L'eterno dibattito sulla genesi del rock progressivo probabilmente non troverà mai una vera soluzione. Tali e tante difatti sono le influenze che hanno portato alla nascita e allo sviluppo del genere musicale che tanto amiamo. Tradizionalmente, il primo vero disco di rock progressivo è considerato In The Court Of The Crimson King, uscito nel 1969, ma è innegabile che anche in precedenza vi fossero stati dischi e gruppi che già presentavano le caratteristiche tipiche del prog. Tralasciando di scomodare i Beatles, si possono citare almeno tre gruppi che, verso la fine degli anni Sessanta, hanno pubblicato dischi che, a parere di chi scrive, possono già essere considerati progressive tout court. Le tre band sono, in ordine alfabetico: Moody Blues, Nice e Procol Harum che, in modi differenti, hanno dato l'avvio alla meravigliosa stagione musicale progressiva. Fra questi, i meno progressivi di tutti sono considerati i Procol Harum (per via della loro influenza in altri ambiti musicali, in particolare quello del pop). Un'analisi dettagliata della loro discografia, tuttavia, può mostrare dei lati assolutamente insospettati e insospettabili.
Siamo nel 1967 e il mercato discografico è letteralmente squassato da un 45 giri firmato da un gruppo chiamato Procol Harum. La canzone, che ebbe un successo a dir poco clamoroso era A Whiter Shade of Pale. Non ho bisogno certo qui di ricordare quanto questo brano sia entrato nell'immaginario collettivo di milioni di persone, tanto che ancora oggi la melodia è straconosciuta anche da chi non abbia la più pallida idea di chi siano e cosa abbiano rappresentato i Procol Harum. Questo anche per via del fatto che la canzone è stata riproposta in più di una versione alternativa. In Italia, ad esempio, molti la conosceranno con il titolo Senza luce, interpretata dai Dik Dik. Il pezzo oltre a definire l'essenza del suono Procol Harum ha in sé degli elementi di novità assolutamente epocali (anche in un'ottica progressive). Anzitutto, la doppia tastiera, con il piano suonato dal leader del gruppo Gary Brooker (autore anche di quasi tutte le musiche e strepitoso cantante) e l'organo hammond suonato da Gary Fisher; un paroliere, Keith Reid, che si occupa unicamente della stesura di testi originalissimi (un precursore di Pete Sinfield?); l'utilizzo di melodie classiche riarrangiate in contesto rock (la linea melodica principale del pezzo deriva nientemeno che da Bach). Insomma, una canzone che rappresenta un perfetto apripista per una sfolgorante carriera. Quella del leader della band, Gary Brooker, era iniziata nel 1962 con una band chiamata Paramounts. Con lui c'erano il chitarrista Robin Trower, il bassista Chris Copping e il batterista B.J. Wilson. I Paramounts erano, sostanzialmente, una cover band R&B/soul. La vita di Brooker cambiò proprio con l'incontro con il paroliere Keith Reid. Un incontro che portò alla nascita dei Procol Harum, cui si unirono l'organista Mathhew Fisher e, in un primo momento, il bassista David Knights, il chitarrista Roy Royer e il batterista Bill Eyden. Il clamoroso successo di A Whiter Shade of Pale, fu doppiato, qualche mese dopo, da quello di un altro singolo dal grande impatto, intitolato Homburg e anch'esso coverizzato in Italia (ne esistono addirittura due versioni con testi differenti, la prima intitolata L'ora dell'amore e portata al successo dai Camaleonti, la seconda intitolata C'era una strada e interpretata dai Diabolici). Per registrare questo secondo singolo singolo, Royer e Eyden furono sostituiti rispettivamente con gli ex Paramounts Trower e Wilson. E' con questa formazione che la band, alla fine del 1967, entra in studio per realizzare il primo album.  

DISCOGRAFIA

 PROCOL HARUM(1968)
Il disco di debutto della band fu registrato “live in studio” e, nella sua prima edizione, non conteneva A Whiter Shade Of Pale, che vi comparve solamente in una ripubblicazione di qualche anno dopo. Si tratta di un disco privo di punti deboli, che però non ottenne il successo spropositato dei due singoli che lo precedettero. La canzone più famosa è senz'altro lo strumentale conclusivo Repent Walpurgis unico brano uscito dalla penna di Matthew Fisher (gli altri sono della coppia Brooker/Reid). Si tratta di un brano talmente bello ed evocativo da lasciare senza parole. L'anima classicheggiante di Fisher ci accompagna in un crescendo dominato dall'hammond, in cui il piano di Brooker si occupa essenzialmente delle rifiniture e Trower si produce in sommessi ma deliziosi interventi alla sei corde. Dopo un intermezzo pianistico, riprende la lenta cavalcata di hammond fino alla conclusione. Ancora oggi è uno dei cavalli di battaglia della band e uno dei brani più conosciuti. Anch'esso è stato coverizzato in Italia. La storia della cover italiana di Repent Walpurgis è davvero particolare. Il brano, cui venne attribuito il titolo Fortuna, venne pubblicato e trasmesso alle radio nella sua versione originale strumentale. L'unica cosa che cambiò fu proprio il titolo. Il fortunato (è proprio il caso di dirlo) inventore del titolo percepì a lungo parte delle royalties del pezzo! In ogni caso solo per la presenza di questo brano il disco varrebbe l'acquisto, ma non è il solo valido dell'intero LP. Il disco si apre con la veloce Conquistador, un brano ideale per aprire dischi e concerti e prosegue con la bellissima She Wandered Through The Garden Fence, che introduce uno schema classico per i brani dei Procol Harum: tema iniziale cantato da Brooker, fase centrale con assolo di hammond (e che assolo!) e ripresa del tema iniziale. Il tutto in poco più di tre minuti di intensa bellezza. Brani più lunghi e complessi sono invece Cerdes (Outside The Gates Of), che si apre con il basso protagonista e prosegue su alti livelli ma in maniera abbastanza inconsueta rispetto allo standard delle altre canzoni del disco; e infine A Christmas Camel che, ad orecchie “sintonizzate” su sonorità progressive, potrebbe apparire il brano più gradito. In sostanza, un grande disco d'esordio che contiene in sé i semi di un'esplosione che arriverà con il successivo lavoro.

SHINE ON BRIGHTLY (1968)
La partenza di questo disco pare in tutto e per tutto simile, nella struttura, a quella del precedente. L'opener Quite Rightly So, uscita anche come singolo, può essere tranquillamente assimilata a Conquistador; mentre la title track (conosciuta in Italia con il titolo Il tuo diamante) riprende, con risultati ancora superiori, lo schema compositivo di She Wandered Through The Garden Fence. Vi sono poi tre brani interlocutori che preludono alla breve, ma splendida Magdalene (My Regal Zonophone). Ciò che rende questo disco immortale e rivoluzionario, tuttavia, è la sua seconda facciata, occupata interamente da una suite suddivisa in 5 movimenti! In Held Twas In I incomincia con Glimpses Of Nirvana, movimento caratterizzato da toni drammatici e con il testo recitato da Brooker, su sonorità che richiamano direttamente la musica indiana. Dopo un'esplosione strumentale si ritorna su toni più pacati ed evocativi che preludono, a seguito di un suono di campane, alla divertente follia di Twas Teatime At The Circus. Riguardo a questa parte della suite, nulla mi toglierà mai dalla testa che i Genesis l'avessero ben presente nel momento in cui composero Willow Farm, all'interno di Supper's Ready. Il terzo movimento della suite, In the Autumn Of My Madness, ci riporta a melodie più consuete per i Procol Harum, con l'organo di Fisher protagonista. Si passa poi a Look To Your Soul, che si apre con una parte strumentale, puramente “progressiva” per arrivare poi al Gran Finale strumentale, con un bellissimo assolo di Trower. La suite è accreditata a Brooker/Fisher/Reid, ma è probabile che Fisher sia responsabile solamente dell'ultimo movimento. Insomma, oltre diciassette minuti di pura magia per quella che, probabilmente può essere considerata la capostipite di molte altre suite rock. In base alla descrizione, chiunque potrà rendersi conto di quanto questo pezzo sia importante e quanto abbia influenzato generazioni di musicisti. Tanto per fare un esempio: Pete Townshend ha più volte affermato come In Held Twas In I abbia rappresentato una delle maggiori ispirazioni per l'opera rock Tommy. La suite ha avuto, recentemente, anche una cover da parte del supergruppo Transatlantic che ne ha realizzato una versione abbastanza fedele (guarda caso si tratta del brano senz'altro migliore del primo disco dei Transatlantic, che spicca decisamente all'interno della precotta e poco originale proposta del gruppo formato da Morse, Stolt, Portnoy e Trewavas). I Procol Harum, comunque, sono ormai all'apice del successo, e di lì a poco, si avviano a registrare il loro terzo disco.

A SALTY DOG (1969)
Si tratta di un disco che presenta numerose novità rispetto ai predecessori. Il brano di maggiore successo è stato senz'altro la title track che altro non è se non la più classica delle song a firma Brooker/Reid, nobilitata da una delle prestazioni vocali più strepitose ed emozionanti di sempre. Una canzone famosissima, che si apre con un canto di gabbiani e prosegue per circa 4 minuti da brividi. Manco a dirlo anche A Salty Dog fu ampiamente coverizzata in Italia, dove ne furono realizzate due versioni: Il marinaio, interpretata da i Fratelli, dai The Beans e da Massimo Ranieri; I giorni sono lunghi interpretata dai Beati. Il disco vede crescere l'importanza, a livello compositivo, degli altri membri, oltre all'introduzione di strumentazione maggiore rispetto a quella spartana dei precedenti lavori. Matthew Fisher compone e canta due brani (che probabilmente sono anche i migliori del disco dopo la title track): Wreck Of the Hesperus e Pilgrims Progress (anch'esso coverizzata in Italia dai Dik Dik, con il titolo Confessioni) e compone insieme a Brooker anche un altro pezzo. Anche Robin Trower, con la sua anima più rock-blues, fa il suo esordio come compositore con ben tre canzoni (molto distanti, come stile e sonorità, dai canoni finora utilizzati dalla band). Il disco però segna un piccolo passo indietro rispetto al suo scintillante predecessore. Forse questo è anche il segnale che i primi contrasti interni stanno nascendo all'interno della band. Il quarto album fu dunque un disco di grandi cambiamenti.

HOME (1970)
I Procol Harum perdono Matthew Fisher (e certo non fu perdita da poco), oltre al bassista David Knights. Quest'ultimo fu rimpiazzato da Chris Copping mentre, per quel che riguarda Fisher, non vi fu rimpiazzo (salvo un tentativo, però fallito, di far diventare organista il paroliere Keith Reid). Le parti di organo, peraltro ridottissime, vennero dunque prese in carico dallo stesso Copping. La formazione che registrò Home era, in tutto e per tutto, quella dei vecchi Paramounts (ma con l'aggiunta dei meravigliosi testi di Reid) e naturalmente lo stile del disco si spostò verso territori assai più rock perdendo, in parte, la vecchia magia. Ma chi pensa che Home sia un disco deludente si sbaglia. Certo, la direzione è cambiata e potrebbe non piacere a molti fans più progressivi, ma il disco ha almeno due gioielli (che poi sono le canzoni che maggiormente richiamano le passate sonorità). Si tratta della drammatica The Dead Man's Dream e della meravigliosa Whaling Stories. Quest'ultima è senz'altro una delle canzoni più progressive della band, sia per le atmosfere, che variano durante il pezzo, che per la lunghezza (oltre sette minuti). Il brano è nobilitato da un devastante e tagliente intervento della chitarra di Trower. In sostanza, Home è un disco interlocutorio e di passaggio, ma che merita qualche ascolto per via dei brani citati. La nuova formazione si è comunque ormai assestata e il nuovo disco porterà a compimento le novità che qui si intravedono soltanto.

BROKEN BARRICADES (1971)
Broken Barricades è senz'altro un buon disco, ma è anche quello in cui il tipico Procol Harum-sound è meno presente. In tutto il disco la chitarra di Robin Trower assume un ruolo preminente, anche nelle canzoni composte da Brooker (l'iniziale stupenda Simple Sister, ad esempio). Da parte sua, Trower regala un'ottima composizione, come Song For A Dreamer e una prestazione coi controfiocchi. Un disco quindi che mostra un diverso lato dei Procol Harum e che merita di essere ascoltato anche se è in assoluto uno dei meno rappresentativi della loro discografia. Tuttavia, come era prevedibile, la crescente importanza di Trower provocò probabilmente dei dissidi che indussero il chitarrista ad abbandonare il gruppo per dedicarsi a una carriera solista che sarà caratterizzata da un grandissimo successo, soprattutto sul suolo americano, grazie a un rock-blues di hendrixiana memoria condito da quella vena malinconica che aveva caratterizzato anche tutte le sue prestazioni sui dischi dei Procol Harum. In seguito all'abbandono del chitarrista Brooker poté riprendere legittimamente il suo ruolo di leader. Anzitutto, Trower fu sostituito con Dave Ball (e la chitarra tornò ad occupare un ruolo di secondo piano nella musica dei Procol Harum). Il ritorno all'antico fu sancito anche dal fatto che Chris Copping iniziò ad occuparsi esclusivamente delle parti di organo, abbandonando il basso, per il quale fu ingaggiato Alan Cartwright. Il successivo disco fu un live registrato in Canada

IN CONCERT WITH THE EDMONTON SYMPHONY ORCHESTRA (1972)
La musica dei Procol Harum sembrava fatta apposta per essere riarrangiata con un'orchestra. Il pericolo, in operazioni come queste, è che l'orchestra sia di mero complemento oppure che il tutto acquisti una dimensione eccessivamente pesante e pomposa. Fortunatamente, questo live è immune da entrambi i difetti, forse anche per l'elevato livello qualitativo dei brani proposti. Fra questi: Conquistador, Whaling Stories (anche se Dave Ball fa un po' rimpiangere Robin Trower), A Salty Dog e l'intera In Held Twas In I (che pur non raggiungendo le vette qualitative della versione originale è sempre un bel sentire). L'esperienza di questo live con orchestra fu trasferita nelle sonorità del successivo disco in cui, alla chitarra, Dave Ball fu sostituito da Mick Grabham.

GRAND HOTEL (1973)
Questo disco è considerato da molti, compreso il sottoscritto, quello complessivamente migliore dell'intera produzione. Grand Hotel è un ritorno al passato, ma ad un passato quasi precedente a quello dei primi dischi. Le nove canzoni che lo compongono (salvo rare eccezioni) suonano superbamente demodé e rimandano all'atmosfera evocata dalla copertina (i sei Procol Harum con frac e tuba di fronte alla facciata bianca di uno di quei vecchi Grand Hotel di lusso). I testi sono, come al solito, incisivi (vedasi, in particolare, TV Ceasar) e gli arrangiamenti con gli archi protagonisti sono presenti quasi ovunque. Il brano migliore è la title track che ha una sezione centrale strumentale assolutamente grandiosa (e molto “progressiva”), col piano di Brooker in evidenza. Altri brani da segnalare sono: A Rum Tale (anche di questo brano fu realizzata una cover in Italia, Storia di una bottiglia di Mimmo Locasciulli), Bringing Home The Bacon e la grandissima, progressiva, Fires (Which Burnt Brightly). Un disco, insomma, abbastanza fuori moda, ma assolutamente da avere. La formazione ormai si è assestata e il disco successivo, sebbene non geniale come Grand Hotel, riportò in auge il gruppo anche nelle classifiche.

EXOTIC BIRDS AND FRUIT (1974)
Il grande successo di questo disco fu dovuto, in gran parte, a quello del singolo Beyond The Pale. In verità si tratta di un brano non troppo ispirato, ma molto orecchiabile e che evidentemente piacque molto. Le perle del disco vanno dunque ricercate altrove. Il capolavoro è rappresentato, soprattutto, da As Strong As Samson, caratterizzato da una melodia e da un ritornello che entrano subito in testa e da una prestazione strumentale degna di nota. Molto buone anche la lunga The Idol (anche se il brano non decolla del tutto) e la conclusiva New Lamps For Old, un brano in puro stile Procol Harum. La ricetta sembra funzionare e dunque il gruppo entra in studio per il terzo disco consecutivo con la stessa formazione.

PROCOL'S NINTH (1975)
Il disco si avvale del successo del singolo Pandora's Box (invero un brano che dice abbastanza poco), ma delude in ogni sua parte. Si tratta senza dubbio del disco più brutto dell'intera carriera della band e probabilmente l'unico di cui mi sento di sconsigliare l'acquisto. Il tentativo di svecchiare il sound non ha né capo né coda, la cover della beatlesiana Eight Days a Week ha francamente poco senso e l'unico brano degno di nota è The Piper's Tune, certamente una canzone ottima, ma che non basta a salvare il disco. L'avventura dei Procol Harum sembra dunque giunta al capolinea ma, prima di scrivere la parola fine (peraltro momentanea) sul gruppo, Brooker ci regala uno strepitoso colpo di coda.

SOMETHING MAGIC (1977)
Un titolo che è tutto un programma, dal momento che, effettivamente, qualcosa di magico è successo davvero. Anzitutto, lascia il gruppo il bassista Cartwright e, per sostituirlo, Chris Copping ritorna al suo strumento originario. All'organo viene dunque chiamato Pete Solley, che si occuperà anche dei synths (che dunque per la prima volta entreranno nei solchi di un disco dei Procol Harum). Something Magic è senz'altro il disco più progressivo della band (arrivato purtroppo fuori tempo massimo rispetto al boom del progressive, ma anche in questo, forse, sta il coraggio di Gary Brooker). Sin dalle brevi, ma intense, Something Magic e Skating On Thin Ice si capisce che siamo di fronte a un lavoro davvero superbo. L'unico brano deludente è il terzo, The Mark Of The Claw (composto dal chitarrista Mick Grabham) ma già con i 6 minuti di Strangers in Space si ritorna su livelli stellari. La seconda facciata, per la seconda volta nella storia del gruppo, è occupata da una suite (questa volta suddivisa in 8 movimenti). Si tratta di una composizione davvero strepitosa, intitolata The Worm & The Tree, in cui non si può che osannare Gary Brooker, sia per l'enfasi con cui recita (non ci sono parti cantate) il mini-racconto allegorico scritto da Reid, sia per quella che, probabilmente, è una delle sue migliori prestazioni di sempre al pianoforte. Un disco meraviglioso che piacerà sicuramente al fan progressivo e che, purtroppo, non ha avuto la considerazione che avrebbe meritato. Something Magic, infatti, era, come detto, del tutto fuori tempo e il suo insuccesso fu probabilmente una delle cause dello scioglimento del gruppo. Dei Procol Harum si tornerà a parlare solo dopo molti anni.

THE PRODIGAL STRANGER (1991)
La gloriosa sigla Procol Harum viene rispolverata solo agli inizi degli anni Novanta. Brooker e Reid si ritrovano assieme a Matthew Fisher e Robin Trower, per ricreare, quasi per intero, la line-up migliore e più amata della band. Il disco è dedicato allo scomparso batterista B.J. Wilson, e si tratta davvero di un buon prodotto, per quanto non un capolavoro. Per la sezione ritmica, i quattro si affidano ad abilissimi session-men come il batterista Mark Brzezicki (che i più attenti ricorderanno ai tamburi ad accompagnare gli inizi della carriera solista dell'ex cantante dei Marillion, Fish) e il bassista Dave Bronze. Da questa reunion escono fuori una dozzina di ottime canzoni in cui anche Fisher (oltre al produttore del disco Matt Noble) si ritaglia un consistente spazio compositivo accanto, ovviamente, a Brooker e Reid. Sebbene non vi siano le clamorose impennate dei primi dischi, non vi sono neanche cadute di tono clamorose e il disco si dispiega piacevolmente per tutta la sua durata, con Brooker che dimostra di aver mantenuta intatta la sua bravura come vocalist, Fisher che non fa mancare il suo strepitoso tocco all'hammond e Trower che, come sempre, trova la giusta misura degli interventi. Come detto non vi sono pezzi che spiccano particolarmente, anche se forse è il caso di citare la bella Holding On, caratterizzata da un inusuale (per i Procol Harum) coro gospel e da un ritornello davvero azzeccato; The Hand That Rock The Cradle e The King Of Hearts si avvalgono di un'ottima prestazione di Fisher; mentre The Pursuit Of Happiness rappresenta il finale carico del giusto pathos ed epicità. In sostanza, un buon disco che segna il ritorno sulle scene di questa leggendaria band. Purtroppo, il ritorno di Trower sarà limitato solo a questo disco e il tour successivo vedrà impegnato, alle chitarre, un altro session man di prestigio: Geoff Whitehorn. Con questa nuova formazione i Procol Harum registreranno un nuovo album live.

ONE MORE TIME (1992)
One More Time è un buon live che è nobilitato da una scaletta davvero d'eccezione. Brani come Shine On Brightly, Homburg, Grand Hotel, A Salty Dog, Whaling Stories e Repent Walpurgis non possono che consigliare l'acquisto immediato del disco. Del vecchio repertorio vengono anche rispolverate, a sorpresa, canzoni come The Devil Came From Kansas, da A Salty Dog, e Whisky Train (da Home), due brani comunque non memorabili e anche dell'ultimo disco la scelta non pare felicissima, con l'esclusione di alcuni brani fra i migliori. Un altro difetto deriva dalla prestazione del chitarrista Whitehorn. Niente da dire sulla perizia esecutiva di questo musicista, tuttavia il suo stile (troppo spesso alla guitar-hero) appare, almeno alle mie orecchie, quanto di più distante possibile dalle atmosfere della musica dei Procol Harum. Emblematica, in questo senso, Whaling Stories in cui il confronto tra la prestazione di Whitehorn e quella originale di Trower è imbarazzante non tanto, come detto, a livello tecnico, quanto a livello di gusto ed emozioni. Nonostante questi difetti, il disco è senz'altro consigliato per la presenza di alcuni grandi classici. Fra questi, particolarmente riuscita è Grand Hotel con uno strepitoso Brooker al piano nella sezione strumentale intermedia. La macchina Procol Harum si è dunque rimessa in moto e, negli anni successivi, ha continuato a proporre una serie di apparizioni concertistiche con alcuni cambi di line-up, che però non hanno lasciato tracce discografiche. Fra i nomi che hanno calcato il palco assieme a Gary Brooker & C. figurano il drummer Ian Wallace (ex King Crimson) e l'organista Josh Phillips che, per un breve periodo, ha sostituito Fisher. Il cambio definitivo di line-up, che porterà poi alle successive pubblicazioni, è però quello che vede il ritorno di Fisher e Brzezicki, nonché l'arrivo, al basso, di Matt Pegg, il figlio del leggendario Dave, bassista di Fairport Convention e Jethro Tull. La successiva prova discografica, comunque, non giungerà prima del 2003.

THE WELL'S ON FIRE (2003)
L'ultimo disco (almeno finora) dei Procol Harum è esattamente quanto un estimatore e conoscitore della band può aspettarsi da Brooker e compagni. Una serie di belle canzoni con grandi prove vocali e all'hammond, e anche con una serie di melodie forse prevedibili e già sentite, ma di sicuro fascino e di innegabile qualità. Come non commuoversi di fronte a brani come The Blink Of An Eye, con un ritornello che arriva dritto al cuore, oppure come Fellow Travellers? Quest'ultima, composta da Fisher, è basata su una rielaborazione del Lascia ch'io pianga di Handel (nella rielaborazione dei pezzi classici, del resto, la band, sin dai tempi di A Whiter Shade of Pale, si è sempre dimostrata maestra). Fra i brani da segnalare anche The Emperor's New Clothes, grazie a un andamento molto simile a A Salty Dog. La conclusione è invece affidata allo strumentale Weisselklenzenacht (The Signature). Anche in questo caso, si può tacciare il tutto di “già sentito” (Repent Walpurgis aveva un andamento e un pathos analoghi a questo brano), ma il brano è talmente bello e coinvolgente che è difficile criticare la scelta. Tra l'altro, questo brano si avvale di un intervento chitarristico di Whitehorn che, una volta tanto, riesce a calarsi perfettamente nell'atmosfera del pezzo, nobilitandolo con un commovente assolo. Di conseguenza, se vi piacciono i Procol Harum, questo disco non dovrebbe mancare nella vostra collezione. Qualche caduta di tono, ovviamente, è presente, ma la qualità complessiva del resto la fa dimenticare in fretta e permette di dare un giudizio moderatamente positivo su questo prodotto.
Per la promozione del disco la band si è lanciata, ancora una volta, in tour. Purtroppo, durante lo scorso 2004, si è dovuta registrare la defezione, ancora una volta, di Matthew Fisher. Il suo posto è stato preso da Josh Phillips (uno con un curriculum di tutto rispetto, avendo suonato con grandi nomi quali Eric Clapton, Midge Ure, Paul McCartney, Phil Collins, Sting, Elton John, Lisa Stanfield, Pete Townshend). Personalmente non ho ancora avuto modo di sentire all'opera il nuovo tastierista e quindi non sono in grado di darne un giudizio. E' certo però che il compito che gli spetta (sostituire Fisher e il suo tocco sopraffino) non è certo facile. L'importante, comunque, è che il nome Procol Harum possa ancora calcare i palchi di tutto il mondo distillando quelle emozioni che, in quasi 40 anni di carriera, hanno attraversato le generazioni.

APPENDICE: VIDEO, LIVE E TRIBUTI
Sono due, attualmente, i DVD sul mercato, entrambi consigliati, seppur con qualche distinguo. Il primo, registrato nel 2001, è intitolato semplicemente Procol Harum Live e vede impegnata la line-up Brooker-Reid-Whitehorn-Pegg-Brzezicki. La scaletta è davvero ottima (assai migliore, ad esempio, del CD live One More Time) e rispolvera anche classici della seconda fase della carriera della band (quella successiva all'abbandono di Fisher): oltre a Grand Hotel si segnalano, infatti, ottime versioni di Fires (Which Burnt Brightly) e As Strong As Samson. Suggestivo anche il ripescaggio della vecchissima A Christmas Camel. Brooker e Fisher sono davvero in serata di grazia, soprattutto l'organista, e Whitehorn riesce a farsi notare il meno possibile (purtroppo non senza rovinare ugualmente Repent Walpurgis con un assolo totalmente fuori posto). Un concerto comunque da da avere assolutamente nella propria videoteca personale. Il secondo DVD, uscito nel 2004, si intitola Live At Union Chapel ed è sicuramente meno interessante. Il difetto maggiore sta in una serata non proprio di grazia di Gary Brooker, che inizia malissimo (con una stentata Shine On Brightly) riprendendosi solo verso la fine con la solita, impeccabile, A Salty Dog. Altri difetti risiedono nel troppo invadente Whitehorn e in una scelta quanto meno discutibile di brani dall'ultimo disco. I Procol Harum, pur eseguendo ben 8 brani da Well's On Fire, hanno inspiegabilmente deciso di escludere dalla scaletta i tre brani migliori di quel disco. In compenso il DVD si chiude alla grande con una versione alternativa, e più lunga rispetto al consueto, di A Whiter Shade Of Pale.
Per quel che riguarda i live usciti postumi occorre segnalare quello relativo alle BBC sessions del 1974, con i brani da Grand Hotel a far la parte del leone. Infine, nella prima metà degli anni Novanta segnalo una sorta di tributo, intitolato Long Goodbye con delle esecuzioni orchestrali di alcuni fra i migliori brani della band, cui partecipò la line-up di quel periodo.
Qualche parola merita di essere spesa anche per la carriera solistica del chitarrista Robin Trower. Come già accennato la proposta (che gli regalò un grande successo negli States) è un rock-blues eseguito quasi esclusivamente in trio (chitarra-basso-batteria). Per quanto il tutto non sia proprio il massimo dell'originalità, la classe e il gusto del chitarrista ci hanno consegnato almeno tre dischi che vale la pena di avere: si tratta di Twice Removed From Yesterday, di Bridge Of Sighs (quest'ultimo un vero e proprio capolavoro che non dovrebbe mancare nella collezione di qualsiasi appassionato di rock) e di For Earth Below. Curiosamente, e forse non a caso, i tre dischi suddetti sono prodotti nientemeno che da Matthew Fisher! Un altro incrocio fra la carriera solistica di Trower e la sua band di origine avverrà nel 1981 nel momento in cui il chitarrista avvierà una collaborazione con il grande bassista Jack Bruce, ex Cream. Nella coppia di dischi che realizzeranno assieme (e che purtroppo non sono sugli stessi livelli di quanto questi due musicisti avevano realizzato nel loro passato) responsabile della stesura dei testi sarà il paroliere dei Procol Harum, Keith Reid. 

Mastro Gobbetto
Dicembre 2007