Stormy Six

L'uscita delle tanto attese ristampe di Un biglietto del tram, L'apprendista e Macchina maccheronica fornisce l'occasione per analizzare a fondo la discografia degli Stormy Six, vale a dire un gruppo che ha contato più di qualcosa nella storia della musica rock italiana (ma il chitarrista degli Stormy Franco Fabbri amerebbe chiamarla popular music) e non solo del ristretto ambito progressivo. Certo la progressività è parte integrante di ognuna delle produzioni discografiche della band, anche perché è difficile trovare un disco simile a qualcuno degli altri. Gli Stormy Six ci hanno regalato opere caratterizzate di volta in volta, da beat, psichedelia, canzoni politiche, folk-rock, progressive sinfonico, RIO e pop elettrico. Il tutto condito da una preparazione musicale con pochi eguali, una creatività mai sopita e un coraggio e una voglia di sperimentare certamente non comuni. Ma forse è il caso di procedere con ordine. Il primo nucleo degli Stormy Six non comprendeva nessuno dei musicisti che successivamente faranno parte della band! Il primo a entrarvi fu il cantante/chitarrista Franco Fabbri, in seguito allo scioglimento degli Stregoni, il gruppo in cui precedentemente militava. Degli Stregoni facevano parte anche il chitarrista Luca Piscicelli e il batterista Toto Zanuso che si unirono agli Stormy Six in un secondo tempo. La band iniziò a guadagnare una certa notorietà a Milano e, ben presto, approdò alla registrazione del primo disco. Questo non prima di avere integrato un altro fondamentale membro, il giovane bassista Claudio Rocchi che contribuì a far evolvere le sonorità proposte dagli Stormy Six. Correva l'anno 1969 quando gli Stormy Six entrarono in sala di registrazione per regalarci il loro primo disco.



DISCOGRAFIA


LE IDEE DI OGGI PER LA MUSICA DI DOMANI (1969)
L'ambizioso titolo non fu iniziativa dei musicisti, bensì della casa discografica, ma, in un certo senso, non andò lontano dal vero. Le canzoni dell'album sono firmate quasi tutte dalla coppia Rocchi/Fabbri ma, in realtà sono quasi tutte di quest'ultimo, con l'eccezione di tre sole. Le sonorità di questo disco sono ancora molto beat, soprattutto nella parte ritmica, ma già si intravede la voglia di sperimentare e qualche barlume di quella che sarà la creatività degli anni successivi. Il difetto più evidente del disco sono forse i testi di Fabbri, ancora piuttosto ingenui ma, come detto, musicalmente già si inizia a sentire qualcosa di buono. Importante, in questa sede, segnalare lo strumentale Schallplattengesellschaftmbh, che riporta direttamente alla psichedelia tanto in voga in quegli anni. I brani composti da Claudio Rocchi sono probabilmente i migliori. In particolare Ramo rappresenta un primo tentativo di proporre atmosfere e sonorità della musica indiana (qualche anno dopo Rocchi si ritirò in India per un'esperienza religiosa nel bhakti-yoga). L'interazione fra la particolare voce di Rocchi e gli strumenti indiani utilizzati (sitar, tanpoura, tabla a profusione) rendono questo brano il primo vero capolavoro di colui che, successivamente, sarà uno dei migliori cantautori del panorama nostrano. Non da meno è l'altra composizione di Rocchi, intitolata Sotto i portici di marmo, in cui mellotron, archi e chitarra acustica accompagnano l'evocativo cantato. Il disco era pensato come un continuum (sulla scorta di lavori come Sgt. Pepper's dei Beatles, uno dei preferiti di Fabbri) e così fu nella prima edizione vinilica, che non aveva spire di separazione fra un brano e l'altro. Tale particolarità venne meno in un'edizione successiva pubblicata, tra l'altro, all'insaputa del gruppo, pochi mesi dopo. Fortunatamente nella ristampa CD Fabbri si è premurato di riportare il tutto alla versione originale riprendendo i collegamenti tra un pezzo e l'altro da una copia ancora cellofanata del vinile, che il musicista possedeva ancora. Il disco fece guadagnare una certa popolarità al gruppo il quale, però, nel frattempo, dovette registrare la perdita di Claudio Rocchi, ormai lanciato verso la carriera solista. Al suo posto subentra nel gruppo Massimo Villa. Con questa formazione gli Stormy Six iniziano le registrazioni del loro secondo lavoro, che esce a tre anni di distanza dal precedente e che presenta già un primo marcato cambio di stile.


L'UNITA' (1972) Con l'uscita di Rocchi , Fabbri diventa automaticamente il leader del gruppo e, nel nuovo disco, entrano due elementi del tutto nuovi. Il primo rimarrà confinato a quest'opera, il secondo avrà invece degli sviluppi importantissimi. La prima novità riguarda le sonorità che, abbandonato totalmente il beat degli esordi, virano verso qualcosa di assai più West Coast (fra gli artisti preferiti di Fabbri ci sono, manco a dirlo, Crosby, Stills, Nash & Young). L'esempio più clamoroso è, in questo senso, la lunga Suite per F&F che potrebbe tranquillamente essere una canzone di Stephen Stills. L'altra innovazione riguarda invece i testi, che iniziano ad avvicinarsi a quelli delle canzoni di protesta (emblematiche in questo senso Sciopero! e La manifestazione). Le composizioni di Fabbri sono dunque assai meno ingenue (anche se la poetica del chitarrista diverrà veramente compiuta solo in seguito) e il disco si lascia ascoltare volentieri, pur non essendo un capolavoro. I brani migliori sono, senz'altro, la già citata La manifestazione nonché l'ottima Pontelandolfo. La conclusiva e breve Fratello altro non è che una critica-invettiva in riferimento alle divergenze di opinioni sul fare musica e politica con Claudio Rocchi. Il periodo successivo è forse quello più decisivo e importante per il gruppo. Anzitutto esce Massimo Villa e si aggiungono tre elementi che contribuiranno a rendere gli Stormy Six uno dei gruppi più geniali e innovativi del panorama italiano. Si tratta del cantante e chitarrista acustico Umberto Fiori (che d'ora in poi sarà l'autore di quasi tutti i testi del gruppo) del polistrumentista e compositore Tommaso Leddi e del violinista Carlo De Martini. In seguito a questi stravolgimenti della line-up, Luca Piscicelli viene dirottato al basso. La situazione artistica, sociale e politica di quegli anni è, come sappiamo, assai tesa e complicata e gli Stormy Six ci si calano alla perfezione. Fra le iniziative più importanti vi è senz'altro quella della fondazione della Cooperativa L'Orchestra, nata per distanziarsi il più possibile dall'establishment delle majors e che divenne per un breve periodo il punto di riferimento per chi, in Italia, suonava musica alternativa (e questo senza contare le numerose iniziative collaterali legate alla cooperativa). Ma prima di pubblicare Un biglietto del tram, loro capolavoro assoluto nonché primo disco dell'Orchestra, gli Stormy Six trovano il tempo per dare alle stampe un disco di cover, sebbene un po' particolari.


GUARDA GIU' DALLA PIANURA (1974) Questo disco fu ripubblicato anche un paio d'anni dopo con il titolo Canti della rivoluzione nel mondo. Si tratta forse del disco meno interessante, dal punto di vista artistico, poiché consiste sostanzialmente in cover di inni rivoluzionari (Cancion del poder popular, Cuba sì yanquis no, Per i morti di Reggio Emilia sono solo alcuni dei titoli). Rappresenta tuttavia anche il preludio al successivo capolavoro. Questo sia per i temi trattati (la canzone politica) che per le sonorità che abbracciano, per la prima volta, la dimensione totalmente acustica (probabilmente a supporto dell'idea di potere inserire tutta la strumentazione nel camioncino con cui il gruppo girava l'Italia), in una sorta di disco "unplugged" ante litteram, proprio mentre nel resto del panorama musicale italiano spopolavano gli arrangiamenti sinfonico-orchestrali del progressive più classico. Un interessante documento, dunque, questo disco, ma non molto di più. Il vero capolavoro stava però prendendo forma e sarebbe uscito l'anno successivo.


UN BIGLIETTO DEL TRAM (1975) E' difficile parlare di questo disco riuscendo, nel contempo, ad essere il più sintetici possibile. Questo perché tali e tanti sono gli spunti offerti da questa pietra miliare del rock italiano che è anche difficile decidere da dove partire. Si può dire senz'altro che Un biglietto del tram fu un punto di svolta nella canzone di protesta e che molti dei brani in esso contenuti (Stalingrado in particolare) divennero dei veri e propri inni dei cortei, e non solo, degli anni Settanta, universalmente conosciuti da tutti, anche da coloro che il disco non lo avevano acquistato. Ciò che può sorprendere, ma non poi più di tanto, è che la peculiarità dell'approccio valse al gruppo, come racconta lo stesso Fabbri nel suo libro autobiografico, l'accusa di eccessivo formalismo, soprattutto dagli ambienti più politicizzati del "movimento". L'opera ebbe una gestazione molto lunga (le prime versioni di Stalingrado e La fabbrica risalivano al 1973) anche perché si volle fare le cose per bene visto che l'etichetta dell'Orchestra veniva inaugurata proprio da questo disco. Come già accennato le sonorità sono assolutamente "unplugged", ma non si rifanno minimamente al folk anglo-americano bensì, con un approccio originalissimo, a sonorità tipicamente mediterranee, che gli Stormy Six avevano conosciuto e proposto grazie alla frequentazione con il cantante greco Giorgio Kochinos, che insegnò loro le canzoni di Theodorakis. Molti altri sarebbero gli aneddoti interessanti da raccontare su questo disco, che si possono tranquillamente trovare sul libro Album Bianco di Franco Fabbri (un'opera edita da Arcana e consigliatissima per chi voglia saperne di più sulle vicende, non solo musicali, di quegli anni). Sta di fatto che il disco ebbe un enorme successo e le sue canzoni sono ancora oggi fra i cavalli di battaglia delle esibizioni concertistiche che, di tanto in tanto, il gruppo regala. Incassato il grande successo sarebbe stato assai facile, per gli Stormy Six, vivere di rendita e riproporre ancora a lungo i medesimi temi e le medesime sonorità. Invece, con un atto coraggiosissimo, il gruppo sceglie di proseguire sulla strada della novità e della sperimentazione senza compromessi.


CLICHE' (1976) Cliché è musica per spettacoli teatrali. Nato dalla collaborazione col trombettista Guido Mazzon e col batterista Tony Rusconi, è però figlio anche dell'uscita dal gruppo del batterista Toto Zanuso. La ristampa in CD vede anche i brani realizzati per un altro spettacolo, Pinocchio Bazaar, per la regia di Gabriele Salvatores, registrate sempre nello stesso periodo. Clichè+Pinocchio Bazaar è senz'altro il disco più ostico del gruppo. Naturalmente la fruizione ideale sarebbe quella teatrale, con lo svolgimento dello spettacolo, e in questo senso il solo supporto audio fa perdere parte del pathos. Addirittura le canzoni di Pinocchio Bazaar che originariamente erano cantate sono, sul disco, esclusivamente strumentali, poiché non sono rimaste registrazioni di buona qualità delle interpretazioni canore degli attori. Da segnalare, inoltre, la presenza di alcuni brani come Carmine e Macchina maccheronica, che saranno poi rielaborati e ripresentati sui successivi dischi. Infine, con Pinocchio Bazaar, fa il suo ingresso nel gruppo lo strepitoso batterista Salvatore Garau, scoperto in Sardegna ad un concerto di un gruppo nel quale militava anche il bassista Pino Martini che, a sua volta, l'anno successivo, entrò a far parte del gruppo. Per il successivo lavoro gli Stormy Six decidono ancora di prendere di nuovo tutti in contropiede producendo un disco di progressive rock vero e proprio con un chiaro riferimento ai Gentle Giant, ma anche con una strizzatina d'occhio al RIO degli Henry Cow (gli Stormy Six entrarono poi a pieno titolo fra i gruppi membri del movimento Rock In Opposition, che univa le band di avanguardia di tutta Europa)


L'APPRENDISTA (1977) I musicisti impegnati su più strumenti e le strepitose armonie vocali fanno di questo disco il più canonicamente progressivo (alla Gentle Giant però). In alcuni brani, poi, fanno prepotentemente il loro ingresso anche i fiati (in particolare il sax di Renato Rivolta che successivamente divenne un membro a pieno titolo della band). Questo è anche l'ultimo disco in cui suonano Luca Piscicelli (che viene rimpiazzato già da Pino Martini in un paio di tracce) e lo strepitoso violinista Carlo De Martini (che se ne andrà però un anno più tardi). Musicalmente siamo in presenza di un disco senza sbavature (l'unico brano un po' più debole è, forse, Rosso) che piacerà sicuramente a tutti coloro che amano le sonorità un po' contorte. Il miracolo, che sarà però ancor più evidente nel lavoro successivo, è che gli Stormy Six suonano canzoni complicate ma senza mai perdere di vista il loro stile inconfondibile. Disco consigliatissimo, dunque. Gli anni successivi sono quelli dell'appartenenza al movimento Rock In Opposition e sono caratterizzati da un'intensissima attività concertistica, che contribuirà a rendere famosi gli Stormy Six anche fuori dai confini italiani e persino nei paesi comunisti dell'est europeo, in cui il gruppo assunse una notorietà davvero notevole. Nel frattempo Pino Martini era entrato stabilmente nella line-up della band mentre, nel 1979, uscivano dalla band, come detto, il violinista De Martini e il sassofonista Rivolta. Quest'ultimo venne rimpiazzato dal clarinettista Leonardo Schiavone (dei Maxophone). Con l'aggiunta in organico, al violoncello, di Georgie Born, già con gli Henry Cow, gli Stormy Six davano però alla luce Macchina maccheronica, un disco permeato delle atmosfere più tipiche del RIO


MACCHINA MACCHERONICA (1980) Probabilmente mi attirerò le ire di molti con l'affermazione che sto per fare: Macchina maccheronica è uno dei migliori, se non il migliore in assoluto, fra i dischi di RIO che mai siano stati pubblicati. Il difetto di questo genere musicale, infatti, è quello, a volte, di un eccessivo sperimentalismo e tecnicismo fini a se stessi, che appesantiscono di molto l'ascolto senza controbilanciare il tutto con un'adeguata sensibilità e melodiosità. Non è ovviamente il caso dei dischi migliori del genere e naturalmente non è nemmeno il caso di Macchina maccheronica. Quest'ultimo si spinge ancora oltre, mantenendo, se così si può dire, la giusta dose di italianità e mediterraneità che tolgono quel velo di pesantezza inutile che, molto spesso, dischi come questo presentano. Si tratta dunque di un capolavoro assoluto (fra le canzoni spiccano Le lucciole, Verbale e Pianeta composte, rispettivamente, da Fabbri, Leddi e Martini con testi di Fiori) ma tutta l'opera va ascoltata come un continuum in cui trovano spazio anche dei divertenti intermezzi che altro non sono che dei riarrangiamenti della celebre Madonina (probabilmente un omaggio alla origine milanese del gruppo). Un disco, anche questo, da acquistare senza indugio alcuno se vi dovesse capitare fra le mani. Il gruppo, frattanto, prosegue nell'intensa attività concertistica, sostituendo Schiavone con Stefano Barbaglia, ma anche quest'ultimo non durerà molto. Gli Stormy Six, infatti, nel 1982 decidono ancora di sorprendere tutti ed entrano in studio, forse per la prima volta, senza avere pezzi già pronti e rodati dai concerti. Ne esce un disco geniale, che rappresenta, di fatto, il loro ultimo LP.


AL VOLO (1982) Gli Stormy Six diventano una pop/rock band, sebbene di un pop particolare, con il loro marchio inciso a fuoco. La novità principale riguarda Tommaso Leddi che, invece del solito numero spropositato di strumenti, si occupa esclusivamente di tastiere e sintetizzatori. L'altra novità riguarda invece il sempre maggior peso, in fase compositiva, assunto dal bassista Pino Martini. Al volo è l'ennesimo capolavoro della band, che suona più facile e accessibile solo in rapporto alla complessità del precedente disco ma che, in realtà, distilla originalità e creatività da ogni solco. I testi di Fiori poi si fanno più beffardi che mai. Fra i brani da segnalare l'immensa Reparto novità che, parlando di shopping alla Standa (e personalizzando quest'ultima) mette in ridicolo, in maniera però un po' inquietante, le spinte consumistiche che nell'Italia di allora stavano prendendo sempre più piede. Il consiglio è quindi di non lasciarsi scappare questo disco. Dopo Al volo, però, il giocattolo Stormy Six si rompe e del gruppo non si risentirà parlare per una decina d'anni. Tuttavia, nel 1993, avviene una piccola magia e, in occasione di un concerto al teatro Orfeo di Milano, preceduto da una session presso gli studi di Radio Popolare, il gruppo si ricompone per un'esibizione assolutamente memorabile che, fortunatamente, è stato registrata e pubblicata su CD e che ha dato il via a una serie di concerti della band riformata, che proseguono ancora oggi, sebbene con una frequenza assai minore.


UN CONCERTO (1995) Pubblicato a due anni di distanza dallo svolgimento dell'esibizione, Un concerto vede impegnata la line-up certamente più tecnica e amata: Umberto Fiori (voce, chitarra acustica), Franco Fabbri (voce, chitarre), Tommaso Leddi (mandolino, violino, chitarra acustica, balalajka, tastiere), Carlo De Martini (violino), Pino Martini (basso, voce) e Salvatore Garau (batteria). I musicisti regalano un'esibizione che definire splendida è riduttivo (sebbene sul disco non sia riportata integralmente) che presenta brani da Un biglietto del tram e da Al volo. Gli anni non sembrano passati per questi ragazzi e la sola esecuzione di Stalingrado/La fabbrica meriterebbe l'acquisto del CD. Tra l'altro, non esistendo live ufficiali dell'epoca d'oro l'acquisto di questo disco diventa ancor più obbligatorio.


MEGAFONO (1998) Questo altro non è se non un doppio live postumo, pubblicato qualche anno or sono, e che documenta esibizioni che vanno dal 1976 al 1982. La parte del leone la fanno i brani de L'apprendista ma il disco è interessante per la presenza di alcuni inediti (sebbene la qualità della registrazione non sia eccelsa) e per dare un'idea del clima di anarchia e divertimento che regnava nei concerti d'epoca degli Stormy Six. Da segnalare, fra gli altri, il brano La voce in cui Umberto Fiori riesce, mirabilmente, a recitare un testo (un articolo teorico sull'utilizzo della voce pubblicato sulla rivista "Alfabeta"), utilizzando varie inflessioni della nostra Penisola, nonché il brano Al volo, di cui alcune parti saranno utilizzate per comporre poi alcune delle canzoni dell'omonimo disco. Il secondo CD è, in pratica, un'unica lunghissima bonus tracks in cui, grazie a un vero e proprio lavoro di "taglia e cuci", operato dallo stesso Tommaso Leddi, Arrivano gli americani (tratto da Un biglietto del tram) diventa, e queste sono parole di Umberto Fiori, "un pezzo che in questi anni si è allargato ed è diventato un guazzabuglio, una specie di conca dei rifiuti". Il lavoro di Leddi, che ha attinto a quanto non si era mai udito su disco, ha permesso addirittura di raddoppiare le già ragguardevoli durate che il brano raggiungeva negli ultimi tour. Questa lunga versione di Arrivano gli americani è interessante proprio perché documenta come dovevano essere i concerti degli Stormy Six, che alternavano momenti musicalmente complessissimi a vere e proprie beffarde gag che li hanno resi, ancor oggi, inimitabili

Mastro Gobbetto
Novembre 2004