalle risposte che avete dato, si evince che invece di godervi gli allori state "lavorando" a un secondo album. C'è qualcosa di già pronto, definito? Potete dirci che differenza c'è nell'affrontare un'opera prima e una "seconda"? Uscirà sempre per la Black Widow?

 

Fabio: Goderci gli allori è un lusso che non possiamo permetterci, purtroppo. Non abbiamo i mezzi per dedicarci serenamente alla musica, tutto è un tumulto, un rincorrere i sogni, scontrandosi con mille ostacoli. Pertanto occorre cercare di stare al passo, non perdere tempo. Abbiamo già completato la stesura di tutti i brani del nuovo disco, ora stiamo lavorando agli arrangiamenti. Ne abbiamo presentato uno dal vivo pochi giorni fa, è stato emozionante.

Rispetto al primo disco abbiamo acquisito una certa malizia nell'affrontare alcuni aspetti, pertanto speriamo di impiegare meno tempo nei dettagli tecnici, concentrandoci di più sull'aspetto prettamente artistico. Sarà un altro lavoro massacrante, di certo, ma alla fine sarà bellissimo per noi chiudere gli occhi ed ascoltarlo.

Anche il nostro secondo album uscirà con la Black Widow.

 

Elisa: Anche qui quoto in pieno Fabio, il primo disco è stato un lavoro lungo e difficile, il secondo sarà forse più snello per via dell'esperienza sul primo, ma comunque ostico se fatto, come siamo costretti a fare, nei ritagli di tempo. Ci sarà un tema concettuale portante che verrà espresso nei testi sotto diversi punti di vista. Avendo il primo disco avuto riscontro pressoché positivo sotto tutti i punti di vista, affrontare il secondo è difficoltoso perché ci si sente di non dover deludere le aspettative per cui bisogna muoversi con attenzione e curare ancora di più il lavoro. Personalmente avrei voluto essere in condizioni più agevoli per lavorare sul progetto e seguirlo meglio, ma è stato un anno difficile e con poco tempo per suonare: si fa quel che si può, e nel nostro caso anche quello che non si può, perché ci teniamo troppo! ;-)

 

Paolo: Non c’è nulla di più sbagliato di “godersi gli allori”, anche perché dipende dagli allori che una persona si pone, io piuttosto parlerei di godersi i consensi, non gli allori. Anzi,  è già passato più di un anno ed i lavori del nuovo disco saranno, purtroppo, abbastanza lunghi come nel precedente lavoro. Il tempo fugge e quindi bisogna sbrigarsi, prima di finire nel dimenticatoio! Ciò ovviamente non deve togliere spazio alla perizia e l’oculatezza con cui abbiamo intenzione di affrontare il nuovo lavoro, che dovrà essere superiore al primo sotto ogni punto di vista, perché le aspettative ed il successo vanno di pari passo, ma se tutti avremo la tenacia e la volontà di triplicare la fatica, i risultati sono certo che ci premieranno. I pezzi come ha detto Fabio sono stati ultimati (presto proporremo qualcosa dal vivo, uno già è stato presentato di recente) ed a mio modo di vedere come composizioni sono molto migliori del primo. Ora sta a tutta la band ricamare queste belle opere con la ricercatezza e la dedizione che meritano e sono certo che fatto questo nessuno rimarrà deluso!

 

Peppe: Parliamo dell’aspetto live della band. Pur costatando che riuscite a suonare con una certa frequenza rispetto ad altre prog band,  cosa pensate delle difficoltà di fare concerti con una certa costanza per chi propone prog?

 

Fabio: E’ vero, ultimamente abbiamo suonato con una certa frequenza, ma è un caso abbastanza fortuito... A volte per mesi non troviamo date e credo sia un problema piuttosto generalizzato e non ristretto a chi propone prog. I locali sono pochi, spesso non si conoscono se non nella propria città, ancora più frequentemente non garantiscono la copertura delle spese. Suonare poco è deleterio, perché toglie coesione, impatto scenico e fluidità.

 

Elisa: Penso che sia inevitabile, in Italia la cultura musicale è rara o comunque il "trend" proposto dai mass-media è forte promuovendo solo un certo genere di musica. I locali non vogliono rischiare facendo suonare gruppi che propongono un genere "non commerciale", le condizioni di cachet (quasi sempre ridotto a un rimborso spese) non permettono i gruppi di affidarsi all'attività musicale live, per cui è inevitabile avere un altro lavoro che faccia "sbarcare il lunario", riducendo le possibilità di suonare dal vivo solo nel weekend oltre alle limitazioni di cui sopra.

 

Paolo: Questa risposta è molto facile: storicamente il progressive è un genere di nicchia per eccellenza e credo, tranne negli anni d’oro, gli spazi per i generi di nicchia sono sempre stati un po’ limitati. Pertanto chi fa progressive sceglie in partenza di non avere grandissime affluenze e gradissimo mercato da ogni punto di vista, anche se la nostra esperienza in parte e fortunatamente sta un pochino smentendo questa teoria. La promozione sta anche nel cercare di sfruttare il più possibile le opportunità che ti vengono offerte con mentalità aperta e visione  più ad ampio raggio. Certo sta poi alle persone cercare queste occasioni, non farsele scappare e rischiare anche qualcosa pur di coglierle, altrimenti diventa un cane che si morde la coda! In questo senso la presenza di un “manager”, o comunque di qualcuno che si occupi del booking è ciò che a noi un po’ manca, quindi questa risposta diventa automaticamente un appello, perché qualche richiesta per suonare non ci manca, ma certo avere qualcuno che ti aiuti nell’organizzazione e nella gestione dei contatti sarebbe un'altra vita!

Montag: Rispetto agli "spazi vitali" c'è la teoria, nei vari forum, che le tribute/cover band tolgano spazio live a band con repertorio originale. Nella vostra esperienza, che ne pensate di questa ipotesi/costatazione? 

 

Elisa: Penso sia vero, come dice Fabio i locali sono più interessati ad assicurarsi l'affluenza di clienti piuttosto che rischiare proponendo gruppi di musica inedita o di generi non proprio commerciali. Per fortuna non sempre è così, inoltre ci sono diversi festival che riescono a dare visibilità ai gruppi che propongono musica inedita. Sta di fatto che si fa davvero fatica a proporsi nei music pub e simili.

 

Fabio: Non è una teoria, è esattamente ciò che accade. Girando per locali si nota come la stragrande maggioranza di essi abbia nella programmazione quasi esclusivamente gruppi cover o tributi. Chi li gestisce lo dice apertamente: "Così la gente canta ed è contenta"... chi se ne importa se si propongono sempre le stesse cose? Il problema è che a quanto pare il pubblico si accontenta, non è interessato a scoprire musica nuova, pertanto i locali non hanno necessità di "curiosare" nei repertori originali. Questo mi porta una profonda tristezza.

 

Paolo: La colpa non è sostanzialmente delle cover band, che in realtà non sono fautrici del danno alla musica live, ma approfittano delle “lacune” dei locali in termini di competenza e coraggio per trarne il loro profitto. Credo infatti che sia proprio il momento di crisi generale (ma non dal 2010, da 10-15 anni, se non di più, sono troppo giovane per essere preciso) a non permettere più ai locali di investire in qualcosa di più qualitativo e di livello. Con questa paura costante di non rientrare nelle spese, sono indotti ad investire su prodotti con poco rischio di fallimento; questa tendenza si è ormai radicata in molti gestori di locali, che quindi non vedono neanche più la musica originale come una possibilità di far musica, ma più come un estemporanea pazzia della quale non abusare, anche in casi di successo. Ci capitò giusto un annetto fa di tenere un concerto in un Live Pub genovese tipicamente per cover/tribute band e di ricevere un cachet irrisorio (superava di poco il rimborso spese, considerando dov’era il pub e la nostra provenienza è molto facile fare due conti) e loro tutti timorati presero pure la decisione di alzare anche il prezzo del biglietto d’ingresso rispetto all’usuale. L’affluenza fu poi entusiasmante, il locale stracolmo (e l’incasso credo di conseguenza) e noi realizzammo un concerto fra i migliori del nostro primo periodo, anche grazie ad amici che ci fecero il grande favore di aiutarci nei suoni, visto che il locale non metteva a disposizione neanche il fonico e noi non avevamo sicuramente cachet sufficiente per pagarlo. Risentendoci dopo un annetto circa, il gestore ancora contento dell’esito della serata precedente, ci chiese di tornare, ovviamente alle stesse condizioni della serata dell’anno prima. Noi, dopo aver fortunatamente tenuto concerti importanti in e fuori Italia, rispondemmo che le condizioni, senza eccessi, sarebbero però dovute un pochino cambiare. Le condizioni sono in effetti cambiate, in quanto lui è scomparso e non si è fatto più sentire. Questo fotografa un po’ la situazione e la gestione dei Live Pub, o meglio, dei “Tribute Band Pub”, ma per fortuna c’è anche qualche eccezione…che ovviamente conferma la regola!

Peppe: Avendo una certa esperienza  live  avete avuto sicuramente contatti con altri artisti "giovani". C'è qualcuno di loro che vi ha particolarmente colpiti?

 

Fabio: Solitamente non riesco a godermi molto i concerti altrui, perché mi viene sempre voglia di suonare. Tra i gruppi con cui ultimamente abbiamo condiviso il palco ho apprezzato il concerto dell'Accordo dei Contrari.

 

Paolo: Fai bene a virgolettarlo, perché di artisti giovani con i quali condividere il palco non ne ho conosciuti molti, cmq confermo l’Accordo dei Contrari come una band meritevole di attenzione, oltre che essere ragazzi molto simpatici.

 

Elisa: "giovani" tra virgolette in effetti è azzeccato, nel nostro genere l'età media di chi suona è piuttosto alta ;-)

Ultimamente, per esempio, abbiamo condiviso un concerto con l'Accordo dei Contrari i quali mi hanno colpito molto sia per la loro bravura e la musica davvero validissima, sia per la loro simpatia e disponibilità; abbiamo condiviso pensieri e opinioni di chi fa musica per passione ed è stato molto interessante! Credo che noi gruppi emergenti dovremmo più spesso conversare e confrontarci per poter unire le forze e aiutarci a vicenda nella tortuosa strada per la notorietà (utopia?). :-)

 

Montag: Com’è stata l’esperienza di Seul? Com’è nato il contatto per fare questo concerto? Uscirà materiale live, sapete dirci quando? E alla fine, com’è Seul?

 

Fabio: L'esperienza di Seul è stata una delle più importanti ed entusiasmanti della mia vita. Tre giorni immersi in un mondo così particolare, a contatto con persone che ci seguivano ed aiutavano, con moltissima passione per la musica... e per la nostra in particolare. E' stato magnifico. Il concerto è stato possibile grazie alla nostra etichetta, che da anni collabora con gli organizzatori del concerto. Per quanto abbiamo potuto vedere della città, Seul mi è piaciuta: accosta parti estremamente moderne ed "europee" a scorci poetici tradizionali, davvero pittoreschi. Ho apprezzato moltissimo anche il cibo, Giulio ed io facevamo spesso a gara con le bacchette!

 

Paolo: Il contatto, come ha detto Fabio, è stato possibile grazie alla collaborazione tra Black Widow e la Si-Wan Records, che oltre al Live ed al Dvd hanno anche ristampato credo 500 copie in edizione Coreana del nostro disco. L’esperienza è stata fantastica e credo di esser l’unico (oltre al grande Pino di BW) a poter raccontare qualcosa in più della Seoul-by-night.  L’organizzatore mi ha incatenato al resto della band per paura che combinassi dei macelli e compromettessi la riuscita del concerto, cercando di impaurirmi con racconti di gente pericolosa (forse non conosce i vicoli di Genova!), altrimenti sarei stato in giro sempre giorno e notte. L’ultima sera, però, dopo il concerto, mi hanno concesso il via libera con tanto di accompagnatori dello staff, così ho potuto conoscere un po’ le attitudini di Seoul. Non dimentichiamo che è la seconda città più popolosa al mondo con 26 milioni di abitanti e questo è stato confermato dal fatto che passate le sei del mattino c’era ancora una movida tale da far sembrare che la serata fosse appena iniziata. Mi è apparsa, per il poco che comunque anch’io ho potuto apprezzare, una città vivissima (non può essere altrimenti), ricchissima di giovani che hanno voglia di vivere e divertirsi, molto ospitali e simpatici. Io e Pino ci siamo pure dilettati ad intrattenere qualche relazione in lingua coreana, ma con scarsi risultati: la lingua è difficilissima e anche l’inglese non è poi così comune! Abbiamo addirittura trovato un pub in stile americano (nel quale sono voluto entrare a tutti i costi perché aveva una foto dei Beatles come insegna e mentre ci fermavamo abbiamo subito riconosciuto la voce di Geddy Lee in un brano che stava andando) dove passavano brani a richiesta Rock & Metal ed avevano appesi sui muri molti vinili, tra i quali anche dischi di progressive!!! Non ricordo con precisione i gruppi, mi pare ci fosse anche qualcosa di italiano, chiedere a Pino per delucidazioni. Morale della favola, diciamo che il viaggio di ritorno non l’ho passato propriamente in poltrona, ma sono contento così!

Elisa: Per noi l'esperienza di Seoul è stata meravigliosa, una specie di sogno. Certo non è stato semplice sotto diversi punti di vista: è stata la nostra prima esperienza musicale all'estero e abbiamo dovuto darci molto da fare per essere all'altezza della situazione. Ma la gioia di sentire il pubblico partecipare e applaudire dopo i nostri brani è stata immensa... e ancora più incredibile è stato il dopo concerto, quando entrando nella hall abbiamo trovato una moltitudine di persone diligentemente in fila a farsi autografare vinili, cd e poster, da noi! Ho avuto un'ottima impressione del popolo coreano, Seoul è una metropoli fantastica, per quel poco che ho potuto vedere è un mix di antico e moderno, tradizionale e anticonformista, la cultura è in primo piano e la gestione logistica è molto ben avviata. Per strada si riesce a camminare ordinatamente nonostante la folla, le persone si dimostrano cordiali con chi chiede informazioni. Nota dolente sul cibo: io che odio l'aglio ho avuto non pochi problemi a digerire le strane pietanze letteralmente invase dall'infausto vegetale! Ma è stata anche quella una bella esperienza, dopotutto, provare cose nuove è sempre bello.

 

Peppe: E per suonare al NearFest? Come avete avuto queste opportunità?

 

Fabio: Ci hanno invitato, avevamo contattato l'organizzazione l'anno scorso ed il nostro disco era piaciuto molto.

 

Elisa: Avevano il nostro album ed è piaciuto loro moltissimo, a tal punto da volerci invitare al festival! Sarà un altro sogno, il nostro "sogno americano". Di sicuro impegnativo anch'esso, al di là delle aspettative, ma siamo eccitatissimi all'idea di suonare al NearFest e vogliamo dare il meglio di noi!!

 

Montag: Leggendo alcuni commenti su forum specializzati, ergono critiche sulla necessità di suonare ancora Zarathustra. Da quanto detto, a me sembrerebbe che Zarathustra per voi sia stata una gran palestra, e che suonarne estratti è un divertimento. Insomma, Zarathustra per voi è un peso di cui liberarvi per poter suonare il nuovo repertorio, o una scelta ben precisa?

 

Fabio: Sarei curioso di leggere questi commenti, per capirne il senso... ad ogni modo studiare Zarathustra in modo coerente è stato un inferno, data la difficoltà di esecuzione, ma ora che la sappiamo suonare ci divertiamo a proporla, soprattutto quando possiamo estrapolarne delle sezioni. L'abbiamo eseguita interamente alcune volte, sarà contenuta nel nostro Live a Seul, ma d'ora in poi dobbiamo necessariamente concentrarci sui nostri brani e sul nuovo disco, per costruire sempre più la nostra identità. Probabilmente manterremo alcuni estratti da Zarathustra, ma la priorità è il Tempio delle Clessidre.

 

Giulio: Dopo un bel po’ di concerti Zarathustra è diventata un divertimento ma comunque troppo lunga. I medley che ultimamente facciamo mi sembra che rendano molto ma sopratutto ci danno la possibilità di suonare i nostri pezzi. So che alcuni vengono a sentirci solo per Zarathustra... dovranno rassegnarsi: noi non siamo il Museo 2!

 

Elisa: Abbiamo scelto di iniziare con "Zarathustra" data la peculiarità di avere in line-up il cantante originale: è stato un lungo lavoro, emozionante per me in quanto è uno dei miei dischi prog preferiti di sempre. Come dicono Fabio e Giulio suonarlo adesso è anche divertente ed esaltante, il pubblico lo conosce e l'impatto della voce immutata di Stefano è forte. A parte tutto ciò penso che Il Tempio delle Clessidre abbia una strada a sé stante: Zarathustra sarebbe un peso se il pubblico fosse interessato solo a quello, noi speriamo di no e vogliamo puntare sulla nostra musica e sulla nostra identità.

 

Paolo: Sicuramente suonare Zarathustra è un divertimento, a rari tratti noioso, ma in molti momenti è anche esaltante, in quanto è un ottimo disco. Capisco l’obiezione dei forum, ma molta gente viene spesso ANCHE per ascoltare la riproposizione dal vivo di un disco che in versione live non ha praticamente mai visto la luce e, oltre ad averci dato un po’ di slancio ed  averci permesso di avere fin da subito un po’ più di repertorio, Lupo tiene ancora molto a presentarla sui palchi, se non altro per dimostrare ancora di poter toccare i picchi del passato! Come risposta definitiva alle discussioni sui forum, legandomi alla risposta di Giulio, dico che la nostra intenzione rimane quella di staccarci sempre di più da Zarathustra e puntare tutto sulla nostra musica. Magari la terremo come bonus per eventi particolari (vedi Corea) nelle quali è espressamente richiesta l’esecuzione dell’opera del Museo Rosenbach, ma noi siamo Il Tempio delle Clessidre ed al di là del cantante, vogliamo aver sempre meno da spartire con pezzi di storia che però non ci appartengono.

Montag: Ho notato una certa "intenzione" di teatralità nel vostro spettacolo. Mi è sembrato di capire che quando mettete le maschere, la vostra intenzione è quella di scomparire, spersonalizzarvi in maniera da far passare solo il messaggio musicale. Almeno è quello che capii nel concerto romano.

Io sulla maschera avrei un parere diverso e mi piacerebbe confrontarmi con voi. Se si indossa un elemento distintivo, che il pubblico non ha (la maschera) l'effetto che si ottiene, non è quello di "scomparire" ma al contrario di "esaltare" la presenza dei musicisti. Le persone saranno oltremodo "distratte" dalla vostra presenza sul palco più che ascoltare la musica.

Potreste commentare questo mio appunto e spiegarci il perché e il vostro punto di vista sulle maschere?

 

Elisa: Trovo giusta la tua visione dell'elemento maschera come strumento di "distinzione" rispetto agli altri. Nel nostro caso in effetti la scelta può essere ambivalente: da un lato l'inserimento di un qualcosa che "faccia spettacolo", che colpisca visivamente per dare un tocco in più ai brani strumentali che sono già di per sé teatrali nell'intento. Dall'altro lato mettendoci la maschera annulliamo di fatto le nostre espressioni facciali, proprio perché ho pensato a questi due brani (Danza Esoterica  di Datura e Faldistorum NdM) come a un linguaggio non del tutto umano,come se fossero stati ispirati da qualcosa fuori dalla mia/nostra mente. Dunque le nostre personalità (di conseguenza le nostre espressioni del viso) non devono condizionare né interferire nel messaggio che esprimiamo in quel momento. Ho scelto infatti maschere "neutre", senza espressione, che rendano inquietante e inespressivo il viso di chi le indossa. Allo stesso tempo questo elemento scenico attira l'attenzione del pubblico, rende più intrigante il momento. Inoltre in fotografia rendono molto! ;-) Il tutto però non è studiato, ma spontaneo: oltre alla musica mi diletto nel disegno, nel make-up e mi piace tentare di esprimere un'idea o un'atmosfera con diversi mezzi artistici:se avessimo più mezzi realizzerei altre idee strampalate!

I ragazzi, Stefano, e al Progfest di La Spezia anche Max Manfredi, si sono prestati a questo intento scenico e speriamo che ciò sia stato apprezzato: in quanto donna sono particolarmente attenta al look (a volte esagerando) e secondo me l'impatto visivo di un gruppo sul palco è fondamentale, non tanto dal punto di vista estetico quanto da quello artistico. Facciamo musica nella quale le immagini e le visioni sono parte integrante delle emozioni che essa cerca di dare: in certi accordi io vedo colori, sfumature e chiaroscuri. In tutti questi moti noi cerchiamo di presentarci sul palco con abiti in qualche modo "evocativi", senza esagerare ma curati nei particolari. Ognuno di noi poi mette la propria personalità "live": Fabio la sua esuberanza, Paolo la potenza e grinta, Lupo la voglia irrefrenabile di cantare, Giulio la gioia di suonare per le persone e io le visioni che vivo nella musica che suono. Il concerto non deve essere, a mio avviso, una dimostrazione di bravura (anche perché ne abbiamo di strada da fare ed ogni volta impariamo dai nostri errori), non essendo professionisti non possiamo basare tutto sull'esecuzione:il concerto deve essere un'esperienza nella quale noi trasmettiamo al pubblico quanta passione mettiamo in quello che stiamo facendo, e quanto siamo contenti di condividerlo con chi ascolta!

 

Fabio: Se ci fosse tempo per preparare uno spettacolo che desse molto spazio anche alla scena ed alla nostra interazione con essa sarebbe favoloso, mi diverto tantissimo ad esempio quando eseguiamo Datura, perché suono qualche nota con la tastiera, interagisco con Giulio come se sostenessimo un "duello" ed abbiamo le maschere che ci danno una specie di energia soprannaturale. Il senso è quello: siamo sempre noi, ma investiti di un qualche incarico speciale.

 

Montag: Ho notato che spesso negli incontri importanti dei concerti progressive, il pubblico è ordinatamente seduto e ascolta attento. Ma questo pubblico attento, ingessato che non butta a quel paese ma neppure urla la sua gioia nell'ascoltarvi, non vi rompe le scatole? Non vi priva di quell'energia necessaria per rendere al massimo?

 

Fabio: Non posso certo zittire la mia quota di metallaro, pertanto vi confesso che ADORO il pubblico SOTTO IL PALCO!!! Anzi, dirò di più: chi preferisce un'esecuzione impeccabile ad un concerto emozionale non è il mio compagno di viaggio ideale.

 

Giulio: Il mio concerto ideale? Tutti in piedi belli schiacciati! Poi magri qualche metro più in là c'è una persona ogni metro... ma chissenefrega! Sapere che anche il pubblico è coinvolto fisicamente in qualche modo mi dà molto di più, è più condiviso! Certo anche il pubblico seduto e attento è piacevole, sapere che non vogliono distrarsi per godere fino in fondo della musica è una bella cosa! Ah, dimenticavo! C'è un altro pubblico che mi piace! Quello che abbiamo avuto modo di conoscere in Corea! Durante il concerto tutti in religioso silenzio poi appena finiva il brano scoppiava un boato di ovazione "tipo stadio"! Poi incredibilmente appena percepivano stesse per cominciare un altro brano ritornavano tutti contemporaneamente in silenzio, incredibili! :)

 

Elisa: Anche io preferisco il pubblico caldo, in piedi e schiacciato davanti al palco! Senza dubbio, dà una carica enorme a chi sta suonando sul palco e ci si diverte tutti quanti. E’ altresì piacevole suonare davanti a un pubblico attento e disciplinato, magari in un locale piccolo e intimo, in cui anche noi siamo stretti su un palco raccolto... dipende dai casi, ma mi unisco senza dubbio alle preferenze di Giulio e Fabio,è troppo esaltante e, lasciatemi sognare: il non plus ultra per un musicista ad un concerto secondo me è vedere e sentire il pubblico partecipare cantando le proprie canzoni! :-D

 

Paolo: Mi unisco ai tre ragazzi, senz’altro le gente in piedi provoca qualcosa nel musicista (soprattutto per chi “ scorrazza” sul palco) che non è paragonabile a suonare davanti a delle poltrone, anche se come ha detto Giulio il pubblico coreano ha dimostrato una disciplina tutta propria, in grado di fondere ed infondere entusiasmo ed attenzione! Certo il musicista comunque deve essere bravo a trovare le motivazioni di fare un bel concerto dentro di sé, perché in ogni evento lo spettacolo deve essere degno e possibilmente al 110%, anche solo per rispetto del palco che ti sta ospitando, qualunque sia l’accoglienza ed il calore durante lo show, anche se è impossibile negare che un pubblico esaltato esalta anche il musicista, le sue motivazioni e le sue capacità! Dal mio punto di vista la differenza non sta tanto sul fatto di stare seduti o in piedi, ma nel vedere se uno si sta godendo la musica o è lì immobile a valutare la prestazione. Ecco le persone così credo dovrebbero stare quanto meno lontani dal palco, in piedi, seduti, come vogliono, ma non in prima fila, perché negli occhi del pubblico è bello vedere entusiasmo, ammirazione, coinvolgimento, rapimento, anche da sedute. Il pubblico passivo, quello pseudo critico con lo sguardo di sfida, come dire “vediamo se sei bravo come dicono, ma secondo me adesso sbagli”, preferisco non vederlo negli occhi durante lo spettacolo, anche perché se proprio è un critico, dovrebbe sapere che in zona mixer si sente meglio e non è necessario stare nelle prime file  ed inoltre  in questi casi lì il fatto che uno sia nel pubblico e gli altri sul palco è già la risposta alla sfida!

Fabio: Paolo ha ragione, le prime file sono per gli entusiasti :) La gente che viene ai concerti sperando di cogliere gli errori mi fa solo pena. Aggiungo solo una cosa, allacciandomi al discorso di Paolo: quando suono dal vivo do sempre il massimo, anche se il luogo è praticamente vuoto. Chi c'è si merita di godere di tutta la nostra energia musicale!

 

Montag:Leggendo le vostre risposte, i risultati ottenuti, e paragonando con altre realtà parimenti meritevoli, mi viene da dire che vi è andata molto bene. Vendere migliaia di copie del primo lavoro, mentre altri ne vendono centinaia, già è tutto dire. Molti, compreso il sottoscritto, ritengono, che parte della colpa di questi numeri esigui, sia la mancanza di marketing, spazi di visibilità, concerti ecc. (l’altra parte, sta nel downloading illegale ovviamente). Anche se quando ci sono i numeri, e voi lo dimostrate, qualcuno riesce ad avere risultati migliori. Avete qualche idea su come migliorare la situazione, generale, del panorama progressive italiano?  Siete preoccupati dal fatto che l’età media degli spettatori è oltre i 40 anni?

 

Fabio: La promozione è importantissima, soprattutto nei canali giusti. In questo la Black Widow ci ha aiutato di sicuro, ma ci siamo dati da fare tantissimo anche da soli, inviando presentazioni, musica, gestendo i contatti e cercando concerti. Di sicuro, come sempre, i risultati migliori si ottengono quando si può investire di più. Purtroppo la pubblicità costa e se potessimo permetterci una campagna promozionale in grande stile avremmo raggiunto sicuramente un pubblico enorme. Pensate solo a quanto possa fare anche un solo semplice passaggio televisivo, magari durante il telegiornale (o nella rubrica di Vincenzo Mollica)... istantaneamente ci conoscerebbe la stragrande maggioranza degli italiani... Credo che sia sbagliato limitare il target agli appassionati di prog, poiché abbiamo più volte constatato che la nostra musica può piacere anche a chi non sa nemmeno cosa sia il prog... forse questo è uno degli aspetti che hanno contribuito a vendere qualche copia in più. Certo resta il fatto che l'età media ai concerti sia quella che indichi, perché forse la promozione rimane comunque settoriale.

 

Elisa: Di sicuro la promozione fatta dalla Black Widow ha portato grossi risultati, unita al nostro sforzo per raggiungere più sentieri possibili per farci conoscere perché vorremmo per lo meno tentare di oltrepassare quei luoghi comuni che decretano il prog un genere per pochi e non di semplice ascolto. E’ vero, non è un genere semplice per chi non è avvezzo, ma nelle occasioni in cui abbiamo suonato davanti a un pubblico di non intenditori in molti sono rimasti colpiti positivamente e hanno acquistato il cd. Per cui io credo che se i vari mass media, promotori, locali, etc. dessero qualche possibilità in più ai generi "di nicchia" come il progressive, può anche essere che la risposta del pubblico di massa sia comunque positiva e magari inaspettata... sarò ottimista,ma mi piace pensare in questo modo.

 

Paolo: Credo che la domanda vada letta al contrario, nel senso che ritengo il download la distruzione dell’operato di un artista, al quale viene letteralmente rubata la propria opera non ricevendo alcuna ricompensa e, visto che si buttano via tanti soldi, non vedo perché il musicista in quanto benefattore dello spirito debba addirittura regalare la propria arte. La musica non morirà mai, ma andando avanti così morirà il musicista in quanto il suo reddito sarà pari a zero e di conseguenza non potrà più far musica. Se invece questo non accadesse, ci sarebbe un giro economico decisamente maggiore e ciò permetterebbe molta più visibilità e spazi, in quanto se un prodotto chiama soldi ed interesse è ovvio che gli venga concessa visibilità in maniera direttamente proporzionale. Ma la musica ora non chiama soldi (basti pensare che l’intero mercato discografico italiano fattura circa quanto una sola ipercoop), quasi sembra diventato sgradito chiedere soldi per far musica, la fruizione deve essere gratuita e le opportunità di suonare accolte come grazia ricevuta. Finche andrà avanti questa cultura del non rispetto, vedo difficili possibilità di miglioramento. Se poi un giorno la visibilità e lo stato sociale del musicista si eleveranno un pochino, anche l’età media del pubblico comincerà a calare, ne sono certo, ma ora è impossibile e solo le persone di una certa epoca hanno ancora il rispetto e la coscienza di retribuire chi si occupa di arte.

 

Montag: Abbiamo parlato a lungo di molte cose sicuramente non vi abbiamo chiesto quello che volevate dire. Avete qualche commento per salutare i lettori del Rotters’ ed eventualmente integrare quanto già detto?

 

Fabio: Nessuna delle risposte date ci è stata estorta con la forza o con la frode, è tutta farina del nostro mulino, anzi, del nostro tempio ;) E' stato divertente interagire in questo modo un po' insolito e creativo, i discorsi usciti ci hanno fatto riflettere.

 

Elisa: Vorrei dire molte altre cose, ma penso di essere già stata abbastanza prolissa per cui vorrei soltanto ringraziare voi e le persone che leggono e si interessano ai pensieri di chi, come noi, fa musica per passione e cerca di esprimere un proprio concetto. Ringrazio coloro che comprano dischi, frequentano concerti, perché tutti insieme possiamo essere la linfa che continua a far vivere l'Arte e la Musica e che dà stimoli a coloro che la vivono e la donano al mondo con tanto impegno e dedizione. Lunga vita alla Musica e, ovviamente, al prog!! :-)

 

Paolo: E’ stata senz’altro un intervista interessante e ricca di contenuti riguardo temi magari un po’ insoliti rispetto alle solite banalità. Per i ringraziamenti mi unisco ad Elisa, credo abbia espresso in modo perfetto quali sono le persone da ringraziare e perché vanno ringraziate.

 

 

Montag: Aggiungo io: NON MASTERIZZATE, NON SCARICATE, farete solo si che ragazzi sensibili e intelligenti come quelli che avete avuto pazienza di leggere e ascoltare finora restino chiusi e imprigionati in un mondo ormai cieco e sordo nei confronti di qualsiasi opera dell’ingegno che non si possa usare su un cellulare.

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Ultimo aggiornamento (Sabato 22 Settembre 2012 09:01)