Quanti sono, in Italia, coloro che adorano artiste come Enya o Loreena McKennit? Personalmente ritengo parecchi, anche fra quelli che apprezzano il rock progressivo. Ebbene, quanti di costoro sanno che in Italia è presente ed opera un'artista che, partendo agli inizi della carriera col prog, si è poi avventurata verso dischi e sonorità simili alle sopracitate musiciste con risultati artistici probabilmente superiori? Molti, molti meno, purtroppo. L'artista in questione altri non è che Jenny Sorrenti, che i più conosceranno solo per essere la sorella meno celebre di Alan ma che in realtà ha saputo, nella sua carriera, superare di gran lunga, in quanto a coerenza e genialità, i risultati del fratello. Come si ricorderà Alan Sorrenti fu autore di due fondamentali dischi all'interno della scena progressiva italiana e le prime esperienze discografiche di Jenny (che allora si faceva chiamare Jane) hanno molti punti di contatto con quelle di Alan. Gli esordi di Jenny, infatti, risalgono all'attività del gruppo dei Saint Just. Questi ultimi erano inizialmente un trio che vedeva in formazione anche il bassista/chitarrista classico Antonio Verde e il sassofonista Robert Fix. La proposta era una sorta di acid folk dominato da sonorità prettamente acustiche. Tuttavia, al momento di entrare in studio per la registrazione del primo disco, la band si arricchì di ulteriori strumentisti che conferirono alla proposta una matrice decisamente più rock, pur senza perdere quella folk.

SAINT JUST (1973)
Il primo disco omonimo dei Saint Just è, con ragione, considerato un oggetto di culto dalla gran parte dei fan del prog italiano dei Seventies. Ai tre membri del gruppo si aggiunsero il chitarrista Gianni Guarracino, il batterista/percussionista Tony Esposito (che poi raggiunse una certa notorietà in anni successivi) e il tastierista Mario D'Amore. Rimarchevole, in particolare, il lavoro di quest'ultimo, soprattutto al pianoforte, le cui sonorità saranno quasi onnipresenti in tutto il lavoro. Che dire di quest'opera, se non che non presenta alcun punto debole? Si inizia alla grande con Il fiume inondò, forse il brano migliore e maggiormente evocativo del disco. Un inizio dominato dal pianoforte, una parte centrale con un sax vagamente canterburiano, seguito da un drammatico crescendo strumentale e una parte finale ancora con il piano. Il tutto condito dalla superba voce di Jenny capace di raggiungere tonalità inusitate, con uno stile che ricorda abbastanza quello che il fratello utilizzò nei suoi primi dischi. Anche gli altri brani non hanno debolezze: si va dal prog de Il risveglio alla simil ninna nanna di Dolci momenti senza che l'ascoltatore si possa annoiare. Da segnalare poi il brano Una bambina in cui prima Jenny, e poi il fratello Alan in qualità di ospite, danno uno spettacolare saggio delle loro capacità vocali. La chiusura è infine affidata a Saint Just, brano cantato in francese e dedicato al personaggio storico che ha ispirato il nome del gruppo. Insomma un capolavoro che merita di essere annoverato fra i migliori della scena progressiva italiana e che non può mancare nella discoteca ideale di ogni appassionato del genere.

Purtroppo prima della registrazione del secondo disco Robert Fix abbandona il gruppo. A Jenny e Antonio Verde si aggiungono dunque il cantante/chitarrista Tito Rinesi, il chitarrista/tastierista Andrea Faccenda e il batterista Fulvio Marras. Con questa formazione e con il fondamentale aiuto di Vince Tempera (per le parti di fiati e archi) il gruppo registrerà il suo secondo, ottimo disco

 LA CASA DEL LAGO (1974)
In questo lavoro vengono perse gran parte delle radici folk del disco d'esordio in favore di brani molto più ritmati e, quindi, molto più rock. In fase compositiva alla coppia Jenny/Verde, che rimane autrice di gran parte dei brani, si aggiunge anche il chitarrista Tito Rinesi che ne firma un paio. Le canzoni migliori del disco sono probailmente le prime due. Tristana è emblematica della svolta più rockeggiante della band ed è un brano davvero di alto livello con una sontuosa prestazione vocale (ma questa ormai è una costante) di Jenny. Nella vita, un pianto è invece un vero e proprio capolavoro: 11 minuti di pura magia, fin dall'evocativa introduzione, per un brano che è quello che ricorda maggiormente le sonorità del recente passato del gruppo. Il resto del disco è su livelli leggermente inferiori (se si eccettua la title track) ma rimane comunque uno di quei dischi che un appassionato del genere non può far a meno di conoscere.
Dopo questo disco però il gruppo si scioglie e Jenny e Antonio Verde iniziano a seguire una loro carriera solista (che per il bassista si limiterà a un solo disco). Passano solo due anni perché Jenny pubblichi il suo primo disco solista che, ancora una volta, sposta leggermente il tiro per quel che riguarda le sonorità.

SUSPIRO (1976)
Un disco che si avvale di ospiti davvero di prestigio. Fra questi vanno ricordati, oltre ad Antonio Verde, Pino Daniele, Lucio Fabbri e Peter Kaukonen (il fratello di Jorma, celebre chitarrista di Jefferson Airplane e Hot Tuna). La presenza di quest'ultimo non è affatto un caso, dal momento che la proposta del disco batte strade decisamente jeffersoniane (anche se più affini alla versione Starship piuttosto che a quella Airplane). A tratti Jenny sembra proprio Grace Slick ma mantenendo un proprio personalissimo stile che da sempre ne caratterizza la carriera. Le canzoni del disco, anche se non propriamente prog, sono comunque tutte validissime a cominciare dall'opener Diamante nero, un brano pop davvero eccelso che rimane, a parere di chi scrive, una delle cose migliori mai fatte da Jenny. Altri brani da segnalare sono senz'altro Tristessa, Cabaret e Jorma. Una menzione a parte infine per la title track, con un ottimo Pino Daniele alla chitarra acustica e gli evocativi vocalizzi di Jenny su un tappeto di tastiere effetto vento. Questo disco, come il successivo, è fuori catalogo. E' davvero un peccato che simili gioielli non possano essere reperibili facilmente. Un fatto, questo, che dovrebbe far riflettere....
Dopo la pubblicazione di Suspiro Jenny cambia "casacca" discografica passando dalla EMI alla RCA ed esplorando ancora più a fondo le sonorità pop. Così nel 1979 esce il disco, per così dire, più "commerciale" di questa splendida artista.

JENNY SORRENTI (1979)
Anche in questo caso Jenny si avvale di validi session men, alcuni dei quali appartenenti al giro prog. In particolare Gaio Chiocchio (ex Pierrot Lunaire) oltre a suonare produce anche il disco e, fra gli altri ospiti, si segnalano Agostino Marangolo, Enzo Avitabile ed Eugenio Bennato. Una menzione speciale non può non andare a Francesco De Gregori, presente nella canzone Lampo (oppure Mare, oppure Cielo, oppure Terra) che rappresenta senza ombra di dubbio il vertice assoluto del disco e si caratterizza per uno straordinario duetto in cui la voce del celebre cantautore si amalgama alla perfezione con quella di Jenny. Altri brani di rilevo sono l'allegra Giramondo e la bellissima Sorridi (Smile) con la riproposizione in lingua italiana del celebre brano di Charlie Chaplin. In generale comunque la prima facciata è di grande livello mentre il lato B del disco è meno scintillante. In ogni caso in ambito pop fine anni Settanta è un disco che merita attenzione ma che, lo dico con rammarico, non piacerà ai fan prog più oltranzisti.
Dopo la pubblicazione del disco omonimo Jenny Sorrenti sparirà dalla circolazione del mercato discografico per molti molti anni. Naturalmente non smetterà mai di comporre e suonare ma senza pubblicare nulla. Solo nel 2001 si deciderà a far uscire un nuovo disco a suo nome. Si tratta di un lavoro che inaugurerà una nuova fase della sua carriera (a parere di chi scrive, la migliore fase della sua carriera)

MEDIEVAL ZONE (2001)
Medieval Zone è un disco che si può inserire nel genere folk celticonapoletano. La ricerca di Jenny l'ha infatti riportata alle sue radici (il padre era napoletano, la madre gallese) e le ha fatto scoprire insospettate somiglianze tra le sonorità del folk celtico e quelle tradizionali della musica napoletana. Inoltre Jenny è andata a ricercare una serie di canzoni popolari anche di altre culture, come quella araba ad esempio, fondendo il tutto in un prodotto che, come già scrissi all'inizio di questo articolo, non è certo inferiore (anzi in molti casi è molto al di sopra) di quello che analogamente ha portato al successo un'artista come Loreena McKennit. L'inizio è emblematico e fonde alla perfezione la tradizione napoletana con quella araba e spagnola medievale: El rey de Francia è infatti cantata in galiziano antico (la riscoperta degli antichi idiomi resterà una costante di Jenny in questa fase della sua carriera). Nel disco ci sono anche brani in inglese e, persino, in latino, senza ovviamente dimenticare l'italiano. Fra i brani in italiano non si possono non menzionare due gemme (su liriche di Sarasole Notarbartolo) come Luna di speranza e Mio caro amore. Due brani molto brevi ma che arrivano dritti al cuore. Da segnalare, inoltre, la title track ispirata ad alcune danze italiane del XIII e XIV secolo. Il suono del violino e la melodia di questo brano rappresentano un'ideale fusione tra la cultura celtica e quella mediterranea, riprendendo in parte anche l'irlandese danza delle spade che ha diverse similitudini con i ritmi della tarantella napoletana. Un cerchio che si chiude, insomma. Oltre ai tradizionali strumenti rock, dunque, il disco è percorso da sonorità di strumenti più tradizionali come la mandola, la fisarmonica o l'arpa. Medieval Zone si chiude con un rifacimento di Suspiro abbastanza simile all'originale. Inoltre il CD presenta una traccia multimediale: il suggestivo videoclip realizzato per la canzone La belle se sit.

In seguito alla pubblicazione del disco Jenny riprende un'attività concertistica che, sebbene non intensissima, l'ha comunque portata in giro un po' per tutta la Penisola. In tutto questo, la matrice folk è stata notevolmente accentuata, anche probabilmente per la presenza nella band del fisarmonicista e musicologo Vincenzo Zenobio e del simpaticissimo e scatenato batterista Marcello Vento (ex Carnascialia e Canzoniere del Lazio) con le sue percussioni etniche autofabbricate. Purtroppo in questo lasso di tempo è anche venuto a mancare Umberto Telesco, compagno di Jenny e autore, tra l'altro, delle foto di copertina dei suoi dischi. La grave perdita ha probabilmente ulteriormente accentuato il lato malinconico e introspettivo della scrittura dell'artista napoletana. Ciò è evidente nell'ultimo (per ora) disco pubblicato

COM'E' GRANDE ENFERMIDADE (2004)
Com'è grande enfermidade si muove sulla falsariga del precedente Medieval Zone accentuando però maggiormente gli aspetti un po' più rockeggianti. A far la parte del leone fra i musicisti che accompagnano Jenny ci sono ovviamente Zenobio e Vento, oltre al bravo chitarrista Stefano De Santis. Il disco è composto da 12 commoventi gemme nessuna delle quali presenta debolezze di sorta. Dovendo proprio scegliere, segnalerei il trittico aperto dalla scintillante Petra's Dream, che prosegue con la ninna-nanna Angelo dell'ammuri per finire con La pazienza, una canzone emblematica probabilmente dello stato d'animo dell'artista ("Non è naturale tutta questa notte/da troppo tempo dura/nasconde il cielo al cuore/e non ti fa più sentire/aprire gli occhi si deve/liberare il sole si deve/mandare via il dolore/aprire gli occhi si deve"). Come detto, il disco non ha alcun punto debole e lascia spazio compositivo anche ai già citati Zenobio e Vento, nello strumentale Balcanico. Insomma uno dei dischi più belli ed emozionanti usciti in questi ultimi anni che non dovrebbe mancare a nessun vero appassionato di musica. Com'è grande enfermidade si conclude con il commovente lirismo della breve Lune impure di cui mi sembra emblematico, in conclusione, riportare il testo senza ulteriori altri commenti (per associarlo alla bellezza della musica consiglio a tutti di recuperare il disco al più presto): "E noi restiamo qui abbandonati/come foglie/che il vento porta via con sé/E noi restiamo qui/ a guardare la luna/perché non esistono lune strane o lune impure/E noi siamo come gli alberi/che non si piegano mai/quelli che hanno le radici nella terra/E noi restiamo qui/sotto l'arco dei sogni/così la pioggia poi non ci bagnerà."

Mastro Gobbetto
luglio 2007

Ultimo aggiornamento (Domenica 01 Novembre 2009 15:42)