THE COLOSSUS OF RHODES
"The seventh progressive rock wonder"
(MUSEA FGBG 4525.AR)


 

Il progetto

Ci eravamo lasciati con lo Spaghetti Epic, ed eccoci pronti per qualche gustosa anticipazione sul nuovo progetto della Colossus, che, dopo aver omaggiato il film C'era una volta il West, stavolta punta su un'altra famosa pellicola diretta dal celebre regista Sergio Leone: Il Colosso di Rodi. Dopo le felici intuizioni del Kalevala e dello Spaghetti Epic, ci troviamo di fronte a questo doppio cd che potrà sicuramente rappresentare uno dei punti di riferimento importanti del 2005 per tutti quegli appassionati che non hanno perso la voglia di ascoltare del sano progressive sinfonico, chiaramente debitore degli anni '70, ma riproposto tutt'oggi con devozione e intelligenza. Ancora una volta, il tutto è offerto tramite lunghissime suite, forma di proposta musicale da sempre apprezzata. Sei i gruppi partecipanti ed è nuovamente l'Italia a rivestire un ruolo di primo piano, per merito delle presenze di Leviathan, Greenwall, Mad Crayon e Revelation. Le altre band presenti sono gli svedesi Sinkadus e i sorprendenti finlandesi Velvet Desperados. Il prodotto è curatissimo in ogni dettaglio e praticamente nulla è lasciato al caso, dai suoni alla parte grafica. Si possono, perciò, confermare tutte le buone cose dette sui precedenti lavori organizzati dalla Colossus, ormai sempre più da considerare come sinonimo di qualità. Sei suite, dicevamo, ognuna delle quali suddivisa in due capitoli, tramite i quali viene narrata la storia che è alla base del film e, ora, del disco. Anche in quest'occasione, come per i precedenti progetti, è stato richiesto di prediligere le tastiere tipiche degli anni '70 (Hammond, Moog, Mellotron, Fender Rhodes, Grand piano, ecc.), evitando categoricamente l'utilizzo di loop, drum machine et similia. Il risultato finale è senza dubbio di buon livello, grazie a musicisti che hanno capito in pieno lo spirito del progetto e che in alcuni casi sono riusciti a trovare anche intuizioni di spessore notevolissimo. Ad occuparsi della masterizzazione, nuovamente Marco Olivotto, che non scopriamo certo adesso e che non delude minimamente le aspettative. Come sempre, particolarmente curato è anche l'artwork: Paul Whitehead è l'autore della copertina, mentre all'interno del booklet ci sono dei dipinti di Marco Bernard e delle illustrazioni di Stefano Scagni. Raimo Eurasto ha scritto le note introduttive e Mike Eustace si è invece cimentato in un'introduzione al film e nei riassunti che descrivono i contenuti dei vari brani.


Il Colosso di Rodi - la trama del film

Anno 280 A.C.: il militare greco Dario si reca a Rodi, in visita ad un parente e per riposarsi dopo le sue avventure eroiche. In città è stato da poco eretto un enorme monumento, il Colosso, dedicato al Dio Apollo, posto in guardia del porto e i festeggiamenti dell'evento sono in pieno corso. E' in questo scenario che si muove un gruppo di ribelli, capitanati da Pericle, che vogliono spodestare il re Serse, stanchi delle tirannie subite da lui e dal suo consigliere Tireo. Dario, che intanto si innamora di Diala, figlia del costruttore del Colosso, si ritrova coinvolto in eventi più grandi di lui, poiché i ribelli lo contattano con la speranza che si unisca a loro. La storia prosegue con colpi di scena continui, intrecci, congiure, situazioni di spionaggio e doppio gioco che movimentano in maniera eclatante la vita socio-politica di Rodi. Dopo la morte del re, Tireo e i suoi uomini si rifugiano nel Colosso, ma la catastrofe è in agguato: un terremoto fortissimo sconvolge l'intera città, causa il crollo della statua e dei protagonisti il solo Dario riesce a salvarsi.


La musica e i protagonisti

CD1

Traccia A1: LEVIATHAN (Italia)-Un pensiero è sempre libero
Capitolo 1 - “L'isola della pace”; capitolo 2 - “Attentato alla corte del re”
Ad aprire le danze del Colosso di Rodi troviamo una vecchia conoscenza del new-prog italiano: i Leviathan. Questa band si esibisce in una composizione pregna di romanticismo, aperta dalle dolci note del flauto, che si combina con le tastiere creando una bella introduzione dal sapore medievaleggiante. Dopo quasi due minuti ci si tuffa subito nel pieno della suite, con il più caratteristico new-prog genesisiano. I protagonisti diventano Andrea Amici che fa faville con le sue tastiere ed il cantante Paolo Antinori, che con voce limpida declama al meglio il lunghissimo testo (di cui è anche autore). Per oltre ventisei minuti, così, i Leviathan intraprendono un tour de force sinfonico e ossessivo, con non pochi spunti barocchi (gli intrecci flauto-tastiere sono una costante durante l'esibizione del gruppo) e con rimandi non solo agli anni '70, ma anche alla “rinascita” dell'inizio dei nineties.

Traccia A2: GREENWALL (Italia): The secret passage
Capitolo 3 - “Il passaggio segreto”; capitolo 4 - “Un imbarco per la Grecia”
Dopo i Leviathan è la volta dei romani Greenwall, capitanati dal tastierista Andrea Pavoni. Una prova assolutamente deliziosa, quella di Andrea & co. che si confermano in costante progresso, affinando ulteriormente le loro qualità e la loro musica dopo la già apprezzabile partecipazione al Kalevala. The secret passage si snoda, infatti, attraverso una serie di movimenti molto eleganti, mostrando uno sviluppo fantasioso e ricco di finezze sia dal punto di vista compositivo che esecutivo. All'inizio, un'introduzione festosa, ma anche con qualche tratto misterioso, guida alla magnifica combinazione di piano, archi e fiati che creano un clima molto intenso. L'entrata della sezione ritmica vivacizza il brano, che si dirige così verso un bel rock sinfonico, in cui si avverte una indovinata unione di piacevoli influenze britanniche e italiane (Genesis, Yes, PFM, Banco). Verso i cinque minuti si ritorna ad atmosfere incerte ed inizia la parte cantata. Qui il ruolo principale è ricoperto dalla brava Michela Botti ed abbiamo un primo esempio di teatralità nell'esecuzione delle parti vocali. Ci sono anche voci maschili ad interpretare vari personaggi ed un altro aspetto curioso è rappresentato dall'alternanza delle lingue italiana e inglese. La ricca strumentazione permette una gamma sonora molto variegata, un accompagnamento di gran classe e momenti solisti (splendidi quelli pianistici) in cui tecnica e feeling vanno a braccetto. Lo stile si mantiene sinfonico, ma tramite affascinanti cambi di tempo e di atmosfera si passa da momenti meditativi e quasi oscuri a spunti medievali, senza disdegnare incursioni nel rock più tirato. Non si avvertono forzature e si può evidenziare lo stato di grazia dei musicisti e di un compositore che può andare fiero di questa sua creazione.

Traccia A3: SINKADUS (Svezia): God of silence
Capitolo 5 - “Tortura”; capitolo 6 - “I prigionieri liberi”
L'ultima suite del primo cd è opera degli svedesi Sinkadus, adepti degli Anglagard nella seconda metà della scorsa decade. Chi si aspetta una nuova copia carbone del gruppo di Epilog dovrà ricredersi, visto che gli scandinavi si esibiscono in una prova ricca di personalità. La band si presenta in quartetto e si mette in mostra con una brillante composizione principalmente strumentale (il testo è comunque in inglese), in cui sono avvertibili diverse influenze, che vengono però condensate in un sound particolare dal quale scaturiscono non poche sorprese. La prima di queste è rappresentata dall'apertura quasi dissonante che miscela suoni crimsoniani ed echi spacey dei primi Pink Floyd, presentando, così, anche connotati psichedelici. Da qui si passa alla meravigliosa “esplosione” che dopo i cinque minuti fa virare la composizione verso caratteristiche più tipiche della scena scandinava dell'inizio degli anni '90, con il mellotron a creare sottofondi affascinanti, con la chitarra a guidare nervosamente e con piacevoli melodie vocali. Si alternano poi momenti di calma apparente, crescendo ritmici coinvolgenti e dolci spunti di flauto che non fanno fatica a farsi apprezzare. Gli intrecci strumentali che vedono chitarra e tastiere protagonisti, insieme ai puntuali inserimenti del mellotron e alle sonorità di archi sono eseguiti in maniera impeccabile ed insieme all'alternanza tra parti pacate e riflessive ed altre più movimentate ed infuocate rappresentano caratteristiche decisamente ammirabili. Una suite stupenda che rilancia decisamente le quotazioni di una band che avevamo un po' perso di vista ultimamente.

CD2

Traccia B1: MAD CRAYON (Italia): Come vento tornerò
Capitolo 7 - “Sfida alla sorte”; capitolo 8 - “All'interno del Colosso”
E in tema di ritorni, possiamo salutare con un felice “Welcome back” anche gli italiani Mad Crayon, che aprono il secondo cd con una suite di ottima qualità che conferma quanto già di buono avevano fatto in passato con il rock romantico che impreziosiva i loro album. La band è abile a districarsi in una composizione molto classica e formalmente ineccepibile, che non può essere, comunque, elogiata solo per la struttura e lo stile, visto che anche di sostanza ce n'è tanta… L'influenza del più classico rock progressivo italiano si avverte alla grande dal primo all'ultimo minuto e il linguaggio musicale mediterraneo del Banco, della PFM, delle Orme e della Locanda delle Fate lo possiamo ritrovare vestito a nuovo in Come vento tornerò, suite che ha uno sviluppo estremamente lineare e che non presenta punti deboli. Anche quando ci sono cambi di tempo, si avverte il tutto con grande naturalezza e non ci sono forzature di sorta. Le calde melodie vocali si alternano a spunti strumentali che, pur non originali, sono splendida fonte di seduzione, vuoi per il calore e l'energia dei suoni, vuoi per il felice sodalizio di tecnica e feeling. Un lunghissimo brano che sa essere epico, ma anche estremamente aggraziato ed armonioso. Da segnalare anche spunti pianistici che devono molto al miglior Banks e che fanno venire alla mente soluzioni presenti in album indimenticabili quali A trick of the tail, Wind and wuthering e A curious feeling. Insomma, una vera e propria manna dal cielo per chi ama il prog ben infarcito di tastiere.

Traccia B2: VELVET DESPERADOS (Finlandia): Lords and knights
Capitolo 9 - Un esercito sterminato; capitolo 10 - Il Colosso, un covo di traditori
Ed ecco ora il vero clou dell'album. I Velvet Desperados, band finlandese di bellissime speranze, presentano una composizione di assoluto livello, in cui sanno fondere vecchio e nuovo, rock e musica classica, potenza e leggerezza… Al quartetto tipico di base (chitarre-tastiere-basso-batteria) si affiancano ospiti al violoncello e ai fiati (corno francese, sax, tromboni, tromba e flicorno) che favoriscono sonorità ricche di mille sfaccettature, con timbriche variabili e ricche di fascino. La dinamica della suite è impressionante: dai suoni cameristici del piano del violoncello si passa a situazioni di rock sinfonico guidato da un'elegantissima chitarra; le tastiere conferiscono maestosità; i fiati, quando non accompagnano gli altri strumenti, permettono interessanti divagazioni jazzistiche; nella parte centrale è avvertibile un felice inserimento dal sapore blues, che culmina in un ottimo assolo di sax; le parti vocali, presenti in giusta misura e mai invadenti, sono pienamente convincenti, sia per l'esecuzione che per le melodie. Insomma, c'è di tutto e di più, ma non come un minestrone senza senso: accelerazioni, rallentamenti, cambi di tempo e di stile sono proposti meravigliosamente e con un'espressività che fa pensare a eccellenti artisti navigati. Anche le scelte timbriche sono assolutamente indovinate, finendo col rappresentare un altro punto di forza della composizione. Suonata egregiamente, Lords and knights è carica di pathos e sa catturare la massima attenzione attraverso quasi 25 minuti che lasciano praticamente senza fiato, grazie ad un crescendo di emozioni che ripaga l'ascoltatore conscio di aver prestato l'orecchio a qualcosa di speciale. Una grande suite ed un grandissimo gruppo che mostra davvero potenzialità enormi e che raccoglie al meglio il testimone dagli Haikara come protagonista principale dei progetti della Colossus.

Traccia B3: REVELATION (Italia): A new dawn
Capitolo 11 - Catapulte; capitolo 12 - Il maremoto
L'ultima traccia del Colosso di Rodi è quella dei Revelation, che confermano al 100% tutta la loro passione per i Genesis. Dall'inizio alla fine della suite è un susseguirsi di chitarre hackettiane, tastiere sinfoniche, cascate di mellotron, ritmi in costante variazione, emozioni, teatralità, armonie vocali d'effetto e tutto ciò che rende ancora oggi amatissima la band di Foxtrot. Ci si avvicina ai trenta minuti (è la composizione più lunga dell'intero album), ma per gli “inguaribili romantici” di certi suoni e atmosfere, per chi ancora oggi prova un brivido ad ascoltare un tipo di musica che riporta alla mente magnifici eroi di un passato ormai lontano, non sarà certo un peso ascoltare tutto d'un botto la conclusione di un lavoro che non delude minimamente le aspettative.

Peppe

maggio 2005 

Ultimo aggiornamento (Martedì 24 Novembre 2009 18:28)