Spesso considerati, ingiustamente, un gruppo di seconda schiera rispetto alle superstar del progressive degli anni '70 (forse perché hanno avuto un successo commerciale inferiore?), i Camel sono in realtà una delle stelle più fulgide del firmamento prog, grazie ad una discografia di qualità elevatissima e alla loro musica romantica che in oltre 30 anni ha stregato moltissimi appassionati e generato un buon numero di proseliti. Infatti, la proposta del gruppo si avvale di tutte quelle caratteristiche che attraggono gli amanti del rock sinfonico, con brani spesso di lunga durata (a volte legati l'uno all'altro quasi in forma di suite), ampissimi momenti strumentali, in cui i musicisti fanno valere le loro qualità, ed un grande romanticismo di fondo. L'abilità chitarristica di Andy Latimer, deus ex machina della band e padrone di uno stile impeccabile, unita a timbriche assolutamente affascinanti, sarà presa come modello da numerosissimi artisti (specie nel new-prog), che cercheranno di imitare nei loro dischi l'eleganza di questo straordinario musicista.

 Le basi per la nascita dei Camel sono poste il 13 novembre 1968 nella cittadina inglese di Guildford quando il chitarrista e flautista Andrew Latimer (1949), reduce dalle esperienze con il fratello Ian (basso e voce), con Alan Butcher (batteria) e con Graham Cooper (tastiere e voce) nel gruppo blues The Phantom Four, viene a contatto, grazie ad un annuncio sul Surrey Advertiser con il bassista Doug Ferguson. I due musicisti si trovano subito in sintonia, grazie al loro amore verso il blues e alle idee musicali che mostrano di voler mettere in pratica. Il successivo 15 gennaio Ferguson fa conoscere a Latimer il batterista Andy Ward, quattordicenne membro dei Misty, formazione in cui il bassista aveva militato e che aveva suonato in varie scuole e diversi locali. Nascono così i Brew (abbreviazione di Strange Brew, sigla con la quale Latimer si esibiva negli ultimi tempi) ed iniziano a suonare dove capita, cercando di sfruttare tutte le occasioni che gli si prospettano e facendosi così conoscere anche da un produttore tedesco che vorrebbe promuovere il loro esordio, ma questa collaborazione non andrà in porto. In ogni caso, i Brew continuano a suonare con una certa frequenza e impiegano numerose ore della giornata a comporre materiale nuovo, alla ricerca di un sound che li personalizzi rispetto agli altri gruppi in circolazione. La band riesce anche a realizzare un nastro dal titolo "Crossroads" e nel 1971 la Dick James Organization sembra interessata a produrli, ma i Brew capiscono ben presto che le intenzioni della label sono semplicemente quelle di far suonare i musicisti come session-men in supporto al cantautore Philip Goodhand-Tait, sia in studio che dal vivo. Così, subito dopo aver suonato per l'album "Think I'll write a song", la collaborazione si interrompe ed il trio prosegue per la sua strada, conscio che il talento per emergere c'è.

I Brew, a questo punto, vanno alla ricerca di un tastierista, mettendo un nuovo annuncio sulla famosa rivista musicale Melody Maker e la scelta cadrà su Peter Bardens, talentuoso musicista che si era già fatto un nome nella scena rock grazie ad una discreta esperienza e a diverse collaborazioni: nei sixties, infatti, dopo aver suonato con gli Hamilton King's Blues Messengers (1962) e con Mick Fleetwood nei Cheynes (1963-1965), entra a far parte dei Them di Van Morrison, prima di fondare un proprio gruppo dal nome Peter Barden's Looners che non avrà troppo successo. Ma l'irrefrenabile tastierista continua a darsi da fare e suona rhythm & blues con gli Shotgun Express nel 1966 (nelle cui fila figurano anche future stelle quali Fleetwood, Peter Green e Rod Stewart), per poi passare ai Love Affair, al Mike Cotton Sound e ai Global Village Truckin' Co. con cui suona per due anni e mezzo, fino al 1970. Ottenuto un contratto con la Transatlantic, realizza nel mese di settembre il suo esordio solista intitolato "The answer" (tra gli altri, vi suona Peter Green). Nel luglio del 1971 arriva anche il bis con Peter Bardens, al quale segue la partecipazione al secondo album dei Marsupilami "Arena", di cui il tastierista cura anche la produzione. Sempre nel 1971 viene creato il gruppo On, ma il successo vero e proprio non vuole arrivare, così Bardens è tentato di andare negli Stati Uniti e cercare di suonare e sfondare nel Nuovo Mondo, ma prima di decidersi vuole tentare un ulteriore carta rispondendo all'annuncio dei Brew, che lo aveva incuriosito.

Il 20 settembre 1971 i quattro musicisti si incontrano ad Hampstead e Peter supera brillantemente il provino esibendosi alla grande all'organo Hammond e impressionando notevolmente Latimer, Ferguson e Ward con la sua abilità. Il quartetto così formato si trasferisce per un po' in Irlanda, e i musicisti suonano per la prima volta insieme dal vivo l'8 ottobre a Belfast, presentandosi come Peter Bardens' On, per liberarsi dai doveri contrattuali che il tastierista deve ancora adempiere con la Transatlantic. Dopo un minitour ritornano in Inghilterra e nel mese di novembre cambiano definitivamente il nome in Camel (la cui origine è ancora oggi incerta) suonando per la prima volta con tale sigla, come supporter dei Wishbone Ash, al Waltham Forest Technical College di Londra il 4 dicembre 1971. Continuando a suonare con i Wishbone Ash, gruppo che va per la maggiore in questo periodo, incontrano Geoff Jukes che diverrà il loro manager e, grazie ad alcuni passaggi radiofonici per la trasmissione Sound of the Seventies e ad una presenza al programma della BBC Old Grey Whistle Test, cominciano a farsi notare. Diverse case discografiche si mostrano interessate a metterli sotto contratto e alla fine è la MCA che si accorda con il gruppo, mettendo a disposizione, nell'agosto del 1972, i Morgan Studios di Willesden, a nord di Londra, per la registrazione del loro primo album.
Registrazione che però va un po' per le lunghe, vista l'inesperienza della band per queste cose e tenendo conto anche del tempo perso nel tentativo di trovare un cantante di ruolo. Il produttore Dave Williams, infatti, dopo alcuni giorni di prove, consiglia loro di inserire un vocalist in formazione, ma i numerosi provini organizzati a tale fine non hanno successo e i Camel decidono di proseguire in quattro, trovando anche l'occasione di suonare dal vivo come supporto dei Barclay James Harvest nei mesi di novembre e dicembre. Nel febbraio del 1973 esce finalmente il primo disco, "Camel" (con Bardens che figura come ospite, visti gli ultimissimi impegni contrattuali con la Transatlantic), un bel lavoro che tra echi del sound canterburiano, elegante pop-rock sinfonico e indizi del progressive romantico che in futuro renderà famosa la band, comincia a mostrare le ottime capacità di questi musicisti. In particolare si comincia a delineare come l'accoppiata Latimer-Bardens sia fondamentale ed affiatata, sia nel songwriting, sia nell'esecuzione dei brani, che presentano quei duetti e quegli intrecci tra chitarra e tastiere che saranno un marchio di fabbrica nel prossimo futuro. Inoltre, vista l'assenza di un cantante di ruolo, è il chitarrista, che suona anche il flauto, ad incaricarsi delle parti vocali, anche se è la musica l'attrattiva principale.

 Per promuovere il disco, i Camel iniziano subito ad andare in concerto, aprendo, in primavera, per i compagni di etichetta Stackridge. Un'esibizione particolarmente ricordata è quella dell'8 ottobre, alla manifestazione Greasy Trucker Party, tenutasi al Dingwall's Dance di Londra, in cui i Camel suonano insieme a Gong, Henry Cowe Global Village Trucking Co. Questo concerto sarà immortalato su un disco doppio, oggi abbastanza raro, dal titolo "Greasy truckers: Live at Dingwall's Dance Hall", che vedrà la luce diversi anni dopo ed in cui i Camel sono presenti con un brano inedito, che è God of light revisited. Questa composizione, che sull'album figura come Lord of light revisited e che sarà poi inserita su dei live ufficiali dei Camel moltissimi anni dopo, è in realtà una versione riveduta di una canzone scritta da Bardens per il suo già citato disco di debutto solista The answer, e rappresenta un cavallo di battaglia dal vivo per il gruppo nei primi anni di attività. Tornando all'LP con il quale i Camel hanno appena esordito, è da rimarcare come questo non ottenga il successo sperato, visto che le vendite non sono soddisfacenti, specie negli Stati Uniti, e i musicisti si trovano costretti a sbarcare un po' il lunario per proseguire la carriera. La critica è però abbastanza favorevole (il Melody Maker in particolare comincia a prendere in simpatia il gruppo e sarà sempre un buon sostegno negli anni a venire), ma intanto i Camel cambiano etichetta passando alla Gama Records, appena creata da Jukes insieme a Richard Thomas e Max Hole; i tre, grazie alla nuova label che opera in collaborazione con la Deram, succursale della Decca, decidono di realizzare e promuovere il secondo album.

Dopo un periodo che vede i Camel impegnati tra esibizioni dal vivo e lavoro in studio, l'1 marzo 1974 è pubblicato "Mirage", disco prodotto da David Hitchcock (proveniente da esperienze con Genesis e Caravan) con cui l'orientamento vira verso un rock più romantico, di pregevole fattura, che si mantiene elaborato con variazioni di tempo e lunghi passaggi strumentali, dalle belle melodie e con atmosfere pacate e fiabesche. Latimer e Bardens si confermano gli autori principali della musica e sono ormai i punti fermi e le menti che guidano i Camel. La copertina, troppo simile ai pacchetti delle sigarette che hanno lo stesso nome del gruppo, genera non poche polemiche e la Janus (etichetta con la quale il gruppo si accorda per la pubblicazione dei dischi in Canada e negli States) obbliga a cambiare il logo per l'edizione americana. Trovata questa soluzione, la Janus cerca poi di sfruttare la situazione attraverso una promozione delle sigarette durante i concerti, accordandosi con i colleghi inglesi, ma tenendo il gruppo all'oscuro del tutto. Quando i musicisti si accorgeranno della cosa l'accordo salta. Le soddisfazioni arrivano a metà: critica e pubblico decretano la buona riuscita di Mirage; non solo il Melody Maker, ma anche Sounds e Beat Instrumental tessono continui elogi al Cammello. Eppure, dopo concerti in Francia e Germania nei mesi di aprile e maggio, ed un buon numero di recensioni altamente positive, si deve riscontrare che le vendite dell'album, pur sufficienti, non sono quelle sperate e che i passaggi radiofonici sono abbastanza scarsi, stante l'assenza di un singolo trainante. Tuttavia, quando le incertezze cominciano a crescere, giunge a sorpresa la notizia che Mirage il 30 novembre entra in classifica negli States, al 149° posto di Billboard (rimarrà nelle chart per 13 settimane). I Camel non vogliono lasciarsi sfuggire la ghiotta occasione ed organizzano subito dei concerti negli USA attraverso i quali saranno impegnati fino a dicembre come supporter di Kiss, Steppenwolf e Wishbone Ash. Ma c'è di più: su consiglio di Geoff Jukes, il gruppo, per farsi conoscere ancora di più, dopo queste esibizioni, intraprende un tour di altri tre mesi come star principale, così da cominciare ad avere una maggiore visibilità in quasi tutti gli Stati. Verso la fine dell'anno, nelle ultime tappe in quel di Miami, i Camel cominciano anche la preparazione del nuovo album, ragionando attentamente sulla direzione da intraprendere e sui contenuti.

Tornati finalmente in patria, proseguono i progetti per il nuovo lavoro e tutti sembrano d'accordo con l'idea di realizzare un concept-album che prenda spunto da qualche opera letteraria. Il gruppo vuole lavorare con estrema calma e si rifugia in un cottage nel Devon. Vengono lanciate le prime idee: Bardens, appassionato lettore del tedesco Herman Hesse, propone Siddharta e Il lupo della steppa e non poteva mancare la proposta relativa a Il signore degli anelli di Tolkien, avanzata da Ward. Alla fine la spunta un libro di fiabe per bambini di Paul Gallico, dal titolo The Snow Goose ed apprezzato in particolar modo da Ferguson e Latimer. Ambientato nella Dunkerque colpita dalle battaglie della Seconda Guerra Mondiale, The Snow Goose racconta le vicende di Rhayader, guardiano del faro dell'Essex, che cura le ferite di un'oca delle nevi trovata dalla amata Fritha. Il finale malinconico vede la morte di Rhayader nel tentativo di salvare con la sua barca alcuni soldati inglesi, con l'oca, che, dopo aver assistito al tragico evento, si reca da Fritha per l'ultimo saluto prima di volare via per la sua strada. In un paio di settimane il nuovo album viene scritto ed il gruppo si rende subito conto di aver realizzato qualcosa di speciale. Nel tentativo di dare ulteriore spessore al lavoro, il management dei Camel prova anche a contattare Gallico, per cercare una sorta di collaborazione, magari facendogli scrivere qualche nota in copertina e vagliando l'opportunità di inserire delle parti narrate che traggano spunto dal libro e di vendere la stessa opera letteraria insieme al disco. Tuttavia, ad alcuni problemi contrattuali si aggiunge il fatto che Gallico, da accanito non fumatore, crede erroneamente che il gruppo sia in qualche modo legato all'industria delle sigarette; così nega il suo beneplacito e non rende possibile quest'operazione. Per questo motivo il disco è solo strumentale e contiene nel titolo la dicitura Musica ispirata da, con la completa rinuncia, quindi, a spunti testuali tratti dal libro.
Da pochissimo i Genesis hanno terminato il missaggio di "The lamb lies down on Broadway" agli studi Island, così sembra quasi di assistere ad una sorta di ideale passaggio di testimone ai Camel, che vi entrano per registrare il nuovo album, che, prodotto ancora da Hitchcock, viene pubblicato nell'aprile del 1975, ottenendo stavolta ottimi risultati, visto che in breve tempo raggiunge il n° 22 delle classifiche inglesi. Il disco è meraviglioso ed accentua i toni fiabeschi, splendidamente costruiti dall'unione dei delicati suoni di flauto, chitarra e tastiere e dalla discreta presenza dell'orchestra, i cui arrangiamenti sono curati da David Bedford (reduce dalla collaborazione con Mike Oldfield). Anche in USA il disco ha un discreto esito, con il 162° posto nelle chart, e viene organizzata una nuova tournée che inizia il 19 luglio. Nel tentativo di promuovere ulteriormente il lavoro viene pubblicato anche un 45 giri contenente i brani Flight of the Snow Goose e Rhayader, ma i passaggi radiofonici continuano a latitare nonostante la buona accoglienza del pubblico ai concerti e le buone aspettative che mostrano i lettori del Melody Maker votando i Camel come speranza più brillante dell'anno. Il nuovo tour inizia in Olanda e, incoraggiato dalle buone accoglienze e dal felice momento, il gruppo organizza una data speciale ad ottobre, alla Royal Albert Hall di Londra, in cui si fa accompagnare dalla London Symphony Orchestra diretta da Bedford per l'esecuzione dell'intero "The Snow Goose". La performance, molto apprezzata in platea, viene registrata e sarà pubblicata nel 1977, quando vedrà la luce il primo disco live dei Camel.

Con i continui riconoscimenti cominciano anche le pressioni della casa discografica, che inizia a spingere sia per un maggior inserimento di parti cantate che per dare un seguito immediato a "The Snow Goose", così il gruppo si immerge nel lavoro ed in breve tempo incide il nuovo disco. In sei settimane la nuova prova discografica, registrata agli studi di Basing Street, sotto la supervisione del produttore Rhett Davies, è pronta ed anche se si sceglie di non seguire più la strada di un album tematico e ritornano i brani cantati, i risultati si rivelano nuovamente ottimi. "Moonmadness" esce nella primavera del 1976 ed è composto da diverse canzoni, alcune lunghe, con momenti strumentali di grande effetto, altre più brevi, delicate e dirette. Rimane il grande romanticismo ed una vena di malinconia pervade il disco, che ottiene un buon 15° posto in patria, pur non rimanendo a lungo in classifica, nonostante il nuovo tentativo di promozione attraverso un 45 giri contenente Another night e Lunar sea.

L'attività dei Camel continua intensamente, a fine anno sono già in studio per le registrazioni del successore di "Moonmadness", ma proprio all'inizio del 1977 Doug Ferguson, che comincia a non essere d'accordo sugli orientamenti di Latimer e Bardens, decide di lasciare la band e va a formare gli Head Waiter, prima di entrare a far parte dei Mungo Jerry. Per ovviare all'inattesa defezione Latimer comincia a suonare le parti di basso nei brani Skylines e Tell me, ma la band non rimane immobile e va alla ricerca di un nuovo bassista da integrare in formazione. L'idea è quella di contattare Richard Sinclair, affermato professionista, cantante dalle eccellenti doti vocali e maestro del suo strumento, noto per i suoi trascorsi canterburiani, visto che è stato uno dei celebri componenti dei mitici Wild Flowers e che ha suonato con i Caravan e con gli Hatfield and the North. Dopo lo scioglimento di questi ultimi, Sinclair si era preso un periodo di pausa, ma la gran voglia di ritornare sulle scene fa sì che accetti di buon grado la proposta dei Camel e a febbraio entra a far parte della line-up. Partecipa così anch'egli alle registrazioni del nuovo album prodotto nuovamente da Rhett Davies, e il risultato finale è "Rain dances", pubblicato nel settembre del 1977 e contraddistinto da un orientamento vicino a certo jazz-rock, pur senza perdere le ormai caratteristiche linee melodiche, da sempre punto di forza del gruppo. In effetti, spinti probabilmente anche dall'entrata di Sinclair, attivo da anni nella "Scuola di Canterbury", e tenendo conto anche della partecipazione alle registrazioni di artisti quali Mel Collins (che si era già fatto valere nella ultima tournée della band e che è stato collaboratore, tra gli altri, di Eric Clapton, King Crimson e Alvin Lee) ai fiati e Brian Eno, i Camel realizzano un album un po' più ricercato e variegato rispetto al passato, giungendo ad accentuare il celebre equivoco (apertosi già col disco d'esordio) sull'appartenenza o meno al filone canterburiano. Il disco vende benino, raggiungendo il 20° posto delle classifiche inglesi ed i Camel non esitano a promuoverlo con un ennesimo tour in Gran Bretagna e in Europa (che ottiene grande successo e a cui partecipa anche Collins, che comunque figura, così come succederà in futuro, come membro esterno) e con il singolo Highways of the Sun/Tell me, che però non riesce a vendere troppo. In effetti, ciò di cui i Camel sono sempre stati rimproverati dalla casa discografica è proprio la mancanza di un 45 giri commerciale, che potesse essere diffuso dalle radio e che sollecitasse l'acquisto degli album. Ma la coppia Latimer-Bardens (ed in seguito il solo chitarrista) ha sempre mostrato una cocciutaggine ed una personalità molto forte, prediligendo sempre la voglia di realizzare buona musica, cercando quindi sempre la qualità, a costo di non seguire le tentazioni commerciali cui le continue pressioni potevano spingere. Anche per questi motivi, a contrapporsi ad una discografia di eccellente livello c'è sempre stata la mancanza di un completo raggiungimento del successo tra il grande pubblico.

Nell'aprile del 1978 si decide che è il momento di celebrare l'attività del gruppo con un album dal vivo e viene pubblicato il bellissimo doppio LP "A live record". Il primo disco contiene diverse registrazioni sia dell'ultima line-up che di quella precedente, con splendide versioni di brani ormai diventati dei classici. Il secondo presenta invece la succitata performance londinese con l'ausilio dell'orchestra per l'esecuzione di "The Snow Goose". Sembra che la band non risenta delle difficoltà che in questo periodo attanagliano i gruppi progressive, visto l'ormai affermatosi movimento punk e l'inaridimento creativo di molti artisti particolarmente in voga fino a pochissimi anni prima, eppure già da un po' di tempo le cose non sono così rosee all'interno del gruppo. Infatti, Latimer e Bardens cominciano ad avere i primi screzi, non solo a causa delle diversità caratteriali, ma anche per le idee differenti riguardo le scelte da seguire per il futuro dei Camel. Bardens vorrebbe infatti "americanizzare" il sound del gruppo, proponendo uno stile à la Santana, ma Latimer è fortemente intenzionato a proseguire il percorso intrapreso, con la loro attitudine musicale decisamente più "inglese". Si arriva al punto che il tastierista decide di abbandonare il gruppo il 30 luglio, al termine delle registrazioni del nuovo lavoro. Del clima tutt'altro che disteso risente l'album album "Breathless" (registrato in tre studi differenti con la produzione ad opera di Mick Glossop), che vede la luce nel settembre del 1978 e che, pur raggiungendo livelli qualitativi più che soddisfacenti, grazie alla consueta eleganza, e pur contenendo perle di gran bellezza, risulta un po' frammentario e non convince completamente. Viene infatti dato meno spazio a quei lodevoli passaggi strumentali che erano sempre stati una caratteristica del gruppo e qualche scelta più commerciale rispetto al passato fa storcere un po' il naso. Nonostante Bardens e Latimer non si perdano di vista, tra di loro ormai qualcosa è cambiato ed il futuro mostrerà due artisti che probabilmente si stimano a vicenda e il cui affetto reciproco rimarrà immutato, ma anche se non si odiano, di sicuro nemmeno si amano più. Latimer non perdonerà mai del tutto l'abbandono di Bardens, così come resterà molto deluso quando il tastierista venderà dei vecchi nastri e live-tapes senza il consenso della band.

Mentre Bardens, dopo la collaborazione con Van Morrison in "Wavelenght" e l'esperienza con i Keats, si dedica alla carriera solista, i Camel rimasti iniziano la ricerca di un nuovo tastierista. Alla fine si va anche oltre, visto che, su spinta di Sinclair, la scelta cade su due musicisti: David Sinclair, cugino di Richard, e Jan Schelhaas, entrambi reduci dall'esperienza con i Caravan. In realtà David accetta solo la partecipazione al tour (anche se suona su due brani di "Breathless"), ma giornalisti e fan ricamano facilmente sulla ormai continua collaborazione tra i due gruppi e sui numerosi punti di contatto, al punto che si parla spesso scherzosamente di Caramel (e sembra che anche che Latimer abbia pensato seriamente di adottare questa sigla). Questa spettacolare line-up fa il suo esordio sul palco il 10 settembre al Fairfield Hall di Croydon, alla cui performance contribuisce anche il cantante Michael Chapman come ospite, e gira il Regno Unito fino al 14 ottobre. Il gruppo prosegue il tour dapprima in Europa per poi volare nella terra del Sol Levante e in seguito nel Nord America. Dopo il grande successo di tale tournée, all'inizio del 1979, questa formazione favolosa si disintegra, visto che all'abbandono previsto di David si aggiunge quello di Richard (entrambi ritorneranno nei Caravan in futuro), che un po' in difficoltà per la vita on the road ed un po' in disaccordo sulle scelte artistiche, viene invitato a lasciare. Lo stesso Collins comunica che è ancora disposto a collaborare, ma soltanto occasionalmente, poiché è indaffaratissimo con i suoi numerosi impegni. Nuovamente Latimer e Ward sono di fronte a cambiamenti netti e devono decidere con chi proseguire la loro avventura. Il primo nuovo innesto, per il ruolo di bassista, risponde al nome di Colin Bass (ex Clancy e reduce dalla collaborazione con Steve Hillage, ex Gong), valido musicista, il cui sodalizio con Latimer durerà fino ai giorni nostri, salvo una piccola pausa negli anni '80. Il chitarrista, che ormai ha le redini del gruppo in mano, è inoltre affascinato dall'idea di continuare con due tastieristi, viste le potenzialità che una simile formazione potrebbe sfruttare, così ad affiancare Schelhaas viene reclutato anche Kit Watkins, keyboards-wizard degli statunitensi Happy the Man, strepitosa band che ogni progster dovrebbe conoscere. Con la nuova line-up, a partire dall'estate del 1979, i Camel cominciano le registrazioni del nuovo lavoro ai Farmyard Studios di Little Chalfont nello Berkshire ed anche Phil Collins dei Genesis fa una breve comparsa suonando le percussioni (senza dimenticare comunque anche l'apporto di Mel Collins). Da aggiungere, inoltre, che alla stesura dei testi partecipano John McBurnie e Viv McAuliffe. Verso la metà di ottobre "I can see your house from here", prodotto da Rupert Hine, viene pubblicato e si tratta di un album che vede un maggiore utilizzo della forma canzone rispetto ai precedenti dischi, alternando alti e bassi, ma che si chiude con il brano spettacolare Ice, 10 minuti di estasi totale per i quali non basterebbe nessun superlativo, opera strumentale di straordinaria bellezza, con la chitarra di Latimer incantevole come non mai. Tuttavia, i tempi sono ormai cambiati e l'album non riesce ad ottenere lo stesso successo dei precedenti nonostante la pubblicazione quasi in contemporanea del maxi-singolo Remote romance (in versione editata), di quella del 45 giri Your love is stranger than mine/Neon magic nel febbraio successivo ed una lunga e fortunata tournée che, iniziata in Gran Bretagna e nell'Europa Occidentale si conclude trionfalmente con le tappe in Giappone e negli USA.

Il 1980 passa senza troppi sussulti, anche se i Camel hanno praticamente pronto il nuovo lavoro, che viene portato in concerto in alcune date in dei locali olandesi, dove il gruppo si esibisce in incognito sotto la sigla Desert song. Nel mese di settembre, quando il nuovo materiale è stato ormai assimilato e ritoccato dove necessario, iniziano le registrazioni agli studi di Abbey Road, dove Latimer & co. incontrano Alan Parsons e i musicisti che collaborano con lui per l'album "Eye in the sky". Questa conoscenza risulterà importante negli anni a seguire, visto che alcuni di questi coadiuveranno Latimer in futuro per alcuni progetti legati ai Camel. Tornando al nuovo lavoro della band, si ha un ritorno alla formula del concept-album e ad una musica più chiaramente progressive, recuperando quel romanticismo che si era in parte perso nelle ultime prove. I testi sono stavolta scritti da Susan Hoover, compagna di Latimer dal 1976, che prende spunto dalla storia vera di Hiro Onada, militare giapponese della Seconda Guerra Mondiale, dato per disperso nel Pacifico e ritrovato poi nelle Filippine nel 1974, ancora convinto che il terribile conflitto fosse in pieno svolgimento. Fu necessario l'intervento di un suo vecchio superiore perché si rendesse conto di come le cose fossero cambiate, eppure Onada non si adattò mai alla nuova situazione. I Camel hanno intanto un nuovo tastierista, il sudafricano Duncan Mackay (ex Freedom's Children, Alan Parsons Project e 10CC, oltre che autore di una manciata di album solisti), visto che sia Schelhaas che Watkins, impegnati in dei progetti solisti, hanno abbandonato, nonostante una piccola partecipazione del primo al nuovo disco. Collaborano anche Herbie Flowers, proveniente dagli Sky, alla tuba, Chris Green al violoncello e il nigeriano Gasper Lawal che suona le percussioni su Changing places. Si segnala inoltre anche che Latimer comincia ad allargare ulteriormente il suo ruolo, impegnandosi, oltre che come di consueto alla chitarra, al flauto e alle parti vocali, anche con alcune parti tastieristiche e al koto, strumento giapponese. E' il gennaio 1981 quando Nude, prodotto da Tony Clark e Haynd Bendall, vede finalmente la luce, ottenendo un buon riscontro. Come ormai d'abitudine, al nuovo disco segue la tournée, che vede stavolta coinvolti Latimer, Bass, Ward, Watkins e Schelhaas. In ogni caso, Nude non è l'unica uscita discografica dell'anno, dato che viene pubblicata anche un'antologia, in occasione del decennale della band, intitolata "Chameleon - The best of Camel". Il momento sembra positivo, eppure in realtà le cose non vanno per il verso giusto: col ritorno all'album a tema, Latimer sperava di rinverdire i fasti di "The Snow Goose", ma se i risultati in termini qualitativi sono ampiamente positivi, d'altra parte i tempi sono cambiati e c'è scarso interesse verso simili proposte musicali. A rendere ulteriormente difficile il momento sorgono altri problemi: a maggio, infatti, viene comunicato che a causa di una brutta ferita alla mano Andy Ward è costretto a sospendere il suo apporto. In realtà, come confesserà lo stesso Ward in un'intervista a The Q Magazine una decina di anni dopo, il batterista è entrato nel giro della droga e dell'alcool e l'abisso in cui è sprofondato lo ha anche spinto ad un tentativo di suicidio tagliandosi le vene. Scampato il pericolo, è comunque in condizioni tali da non poter proseguire l'attività professionale e i Camel si vedono costretti a cercare un sostituto. Ward prova ugualmente a portare avanti la sua carriera di musicista suonando in gruppi minori, ma non tornerà mai ai fasti del passato, nonostante le esperienze, il più delle volte fugaci, con Marillion, Richard Sinclair, Mirage (con Bardens) e Bevis Frond.

E' il momento più delicato della storia del gruppo: viste le condizioni di Ward, Bass non crede che i Camel possano proseguire la loro carriera e si trasferisce a Parigi, Mackay è preso in vari altri progetti musicali, Schelhaas preferisce tornare nell'area canterburiana… Resta il solo Latimer, che però ha la ferma volontà di andare avanti. Il chitarrista e la Hoover cominciano perciò a scrivere il materiale per il nuovo album. Registrato negli stessi studi di "Nude", "The single factor" vede una line-up completamente rivoluzionata: l'ormai unico superstite della formazione originale ha voluto cambiare notevolmente le carte in tavola ed è coadiuvato stavolta da numerosi musicisti, alcuni dei quali reduci dall'esperienza con l'Alan Parsons Project (il bassista Dave Paton, ex Pilot e il cantante Chris Rainbow). Partecipano inoltre Anthony Phillips, ex chitarrista dei Genesis che nell'album suona soprattutto le tastiere, Francis Monkman all'harpsichord (ex Curved Air e Sky) Haydn Bendall alle tastiere, Tristan Fry al glockenspiel, Jack Emblow alla fisarmonica e i batteristi Dave Mattacks (ex Fairport Convention e Steeley Span), Simon Phillips (Mike Oldfield, Who, Toto, Jeff Beck) e Graham Jarvis (Cliff Richards). Si segnala anche la collaborazione di Bardens per un brano, Sasquatch, dedicato ai piedi di Latimer (!!!), strumentale che sarà un cavallo di battaglia nelle esibizioni live. L'album, uscito il 7 maggio del 1982, è il più pop e il più debole della discografia dei Camel, a causa di una certa discontinuità che mostra una non indifferente confusione di idee, eppure non mancano alcune perle come Selva e l'accoppiata A heart's destre/End peace, brani in cui si coglie la grande delicatezza e la pastoralità conferita da Phillips. In effetti, Latimer attraversa un momento difficile dovuto non solo alle mutate condizioni della discografia, ma anche allo shock che gli crea il pensiero dei problemi che attanagliano l'amico Ward. In ogni caso, il gruppo è pronto per partire in tournée, che inizia il 16 maggio all'Empire Theatre di Liverpool e che vede impegnati, oltre Latimer, anche Paton, Rainbow, il rientrante Kit Watkins, un secondo chitarrista, Andy Dalby (ex Vapour Trails) ed il batterista Stuart Tosh (ex Pilot e 10CC). Il giro dei concerti prosegue nel Regno Unito e poi con le tappe europee in Francia, Olanda, Scandinavia e Spagna. Esce anche un 12'' contenente quattro canzoni dall'album (tra cui una versione edit di You are the one, che apparirà poi nella versione cd di The single factor), che non ottiene grande successo e diventerà, in futuro, un pezzo da collezione.

Quando è il momento di pensare ad un nuovo lavoro, Latimer prova a recuperare lo spirito dei lavori precedenti e restringe un po' il numero dei musicisti per il nuovo album. Inizia in questo periodo una fruttuosa collaborazione con Ton Scherpenzeel, eccellente tastierista olandese della prog-band Kayak, personaggio che si mostra subito in completa sintonia con il leader dei Camel. Tuttavia Scherpenzeel ha una fobia incredibile degli aerei ed è soprattutto Latimer a spostarsi continuamente all'estero per rendere possibile tale collaborazione. Oltre il tastierista, alle registrazioni del disco, che sono effettuate a Londra e Los Angeles, partecipano Paul Burgess (ex Steeley Span) alla batteria e nuovamente Bendall, Paton, Rainbow e Collins. "Stationary traveller", che esce il 3 aprile del 1984, risulta un buon disco, incentrato sulle tematiche riguardanti il Muro di Berlino e su una musica in cui romanticismo e malinconia sono ripresi con grande intensità; la vena pop resta, ma è conferita con tale classe che risulta estremamente godibile, nonostante un sound che risente del trend degli anni '80. Tra le varie canzoni presenti, non si può non citare la title-track, strumentale enfatico di circa cinque minuti che prova ad essere una nuova Ice, con la chitarra piangente del leader che va diritta al cuore. Il conseguente tour intrapreso per i mesi di aprile e maggio in Gran Bretagna ed Europa mostra una band (Latimer, Rainbow, Burgess, Scherpenzeel, più il ritorno di Bass e la presenza del tastierista Richie Close) in grandissima forma ed una incantevole esibizione all'Hammersmith Odeon di Londra l'11 maggio 1984 viene registrata ed immortalata su un nuovo album dal vivo, dal titolo "Pressure points". Di questo concerto viene pubblicata anche una videocassetta, che contiene brani in più rispetto al disco e si segnalano anche le apparizioni di Bardens, che suona l'organo, e di Collins al sax su Fingertips. Ma sono gli ultimi colpi di una band che non ha del tutto superato un momento difficile; Latimer è ancora scosso dalle difficoltà di Ward e ci sono altri problemi, alcuni riguardanti il rapporto discografico con la Decca, che portano allo scioglimento del contratto nel 1985, altri riguardanti, invece, questioni di royalties che causano anche noie legali. Tutte queste situazioni non fanno altro che indirizzare verso l'inevitabile conseguenza dello smembramento della band.

Nonostante tutti questi problemi e nonostante il fatto che le pressioni della casa discografica erano state negli ultimi anni pesantissime, Latimer non si dà per vinto e comincia a scrivere del nuovo materiale nel 1985, che è già pronto nel mese di dicembre. Tuttavia, quando l'anno successivo va alla ricerca di un'etichetta che pubblicasse il lavoro incontra mille difficoltà, così, per evitare il ripetersi della situazione in futuro, il chitarrista e la Hoover adottano una soluzione particolarmente coraggiosa: nel 1988 vendono la loro casa inglese e si trasferiscono in California, dove costruiscono uno studio di registrazione grazie al quale sarà possibile realizzare il nuovo materiale senza alcun tipo di forzatura, ma facendo affidamento unicamente alla propria creatività. Latimer termina la composizione del nuovo disco, ma le cose inizialmente vanno molto al rilento ed i Camel sembrano ormai quasi nel dimenticatoio, eppure le registrazioni del nuovo lavoro partono nel 1991, con il leader della band che è coadiuvato ancora da Bass e da Scherpenzeel. Oltre i due affiatati compagni d'avventura, partecipano anche il tastierista Don Harris, i batteristi Burgess e Christopher Bock, nonché David Paton e Mae McKenna alle parti vocali e Neil Panton, Kim Venaas e John Burton ai fiati (rispettivamente oboe, armonica e corno francese). Terminate le registrazioni comincia la ricerca di una casa discografica disposta a pubblicare il disco, cosa che si rivela praticamente un'impresa. Visti gli ostacoli, Latimer si arma di ulteriore coraggio e, sempre in collaborazione con la Hoover, fonda la Camel Productions, label con la quale proporranno il loro materiale (anche d'archivio) in futuro. La prima pubblicazione è questo album ormai pronto da tempo, intitolato "Dust and dreams", che esce nel 1992. Si tratta di un nuovo concept-album che prende stavolta spunto da Furore (The grapes of Wrath), celebre libro di John Steinbeck, in cui si narra la storia di una famiglia di contadini che si trasferisce in California alla ricerca di lavoro, con chiari riferimenti autobiografici. Musicalmente il nuovo album è bellissimo, con toni sinfonici, soffici e romantici, una vena malinconica non indifferente e riporta in auge il gruppo, che mostra un'ispirazione degna delle sue migliori prove e riconquista il cuore dei fans che non lo hanno mai dimenticato. I Camel iniziano anche una nuova tournée mondiale (iniziata il 12 giugno al George's San Rafael in California e che va avanti fino a settembre con tappe in Giappone, Germania, Olanda, Francia e Spagna) con Latimer, Bass, Mickey Simmonds (valido musicista che ha suonato con numerosi artisti, tra i quali segnaliamo Fish e Mike Oldfield) alle tastiere e Burgess, e ottengono un grande successo grazie a spettacoli molto apprezzati dal pubblico, che mostra come l'amore verso il gruppo non sia scemato nel corso degli anni. Per celebrare il ventennale della band organizzano anche un concerto al Town & Country di Londra e la performance del gruppo è strepitosa. In conseguenza di questi esiti positivi viene pubblicato il doppio cd dal vivo "Never let go", che mostra una band in gran forma ed a suo agio sia nei classicissimi di sempre, che nella integrale riproposizione di "Dust and dreams".

 "Never let go" è la seconda uscita di una serie denominata Camel Official Bootleg. Latimer comincia infatti a fare ordine nel suo archivio e decide di pubblicare dei cd che contengono vecchie e nuove esibizioni. La prima di queste operazioni è l'album "On the road 1972", pubblicata quasi in contemporanea con un'antologia della Polygram intitolata "Echoes" e consistente in due cd. Il secondo Official Bootleg è, appunto, "Never let go", mentre il terzo è "On the road 1982" e viene pubblicato nel 1994. Nel frattempo, fa parlare nuovamente di sé anche Bardens, che dopo essere andato in giro a suonare con i Mirage, gruppo formato da musicisti che hanno transitato nei Camel e nei Caravan (David Sinclair, Jimmy Hastings, Steve Adams, Rick Biddulph, Pye Hastings e, a sorpresa, Andy Ward), pubblica uno di questi concerti nel doppio cd Live 14.12.1994. L'esperienza dura solo per quest'album, dopo di che il gruppo si scioglie per poi trasformarsi in Peter Bardens' Mirage con Steve Adams, Desha Dunnahoe e Dave Cohen. Con questa formazione uscirà un nuovo disco dal vivo negli anni seguenti dal titolo "Speed of light - Live".

Latimer si attiva per dare un seguito a "Dust and dreams" e, traendo spunto dalla dolorosa perdita del padre avvenuta nel marzo del 1993 a causa di una leucemia, va alla riscoperta delle sue radici; così, dopo aver saputo che i suoi nonni erano di origini irlandesi, si rende conto che non è facile ricostruire la storia della sua famiglia. Infatti, non riesce a trovare grandi notizie se non il fatto che la famiglia di sua nonna, nel momento in cui aveva lasciato l'Irlanda alla fine dell'800, era partita dal porto di Cobh, luogo da cui molti nuclei familiari avevano lasciato il paese separandosi dai loro cari nel tentativo di trovare fortuna in Gran Bretagna o in America. Per questo motivo Cobh era stato soprannominato Harbour of Tears (Porto delle Lacrime). Latimer viene anche a sapere che proprio in quel porto era diretto il transatlantico inglese Lusitana, con 1200 passeggeri, che era stato affondato da un sottomarino tedesco il 7 maggio 1915. Questa mole di informazioni è comunque sufficiente per ispirare il chitarrista nella realizzazione del nuovo disco, intitolato, appunto, "Harbour of tears", pubblicato nel gennaio del '96 ed omaggio proprio alla sua famiglia e ai morti della tragedia del Lusitana (emblematica la copertina). Stavolta a fianco di Latimer troviamo il fido Bass, David Paton, il tastierista Mickey Simmonds, il batterista John Xepoleas e altri ospiti del calibro di Mae McKenna alla voce, Neil Panton ai fiati, John Burton al corno francese, Barry Phillips al violoncello e le due violiniste Karen Bentley e Anita Stoneham. In questo lavoro i Camel mostrano una classe ed un'eleganza davvero fuori dal comune, con uno stile non dissimile al precedente lavoro, accentuando certe componenti classicheggianti ed aggiungendo anche alcune intuizioni di chiara ispirazione celtica. Il relativo tour inizia solo nella primavera del 1997 quando Latimer, Bass, Foss Patterson (tastiere) e Dave Stewart (batteria, collaboratore di Fish) partono per delle date in California e nell'Europa continentale. Sempre nel 1997 è il turno di un altro official bootleg: "On the road 1981", nonché del doppio cd "Harbour of joy", disco tributo ai Camel pubblicato dalla label italiana Mellow Records. Nel 1998, invece, si segnala la pubblicazione dell'ennesimo bootleg ufficiale, consistente stavolta in un doppio dal vivo relativo all'ultima tournée, intitolato "Coming of age" e contenente l'intera esecuzione di "Harbour of tears" e la classica manciata di brani storici.

Frattanto si dà da fare anche Colin Bass, che realizza nel 1999 l'esordio solista "An outcast of the islands", coadiuvato da musicisti appartenenti ai gruppi prog polacchi Abraxas e Quidam e a cui partecipano anche Latimer e Stewart. Il disco segue più o meno le coordinate del "gruppo madre", con un prog melodico ispirato, a cui si abbinano eleganti canzoni a cavallo tra pop e progressive. A seguito di una tournée che lo porta a suonare soprattutto nell'Est dell'Europa, in cui si segnala nuovamente la collaborazione dei membri dei Quidam, realizza anche due album dal vivo, entrambi registrati in Polonia: il doppio "Live at Polskie Radio 3" (1999) e l'acustico "Live vol. 2 - Acoustic songs" (2000).

E' lo stesso Bass a regalare a Latimer il libro World Music - A rough candle, in cui il chitarrista resta attratto dalla sezione in cui si fa riferimento al rajaz, poesia musicale araba ispirata all'andatura dei cammelli. Prendendo spunto da ciò viene composto e registrato "Rajaz", pubblicato nell'ottobre del 1999, altro album in cui il gruppo dispensa classe. Non si tratta di un album a tema come i Camel avevano abituato, anche se alcune tracce e qualche influenza orientaleggiante mostrano ugualmente una certa coesione. Oltre gli ormai confermatissimi Bass e Stewart, vi partecipano anche Barry Phillips al violoncello e nuovamente Scherpenzeel. Il lavoro di quest'ultimo avviene nell'unico modo possibile viste le distanze: manda a Latimer un cd-r con le parti che ha suonato e registrato, mentre Latimer contraccambia il favore partecipando al nuovo album dei Kayak "Y2K". Il tour promozionale parte con dei nuovi innesti: alle tastiere troviamo infatti Guy Leblanc, leader della prog-band canadese Nathan Mahl (con la quale ha all'attivo diversi interessanti lavori: "Parallel eccentricities", "The clever use of shadows" e i tre capitoli della saga "Heretik", oltre che i progetti solisti "Subversia" e "Borderline", quest'ultimo album uscito però a nome Mahl Dinasty), mentre più difficile si rileva la ricerca di qualcuno che sieda dietro i tamburi, vista la sopravvenuta mancanza di un batterista. Infatti, subito dopo la registrazione di "Rajaz", Stewart abbandona il gruppo, a causa di problemi finanziari che non gli permettono di concentrarsi sulla musica, e preferisce dedicarsi ad un lavoro come impiegato presso un negozio di batterie. Dovrebbe sostituirlo l'ex Jethro Tull Clive Bunker, che si unisce ai Camel nel mese di agosto, ma il suo legame con Latimer non dura a lungo, probabilmente a causa della diversità caratteriale con il leader. Come se non bastasse il gruppo è costretto a far slittare l'inizio del tour quando una caduta da cavallo causa un brutto infortunio a Susan Hoover, per la quale si teme anche la paralisi. Solo nel momento in cui la compagna di Latimer si riprende ed il pericolo è scongiurato i Camel ricominciano i concerti. Ma c'è ancora la questione del batterista da risolvere; così, "sponsorizzato" da Leblanc, come nuovo drummer viene ingaggiato Denis Clement, che in breve tempo impara il repertorio e può dare il suo contributo. La tournèe finalmente riesce a partire (non priva di ulteriori disavventure, tra le quali si segnalano l'infezione ai polmoni che colpisce Latimer durante la tappa giapponese e lo spostamento delle date sudamericane, con conseguente mancata partecipazione al Rio Art Rock Festival) e tocca vari stati americani, Europa (con una fugace apparizione in Italia per un concerto a Torino) e Giappone. Mentre nel 2000 c'è da segnalare la pubblicazione del bootleg ufficiale "God of light", contenente materiale live del periodo '73-'75, dalla tournée in corso viene registrato materiale per la realizzazione di un nuovo disco dal vivo. E la pubblicazione avviene nel 2001, anche se stavolta non viene scelta la via di un doppio cd, ma si punta su un singolo, che prende il titolo di "The Paris Collection".

Dopo le difficoltà degli ultimi anni i Camel si preparano a celebrare il trentennale della loro carriera e in primavera Latimer inizia a scrivere i brani per il nuovo repertorio. Il chitarrista compone pensando a Bardens, che già da un po' di tempo sta lottando contro un male incurabile. All'inizio del 2002 giunge la notizia, non del tutto inaspettata, ma non per questo meno tragica, che il tastierista che ha condiviso tanti anni di grande musica con Latimer si è spento. Ormai è una frase fatta, ma lo spettacolo deve continuare e la prima operazione discografica dell'anno riguardante i Camel vede la rimasterizzazione degli album del periodo Decca, che vengono messi sul mercato arricchiti di numerose bonus-tracks. Intanto i musicisti vanno in studio durante l'estate per registrare il nuovo album, da dedicare all'amico scomparso. Stavolta al fianco del chitarrista troviamo i musicisti che lo hanno affiancato nel corso dell'ultimo tour, vale a dire Guy Leblanc, Colin Bass e Denis Clement, ai quali si deve poi aggiungere l'apporto di Terry Carleton alle percussioni e J.R. Johnson alle backing vocals. "A nod and a wink" esce in estate e, rappresenta, per ora, l'ultimo capitolo della romantica avventura dei Camel (in attesa di un annunciato album acustico), mantenendo uno stile ormai ben definito, che nel corso degli anni ha catturato uno zoccolo duro di ammiratori sempre pronti a gioire per le nuove delizie musicali offerte dalla band.

Discografia

Camel (1973)
 Il disco del debutto è un'opera effervescente e vivace, che mostra le grandi qualità di un gruppo destinato ad avere un futuro luminoso. Un sound romantico, raffinatissimo, si unisce per l'occasione a sonorità non distanti dal filone canterburiano, come dimostra già l'opener "Slow yourself down", dall'infuocata sezione strumentale a metà del brano, e come confermano splendidi brani quali "Six ate" e "Arubaluba". "Mystic queen" sprigiona delicatezza e melodia, mentre "Separation" è più virulenta con i suoi ritmi veloci e "Curiosity" presenta un andamento quasi jazz. Bellissima, poi, quella "Never let go", cavallo di battaglia nelle esibizioni live, in cui i musicisti mostrano grande affiatamento e con la quale si cominciano a vedere quegli straordinari ed ispirati dialoghi tra chitarra e tastiere che saranno una delle caratteristiche peculiari del futuro prossimo del gruppo. La grande perizia strumentale con cui i Camel eseguono i brani e le loro eccellenti doti compositive rendono splendido questo lavoro e pongono le fondamenta di un sound che sarà affinato per una carriera discografica di tutto rispetto.

Mirage(1974)
 L'inizio di "Freefall" mostra subito qualche cambiamento con un sound più robusto, in cui la chitarra elettrica di Latimer si muove agilmente insieme alle tastiere decise di Bardens, autore del pezzo. Il cantato mantiene il brano su questi binari e la sezione strumentale in cui i due musicisti duettano su ritmiche fantasiose fa il resto. In seguito c'è un altro brano di Bardens, la breve e delicata "Supertwister", in cui flauto e organo dettano gli eleganti temi. Si arriva così alla prima lunga canzone, la mini suite "Nimrodel - The procession - The White Rider", scritta da Latimer, aperta da suoni d'atmosfera e ben presto immersa in un ambiente medievale e favolistico, in cui gli strumenti creano una solida base romantica, rinsaldata dalle melodie vocali particolarmente raffinate. Un altro brano dai connotati romantici, "Earthrise", fa da preludio al brano trainante dell'album, quella "Lady Fantasy" che ancora oggi rappresenta uno dei momenti più apprezzati delle esibizioni live. Si possono così ammirare tutte le caratteristiche principali di quello che sarà individuato come "suono-Camel": lunghi passaggi strumentali con cambi di atmosfera, una macchina ritmica "ben oliata" (come scrivono i recensori dell'epoca), grande eleganza compositiva e struggenti guitar-solo di Latimer. Un disco epico e bellissimo che inaugura una lunga serie di lavori affascinanti.

Music inspired by The snow goose(1975)
 Uno di quei dischi che ha fatto la storia del progressive rock. Quasi tre quarti d'ora di musica rifulgente, raccolta in un album interamente strumentale (se si eccettuano alcuni vocalizzi di Latimer), in cui le 16 canzoni sono praticamente eseguite senza soluzione di continuità, come se fossero un'unica, lunghissima, suite. "The great marsh" è un'intrigante introduzione, il cui incedere delicato, ma deciso sfocia nell'accoppiata "Rhayader"-"Rhayader goes to town", due dei brani simbolo dei Camel, in cui il flauto e le tastiere dialogano meravigliosamente supportati da ritmiche agili e fantasiose, prima di passare il testimone alla chitarra elegante e travolgente di Latimer. Alcuni dei brani più brevi ("Sanctuary", "Fritha", "Rhayader alone", "Epitaph", "Fritha alone") sono delicatissimi e riflessivi tasselli melodici, che trasfondono un certo senso di malinconia. In altri frangenti ("The Snow Goose", "Friendship", "Preparation", "Dunkirk", "La princesse perdue") il gruppo si ritrova accompagnato dalla magnificenza dell'orchestra, i cui arrangiamenti sono sapientemente curati da David Bedford, alimentando ulteriormente la capacità innata di creare spunti romantici che faranno scuola. Caratteristiche che emergono anche negli altri brani ("Migration", "Flight of the Snow Goose") in cui il gruppo si mostra davvero affiatato. A volte si avverte la ripresa di alcuni temi musicali (la qual cosa è tipica dei concept), come nella conclusiva "The great marsh", elegiaco finale di un disco praticamente perfetto, che per molti rappresenta il manifesto dei Camel e che va senza dubbio annoverato tra i vertici del progressive inglese di estrazione romantico-sinfonica.

Moonmadness (1976)
 Col nuovo album i Camel si mantengono ispiratissimi; Latimer e Bardens sono in forma smagliante e lo dimostrano sia nelle canzoni scritte insieme, sia nei due brani a firma unica. L'incipit "Aristillus", scritto dal chitarrista, è un breve strumentale che apre il disco giocando sui toni alti e con protagonista, ovviamente, la sei corde. Si prosegue con "Song within a song", una delle più belle composizioni mai realizzate dai Camel. Toni delicati, bellissime e malinconiche melodie vocali, grande romanticismo nei momenti strumentali guidati ora dal flauto, ora dalle tastiere, ora dalla chitarra sono le caratteristiche di questo gioiello di inestimabile valore. Con "Chord change" si va avanti in questa direzione fatta di avvincenti situazioni strumentali in cui spicca maggiormente la chitarra elettrica. "Spirit of the water" è un breve e delicatissimo brano scritto dal solo Bardens ed è uno dei vertici dell'album con le sue docili melodie pianistiche e la grande sensibilità che riesce ad emanare. I successivi brani ("Another night", "Air born" e lo splendido strumentale "Lunar Sea") si assestano su livelli qualitativi notevoli, grazie alla perfetta interazione musicale del quartetto, i cui fraseggi sonori hanno ormai quella solidità e quel fascino che saranno costante oggetto di imitazione negli anni a seguire.

Rain Dances (1977)
 I cinque minuti movimentati di "First light", che aprono il disco con eleganti intrecci chitarra-tastiere (e con indovinato intervento del sax) non lontani da certi sapori canterburiani, mostrano che l'entrata in formazione di Richard Sinclair non è stata priva di effetti. L'inizio romantico di "Metrognome" porta reminiscenze dei precedenti lavori, ma la sua seconda parte presenta spunti jazzati, che sono un po' la caratteristica peculiare di questo lavoro. Grande delicatezza promana la dolcissima ballata melodica "Tell me", dagli arrangiamenti sinfonici e dolcemente guidata dalla voce di Sinclair e dal flauto di Latimer; mentre il pop-rock elegante della più accessibile "Highways of the Sun" si mostra gradevole, senza infamia e senza lode. Con "Unevensong" siamo ad uno dei vertici del cd, grazie ad un brano in cui gli echi canterburiani ed i punti di contatto con i Caravan si fanno più marcati e per merito anche ad un guitar-solo bellissimo. Il jazz-rock di maniera della strumentale "One of these days I'll get an early night" precede un altro gioiello: "Elke", classicheggiante con le soffici note di flauto che incantano su una base d'atmosfera creata dalle tastiere. E questa vena strumentale è confermata dalla frizzante "Skylines", in cui l'amalgama del gruppo è perfetta, e dalla conclusiva title-track che fa riemergere sonorità sinfoniche di gran classe. "Rain dances" è abbastanza diverso da quanto fatto finora, ma i Camel incantano anche seguendo questa nuova direzione stilistica.

A Live Record (1978)
 Sontuoso doppio dal vivo che rispecchia in pieno le grandi qualità dei Camel. Il primo disco contiene "Never let go", "Song within a song", "Lunar Sea" e "Skylines" tratte dal tour del 1977 con Sinclair in line-up, più "Lady Fantasy" e l'inedito strumentale "Ligging at Louis'", accreditato a Bardens, tratte da una data londinese del 1974 con Ferguson al basso. Il secondo disco contiene invece la celebre performance alla Royal Albert Hall del 1975 in cui i Camel, accompagnati dalla London Symphony Orchestra diretta da David Bedford, eseguono integralmente "The Snow Goose". In tutte le date, inoltre, dà il suo apporto il fiatista Mel Collins. Tutte le performance si rivelano stupende e mostrano l'eccezionale coesione di un gruppo cosciente dei propri mezzi e delle proprie idee. Lavoro che dà, quindi, uno spaccato della dimensione live e che mostra ampiamente come tutta la classe, la fantasia ed il romanticismo dei Camel emergesse anche nelle esibizioni concertistiche.

Breathless (1978)
 "Breathless" conferma in parte la direzione intrapresa da "Rain dances", risultandone il seguito ideale, anche se si rivela meno convincente, a causa di una maggiore accessibilità che si evince da alcuni episodi un po' troppo semplici ed accessibili, come dimostrano l'apertura del disco affidata alla title-track, o anche il brano "Wing and a prayer". Certo, però, che gli spunti migliori sono assolutamente favolosi: si segnalano, in particolar modo, "Echoes", guidata dalla chitarra, con meravigliosi momenti strumentali, che alterna ardore impetuoso e morbido lirismo, e lo strumentale "The sleeper", che, inizialmente atmosferico, sfocia poi in uno sfrenato jazz-rock suonato con grande maestria. "Down on the farm" è aggressiva all'inizio, ma ben presto si tuffa in splendide atmosfere canterburiane, create dall'estro di Sinclair. Caratteristiche pop-rock, primi bagliori di un percorso che sarà seguito nell'immediato futuro, si notano invece in "You make me smile" e "Summer lightining", quest'ultima dai ritmi ballabili e dalle semplici melodie, ma arricchita anche da interessanti soluzioni strumentali (splendido il guitar-solo finale); romanticissime si rivelano invece le brevi ballate "Starlight ride" e "Rainbow's end". Nonostante alcune incertezze, quindi, ancora un disco di grande valore per i Camel, che non raggiungono le vette dei loro migliori lavori, ma mantengono altissima la qualità della loro musica.

I Can see your house from here (1979)
 "I can see your house from here" si apre con un brano, "Wait", che mostra l'orientamento al pop-rock che il gruppo comincia ad intraprendere in maniera più decisa. Ma se questa canzone dà una carica abbastanza convincente, gli altri esempi che vanno in questa direzione ("Your love is stranger than mine", "Neon magic" e la irritante "Remote romance") lasciano parecchio a desiderare, non esibendo grande levatura (per usare un eufemismo…) e rivelandosi, a tratti, alquanto sconcertanti. Ma il disco contiene anche brani di ottimo gusto, come "Eye of the storm" (strumentale, firmata Watkins, con le tastiere in bella evidenza a dialogare con il flauto), "Who we are" e "Hymn to her", che recuperano quel caldo spirito romantico cui i Camel avevano abituato, o anche il breve bozzetto orchestrale "Survival", in cui è ottimo il lavoro di una sezione d'archi. Inoltre, il capolavoro è dietro l'angolo: "Ice", strumentale che conclude l'album, non solo è il più bel brano mai realizzato dai Latimer e soci, ma è anche una delle più belle composizioni della storia del progressive, di quelle che dopo mille ascolti ancora mette i brividi. 10 minuti di purissima magia, che inizia con dolcissime note di piano e chitarra e prosegue su questa scia per quasi due minuti, dopo di che entra in gioco la sezione ritmica e parte il mirabolante guitar-solo, quello che più di ogni altro ha permesso di affibbiare l'appellativo di "piangente" alla chitarra di Latimer. La sei corde si lancia in un momento musicale di grandissimo pathos, dapprima insieme alle tastiere e poi esibendosi in un assolo di straordinaria intensità che sembra non finire mai, si riavvolge su sé stesso, accelera, rallenta, si ripropone con una carica emotiva che va diritta al cuore, offrendo spunti imponenti, ma allo stesso tempo pregni di passione e sentimento… Il finale d'atmosfera è la tradizionale ciliegina sulla torta per una composizione assolutamente magistrale. Come si dice, il classico pezzo che da solo vale l'acquisto dell'LP, che comunque presenta anche altri spunti meritevoli di attenzione.

Nude (1981)
 Il ritorno alla formula del concept-album giova molto alla musica del Cammello. Un ispiratissimo Latimer guida la band in territori di grande emozione e sentimento. Se l'apertura del nuovo disco è affidata al convincente pop-rock di "City life", il resto del lavoro presenta spunti di grandissima classe, a partire da "Drafted", brano malinconico e dolcissimo, che, aperto dal violoncello e dal piano, mostra eleganti melodie vocali, il solito, romantico, assolo di chitarra appassionato del leader ed una seconda parte più sostenuta ritmicamente. In effetti, i momenti più efficaci e suadenti di "Nude" sono dati da quei brani più soavi e soffusi, dalle morbide melodie e dalle impalpabili finezze strumentali. Ne è un perfetto esempio lo charme di composizioni quali "Landscapes" e "Pomp & circumstance", con i deliziosi dialoghi tra flauto e tastiere, "Changing places", in cui è ancora il flauto in evidenza, insieme alle percussioni che danno un tocco etnico, l'atmosferica "Reflections" e la conclusiva "The last farewell", col suo classico romanticismo, ormai si può dire, in purissimo stile Camel. Non mancano strumentali dal gusto sinfonico ("Docks", le sfrenate "Beached" e "Captured", la marcia di "The homecomng") ed un altro paio di brani cantati ("Please come home" e "Lies") che mantengono elevata la raffinatezza. Splendido disco, quindi, con il quale i Camel vanno contro le mode, esibendosi in un progressive romantico di squisita fattura con le sue trame melodiose ed attraenti.

The single factor (1982)
 Quest'album rappresenta senza dubbio il punto più basso della discografia del Cammello. E' infatti formato principalmente da canzoncine pop di valore tutt'altro che elevato. A risollevare il lavoro ci sono però alcuni brani interessanti e se alcuni sono solo sufficienti ("Heroes" che ricorda qualche episodio sinfonico-melodico dell' Alan Parsons Project, "Sasquatch", strumentale molto utilizzato dal vivo), ce ne sono altri, tra i più brevi, che sono delle perle di grazia e di straordinaria classe. "Selva" è un delizioso strumentale di tre minuti e mezzo, in cui la chitarra elettrica di Latimer e quella acustica di Anthony Phillips donano eleganza e sensibilità su un atmosferico tappeto tastieristico. Solo cinquanta secondi, ma pura emozione per "Lullabye" guidata da piano e voce. Infine, c'è la coppia "A heart's desire"-"End peace" (quest'ultima scritta a quattro mani da Latimer e Phillips): il primo brano è un tassello romantico con splendide melodie vocali e piano e fisarmonica ad accompagnare; il secondo vede dolcissimi e brillanti note di piano e chitarra elettrica per quasi tre minuti di incanto assoluto. Questi gioiellini permettono a "The single factor" di raggiungere la sufficienza e di mantenere quindi immacolata una discografia che non presenta album scadenti.

Stationary traveller (1984)
 "Stationary traveller" segna, rispetto al precedente album, un netto salto di qualità. Aperto dalla sinfonica e strumentale "Pressure points", dall'andamento drammatico, prosegue con alcuni brani ("Refugee", "Vopos", "Cloak and dagger man") che hanno una venatura pop ed un sound tipico degli anni '80, ma che sono costruiti e suonati con estrema eleganza. La successiva title-track è uno strumentale di circa cinque minuti con il quale Latimer realizza praticamente una nuova "Ice": l'andamento regale e malinconico si concretizza in un guitar-solo di straordinaria bellezza che non è troppo distante dalla grandezza del monumentale brano di qualche anno prima. Si ritorna su un pop raffinato con "West Berlin" e "Fingertips", cui seguono altri due strumentali: "Missing", veloce rock guidato dalla chitarra ed in cui Latimer suona tutti gli strumenti, e la struggente "After words", con le note malinconiche di piano e tastiere eseguite da Scherpenzeel (autore del brano). La conclusione è affidata a "Long goodbyes", in cui il gruppo si orienta nuovamente su un pop-rock molto raffinato, con un interessante motivo di flauto all'inizio. Un bell'album che mette in pratica delle buone idee e anche se non si assesta ai vertici della discografia dei Camel, merita la massima considerazione.

Pressure points (1984)
 Il secondo live della storia dei Camel non raggiunge i vertici del precedente, ma, pur nella sua brevità (poco più di tre quarti d'ora), mostra il pathos che il gruppo riesce a trasmettere anche in concerto, a partire dai sette minuti di una splendida "Pressare points", che apre il disco con il suo incedere fiero. Seguono una serie di discreti brani di recente produzione ("Drafted", "Captured", "Lies", "Sasquatch", "West Berlin", "Fingertips" e "Wait"); non si può dire che si scelgano proprio i migliori, ma la classe di Latimer e soci è dispensata anche in queste occasioni. A concludere un album estremamente gradevole, ma che non fa certo gridare al miracolo, troviamo gli ormai classicissimi "Rhayader" e "Rhayader goes to town". Lavoro più che sufficiente, quindi, ma si può tranquillamente dire che risulta molto più interessante la videocassetta, in cui è possibile assistere ad un repertorio più ampio.

Dust and Dreams (1991)
 Dopo sette anni di silenzio, i Camel tornano con un concept-album favoloso. Lontanissimi da qualsiasi tentazione pop, offrono un progressive romantico di notevole bellezza, registrato benissimo e suonato alla grande. Le atmosfere si fanno molto pacate, decisamente più tranquille rispetto al passato. I brani sono legati l'uno all'altro senza soluzione di continuità (un po' sulla falsariga di "The Snow Goose"): l'inizio è molto atmosferico con "Dust bowl" che cede il passo a "Go West", introdotta da delicate note pianistiche e cantata con passione da Latimer prima di concludersi con un breve, ma ispirato, assolo di chitarra. I temi musicali si fanno particolarmente drammatici con "Dusted out", che presenta piano e tastiere classicheggianti; mentre con "Mother road" ci si avventura in un rock più robusto che mantiene comunque intatta l'eleganza esecutiva e compositiva. "Needles" è un altro momento classicheggiante, in cui tastiere e fiati mantengono alta l'emotività, ed è seguita da brani romantici e malinconici quali "Rose of Sharon" (in cui si può apprezzare una dolce voce femminile) e "End of the line", composizioni nelle quali Latimer dà saggi da bravura con la sua sei-corde, inframmezzate dalla sinfonica e drammatica "Milk 'n' honey". Ci sono poi una serie di brevi brani strumentali, molto belli, che vedono di volta in volta protagonisti la chitarra ("Storm clouds", "Cotton camp" e "Broken banks"), il piano, le tastiere ed il flauto ("Sheet rain"), l'oboe ("Whispers"), nuovamente piano, tastiere e chitarra ("Little rivers and little rose"). E si giunge al prorompente finale con il rock sinfonico veloce e travolgente di "Hopeless anger" e la vena malinconica della conclusiva "Whispers in the rain", con i suoi leggeri e melodici tocchi di chitarra, piano e tastiere. Con "Dust and dreams" i Camel tornano in grandissimo stile e si mostrano vivi più che mai, grazie ad un album che non fa minimamente rimpiangere il romanticismo dei vecchi tempi.

Official Camel Bootleg - On the road 1972 (1992)
 La prima uscita della serie "Official Bootleg" vede rispolverato un concerto del 1972, in cui il gruppo si cimenta in due composizioni di "Mirage" ("Lady Fantasy" e "White rider"), una dell'omonimo esordio ("Six ate") e quella "God of light" dell'esperienza solista di Bardens che era spesso eseguita in concerto all'inizio della carriera e che non è distante dagli standard del gruppo di quel periodo. Si può notare da questo documento come lo stile dei Camel fosse ormai già ben delineato, grazie alle composizioni lunghe, ricche di momenti strumentali affascinanti, che saranno il punto forte della futura carriera della band. La qualità audio è più che accettabile e il cd va considerato senza dubbio interessante, visto che mostra come erano i giorni in cui i Camel erano "solo" una promessa.

Official Camel Bootleg - Never let go (1993)
 Il secondo "Official Bootleg", è, invece, un doppio cd molto afffascinante, tratto dalla tournée di "Dust and dreams", che non è troppo lontano dalla grandezza di "A live record". Anche la struttura non è dissimile. Il primo cd è una perla in cui i Camel si esibiscono in alcuni pezzi pregiati della loro ventennale carriera, con arrangiamenti spesso rinnovati, ma che non scalfiscono minimamente il fascino delle composizioni originali: "Never let go", l'immancabile accoppiata "Rhayader"-"Rhayader goes to town", l'irripetibile "Ice" sono cavalli di battaglia straordinari, ai quali si affiancano splendidi ripescaggi quali "Earthrise", "Spirit of the water", "Unevensong", "Echoes" e le più recenti "City life" e "Drafted". Il secondo cd propone invece la completa esecuzione di "Dust and dreams", cui si aggiungono "Sasquatch" e "Lady Fantasy" che vanno a concludere un album davvero molto bello, attraverso il quale è possibile ascoltare oltre due ore di grandissima musica e che rappresenta una gustosa ghiottoneria per i fans del gruppo.

Official Camel Bootleg - On the road 1982 (1994)
Registrato a Den Haag il 13 giugno, "On the Road 1982" vede i Camel impegnati nel tour di "The single factor". Anche dal vivo si avverte il momento leggermente di stanca, considerando che la scaletta prevede soprattutto brani commerciali del repertorio recente. L'eleganza della band è comunque ragguardevole ed anche se non si può negare che i brani più gloriosi non sono presenti, è comunque gradevole ascoltare piccoli prodigi del calibro di "Hymn to her", "Drafted", "Lies", "Captured", "A heart's desire/End peace" e la sempreverde "Never let go". Piacevole, ma è il meno interessante dei bootleg ufficiali.

Harbour of Tears (1996)
 Ripetersi negli anni '90 dopo un lavoro del calibro di "Dust and dreams" sembrava impresa impossibile, eppure con "Harbour of tears" i Camel riescono nell'intento con un altro concept-album meraviglioso. Aperto dalla voce angelica di Mae McKenna in "Irish air", che ci porta in ambientazioni celtiche, il disco prosegue con una traccia che è la ripresa strumentale della prima, in cui Latimer comincia ad incantare con la sua chitarra. La title-track comincia invece a mostrare il più classico Camel sound, con una vena romantica e malinconica. Mantiene simili atmosfere, pur virando verso la musica classica, la breve strumentale "Cobh", che fa da introduzione al rock sinfonico di "Send home the slates". La chitarra del leader è nuovamente protagonista in un altro breve strumentale dal tutolo "Under the Moon", con un solo di rara intensità che rappresenta un ottimo esempio di uno stile che ha fatto scuola. Con "Watching the bobbins" si ritorna al più classico rock romantico, prima di affrontare un nuovo episodio strumentale si stampo classico come "Generation", in cui le tastiere e gli archi creano suggestive atmosfere, e di rituffarsi in sonorità non distanti dal folk celtico con la semi-acustica "Eyes of Ireland". Il sinfonismo maestoso all'inizio di "Running from Paradise", altro brano strumentale, accentua i toni drammatici, che vengono però stemperati da una seconda parte più barocca. Molto bella la ballata "End of the day", splendidamente articolata tra chitarra acustica, archi, fiati e voce, prima del finale con la sei corde elettrica. Ci si avvicina al termine del disco con "Coming of age", in cui torna nuovamente a galla tutta l'eleganza più esemplare del romanticismo dei Camel, che precede la conclusiva "The hour candle (A song for my father)", spettacolare brano che è la prosecuzione ideale del discorso chitarristico intrapreso da Latimer con "Ice" e proseguito con "Stationary traveller". "Harbour of tears" è un disco meraviglioso che non fa che confermare le grandissime qualità di un gruppo eccezionale, spesso troppo sottovalutato, ma che è in realtà uno dei nomi più importanti della scena progressiva. I Camel sorprendono e seducono negli anni '90 esattamente come ci riuscivano venti anni prima.

Official Camel Bootleg - On the road 1981 (1997)
 Tratto dal tour del 1981, nella data del 2 aprile all'Hammersmith Odeon londinese, quest'album offre un ampio estratto del concept "Nude", con in più alcuni ripescaggi di squisita fattura quali "Never let go", "Song within a song" e "Lunar Sea". La qualità audio non è proprio il massimo, ma la scaletta è molto buona, la performance dei musicisti (Latimer, Bass, Ward, Watkins e Schelhaas) ottima ed il gruppo in gran forma. CD davvero molto interessante.

 

 

Official Camel Bootleg - Coming of age (1998)
 La tournée di "Harbour of tears" è celebrata con un nuovo doppio album dal vivo, che segue l'indovinata struttura dei precedenti "A live record" e "Never let go". C'è infatti un primo dischetto in cui i Camel eseguono alcune delle loro composizioni più famose, iniziando con "Lunar Sea" e concludendo con "Sasquatch", passando per le varie, immancabili, "Rhayader", "Rhayader goes to town" e "Ice" ed alcune altre prelibatezze quali "Hymn to her", "Spirit of the water" ed estratti di "Snow Goose" e "Nude". Il secondo cd, invece, dopo quattro tracce tratte da "Dust and dreams", presenta l'intera esecuzione del bellissimo "Harbur of tears", che anche dal vivo si conferma emozionante e dal grandissimo fascino. Per i fans un altro appuntamento da non perdere vista l'elevatissima qualità sia musicale che audio.

Rajaz (1999)
 I Camel non sbagliano più un colpo. Nonostante i lunghi silenzi tra un disco in studio e l'altro, al momento del nuovo lavoro si fanno trovare sempre pronti. Così dopo due splendidi album quali "Dust and dreams" e "Harbour of tears", il nuovo "Rajaz" non delude minimamente le aspettative per merito del consolidato prog melodico, al quale si aggiunge stavolta un leggerissimo tocco esotico dal sapore orientale. Emerge su tutto, come sempre, l'elegante chitarra di Latimer che tesse le consuete trame che seducono facilmente. Brani splendidi quali "Three wishes", "Lost and found", "The final ancore", "Sahara", "Lawrence" stanno lì a dimostrarlo con gli splendidi guitar-solos della mente del gruppo che portano con loro il fantasma di "Ice". Ma anche i brani meno vistosi (la dolce ballata "Rajaz" e le più accessibili "Shout" e "Straight to my heart") si mantengono su livelli ben più che dignitosi, celebrando così, nel migliore dei modi, questa nuova avventura, con la quale i Camel centrano nuovamente il bersaglio.

Official Camel Bootleg - Gods of light '73-'75 (2000)
Questo live non è altro che la pubblicazione ufficiale di un bootleg di origine italiana intitolato "Famous Rock Dreams", che già da diversi anni circolava tra i collezionisti. Si tratta di un'interessante testimonianza dei primi anni concertistici del gruppo, così come lo era stato il precedente "On the Road 1972". Il cd è aperto da "God of light revisited" nella versione presente nello storico e raro album "Greasy truckers", cui seguono belle versioni di "White rider", "Lady Fantasy" e "Arubaluba". Il lavoro si conclude con l'esecuzione di un lungo estratto di "Snow Goose" proveniente da una registrazione del 1975 della BBC. Come sempre grande musica, ma è un cd essenzialmente per i completisti del gruppo.

Official Camel Bootleg - The Paris Collection (2001)
 Si giunge al nuovo appuntamento con il live che documenta l'ultima tournée, ma chi si aspetta, come per le precedenti prove, un album doppio, deve ricredersi. Stavolta, infatti, i Camel puntano su un unico cd, scelta che sarebbe anche accettabile, ma è la scaletta a non convincere appieno e a lasciare quanto meno perplessi: se sono interessanti i ripescaggi di "Chord change", "Fingertips" e "Slow yourself down", sorprende non poco che per un album singolo si punti di nuovo sulle esecuzioni di "Ice" e di "Lady Fantsy", per quanto meravigliose esse siano. Inoltre, sono presenti tre brani da "Dust and dreams" ed il solo "Sahara" dall'ultima prova in studio "Rajaz". La track-list, pertanto, è abbastanza deludente, visto che si poteva scegliere un repertorio meno scontato. Detto questo, però, si deve anche vedere l'altro lato della medaglia: come restare indifferenti alle meravigliose note di "Ice"? Come non essere colti da un leggero brivido ascoltando "Chord change"? Come non ascoltare con piacere la musica di un gruppo che ha la capacità di colpire diritto al cuore i propri aficionados? Circa settanta minuti di musica (comprendendo la bonus track con la versione acustica di "Slow yourself down") che sostanzialmente non dicono nulla di nuovo e che potevano essere scelti con più cura, ma si tratta di musica davvero buona…

A nod and a wink (2002)
 Il disco del trentennale risulta meno compatto della recente produzione. Ancora una volta Latimer rinuncia ad un album a tema, puntando su sette canzoni suonate con eleganza e con la levatura di sempre, nonostante una certa discontinuità. L'inizio è affidato agli oltre 11 minuti della title-track: si parte con una melodia flautistica unita a suoni da carillon che va avanti per tre minuti e mezzo insieme a melodie vocali non troppo convincenti. Subentra a questo punto la chitarra elettrica per una sezione strumentale molto intrigante, in cui i dialoghi con le tastiere fanno il loro effetto prima della ripresa del cantato e di un'altra discreta parte strumentale, con cambi di tempo, in cui sono nuovamente la sei corde e i tasti d'avorio a guidare verso un finale quieto. "Simple pleasures" è un brano melodico che soffre un inizio un po' scontato, ma che si riprende quando Latimer offre un saggio della sua bravura chitarristica. L'inizio acustico di "A boy's life" è quasi cantautoriale (chitarra e voce), ma dopo un minuto e mezzo comincia un intenso momento strumentale, romantico e con qualche venatura folk, dal quale trasuda grande passione e che porta alla conclusione questa traccia che supera i sette minuti. L'allegra "Fox hill" si presenta vivace e disinvolta nei suoi nove minuti, ma anche un po' ingenua e senza il giusto piglio. Molto meglio la breve e delicata "The Miller's tale", dapprima aggraziata con il suono del flauto e della chitarra acustica e poi più sinfonica e drammatica. La strumentale "Squigely fair" è uno dei classici brani à la Camel che si mostrano agili e grintosi (come "Lunar Sea" e "Three wishes" insegnano) e precede i 10 minuti conclusivi di "For today". Quest'ultima canzone si presenta senza dubbio come il top del disco grazie all'emotività trasfusa dalla musica, intrisa di profondo lirismo ed appassionante nel lungo assolo chitarristico. Un cd che, in fin dei conti, convince a metà: non è ispirato come i precedenti usciti negli anni '90 (ma i Camel ci avevano effettivamente abituato troppo bene), ma si assesta su livelli medio-alti grazie all'immensa classe di Latimer e soci.

Peppe
Marzo 2003

Ultimo aggiornamento (Lunedì 26 Ottobre 2009 12:40)